Genitori per forza o per scelta: le scrittrici Donata Carelli e Imma Pezzullo ne parlano con gli studenti

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di Fiorella Franchini

Il desiderio di diventare genitore è un aspetto della vita di ogni individuo ed è spesso considerato un sentimento innato. Un tempo si riteneva che mettere al mondo dei figli fosse l’unico obiettivo dell’età adulta. Non era permesso avere dubbi, paure, incertezze. Un sentimento innato? Sicuramente, si può parlare di un istinto di conservazione che ci permette di tenere in vita i nostri figli, di nutrirli, di curarli e di tenerli al sicuro. Secondo alcune ricerche “l’istinto materno è iscritto nel codice genetico” che si attiva durante la gravidanza e soprattutto nel momento del parto, subito dopo l’espulsione del feto con la scarica di prolattina. Un gruppo di ricercatori dell’Università Statale della Louisiana crede di aver individuato un ormone collegato all’istinto materno, l’ossitocina, già indicato come “l’ormone dell’amore”. In realtà, non c’è un’evidenza scientifica che provi l’esistenza “dell’istinto materno”. La maternità e la paternità non sono uno stato predeterminato geneticamente, ma un processo aperto, correlato allo sviluppo delle “relazioni affettive primarie”. Madri e padri non si nasce, si diventa e sono la società e la cultura a determinare i rapporti tra genitori e figli. Tuttavia, è bene ricordare che il sentimento della genitorialità non è presente in tutte le donne e uomini, che è scisso dal fatto che essi abbiano figli o meno. La verità è che si può essere profondamente materni o paterni pur non avendo messo al mondo un altro essere umano. Basta pensare a quei genitori che si prendono cura dei figli di un compagno o di una compagna, di un bambino in affido o adottato, di un vicino di casa, di un ‘figlio dell’anima’ come direbbe Michela Murgia.  Nello stesso tempo ci sono persone che pur avendo figli, non hanno mai sentito questo istinto come naturale e che probabilmente hanno solo seguito un modello culturale. Un tema complesso quello della genitorialità e dell’istinto materno affrontato in un incontro nella sede dell’Associazione Humaniter di Napoli l’8 marzo, nell’ambito del progetto “La Biblioteca delle Donne”, tra gli studenti del Liceo Mazzini e la psicologa Maria Rosaria Riccio, l’avvocato Biancamaria Sparano, le scrittrici Donata Carelli e Imma Pezzullo. La scrittura e il dialogo diventano lo strumento privilegiato per avvicinare generazioni e problematiche spesso lasciate volutamente in un angolo, per attivare la consapevolezza e il senso della scelta.

Donata Carelli, con “Io Madre Mai”, edizioni Piemme, affronta il disagio di andare controcorrente, in una società ancora dominata da canoni sociali e culturali rigidi. Donata racconta il suo desiderio di non star dentro un solco già tracciato, di non rispondere alle aspettative della famiglia, degli amici, di non avere ancora certezze. In verità, Donata una certezza ce l’ha, e la difende: non vuole diventare madre, non vuole sposarsi, non vuole fare l’insegnante e, soprattutto, non vuole essere definita da un ruolo deciso da altri né giustificarsi davanti al mondo per una scelta diversa. Sono tante le donne che non vogliono figli, ma pensano che ci sia qualcosa di sbagliato in loro. Donata Carelli grida il loro disagio, offre la propria esperienza per dimostrare che la maternità non è un’imposizione ma un percorso di conoscenza personale, di autodeterminazione.

In inglese vengono chiamate childfree, le donne che scelgono spontaneamente di non avere figli; in Italia non hanno neppure un termine per essere definite, come non esistessero. In realtà però sono molte quelle che pur non avendo nessun tipo di problema, decidono di non diventare madri. Secondo la rivista Valigia Blu, almeno il 22% delle donne nate alla fine degli anni Settanta terminerà il proprio periodo riproduttivo senza figli. Tra queste, almeno un quarto i figli non li hai mai voluti, le altre sono espressione del fertility gap, la differenza tra il numero di bambini che le donne vorrebbero avere (intenzioni di fertilità) e il tasso di fertilità.  Secondo un recente studio demografico non si tratterebbe solo di un problema fisiologico ma di una scelta dettata dalle politiche sociali ed economiche dei singoli stati, l’attesa di un lavoro stabile, la mancanza di servizi per l’accudimento dei figli. In entrambi i casi le donne che scelgono questo status sono considerate come una vera e propria minaccia per la società perché egoiste, egocentriche, immature. Una pressione che schiaccia le giovani donne, che produce ansia, inadeguatezza, scelte avventate che avranno conseguenze sulle madri e sui loro figli. 

Madri per volontà e non per convenzione sono le protagoniste del libro di Imma Pezzullo “Madri oltre il destino”, Francesco D’Amato editore, un’antologia formata da venti storie di donne che hanno vissuto un “atto di maternità” e da una ventunesima che narra di un uomo costretto dalla prematura morte della moglie a incarnare il doppio ruolo di padre e madre. Una collezione di umanità quotidiana: donne che lottano contro l’autismo, la sclerosi, gli attacchi di panico, la sindrome di Down, le problematicità dell’adozione, il lutto per un figlio perso precocemente, ragazze madri, badanti, vedove, situazioni estreme come gravidanze non volute, violenze. Tutte le storie hanno due comuni denominatori: le emozioni del vissuto dei personaggi e il coraggio di fronte alle difficoltà.

La scrittura e la lettura traghettano emozioni e sentimenti; un’operazione mai facile e mai scontata. In entrambi i libri emerge il senso autentico della maternità e della paternità da intendere come sentimento di cura e dedizione vissuto con libertà e coscienza. È una questione d’affetto, di tenerezza, di attenzione, un arduo e preciso impegno personale, anzi di vero amore che è, come scriveva Khalil Gibran, “l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà”.