Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 27 febbraio all’interno della rubrica Spigolature
di Ermanno Corsi
Uno scrutinio col fiatone e al cardiopalmo, un duello onorevole per chi vince e per chi perde. A 1718 sezioni scrutinate (sono inadempienti 126 su 1844),i due candidati governatori che si avviano al fotofinish, sono così sostanzialmente appaiati: Alessandra Todde (5Stelle-Pd) 45,4 per cento; Paolo Truzzo (Centrodestra) 45. La lentezza dello scrutinio tiene sospesi giudizi e valutazioni. La conclusione del “duello sardo” vale ora per tutti come attendibile previsione dei chiarimenti che, in Italia, dovranno essere fatti sia all’interno della maggioranza governativa così come per le collocazioni prossime, da parte di meloniani, leghisti e tajanei nel nuovo Parlamento che verrà eletto a giugno. Gli ultimi sondaggi sono concordi nel sottolineare il prestigio che la premier Giorgia continua ad avere sul piano internazionale, mentre nell’ambito di Palazzo Chigi le differenze su programmi e scelte cominciano ad essere estranee a una normale dialettica fra alleati.
ASPETTI DI UNA CAMPAGNA ELETTORALE. Nella successione di comizi e incontri, la metà degli iscritti nelle liste non ha raccolto l’appello a non disertare le urne. La politica, comunque “condita”, è rimasta indigesta. Votanti fermi al 52,4 meno di 5 anni fa. Oltre 700 mila elettori hanno voltato le spalle. Qualunquismo, ostilità preconcetta verso i partiti, rigurgiti densi e incontenibili di antidemocrazia? Questione complessa che dovrebbe indurre le forze politiche, nell’insieme, ad analisi fortemente autocritiche e non certo autoassolutorie. Si è votato in una terra (la Regione è a Statuto Speciale dal 1948) che vede e sente Roma come “matrigna”, con un carattere forte e orgoglioso come risulta dalle analisi di personaggi illustri come Antonio Gramsci (oristanese di Ales) e Grazia Deledda (nuorese) premio Nobel per la letteratura nel 1927.
UNO SGUARDO RAVVICINATO. Nel Centrodestra “fuoco amico” fra la premier Meloni e il vice Salvini sul candidato a governatore. Sconfitto il vicepremier perché l’uscente Solinas, da lui sostenuto, è stato coinvolto in una brutta vicenda giudiziaria. Al suo posto scelto il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu: sicuri della positività del suo operato, o è stato un azzardo? Il voto di domenica è apparso come un regolamento di conti tra la leadership meloniana e le ambizioni salviniane. Grande l’attenzione anche sul “campo largo” rosso-giallo di Pd e Cinquestelle. La candidata Alessandra Todde ha chiuso la campagna elettorale non avendo a fianco né Conte né la Schlein, ma la mamma e la nipote: grande richiamo agli affetti familiari! Singolare la vicenda di Renato Soru in rotta col Pd che lo aveva portato alla Presidenza della Regione: la figlia Camilla si è distaccata dal padre candidandosi con Alessandra Todde.
DAL QUIRINALE ALLA CAMPANIA. Severo e opportuno il monito del presidente Mattarella “no agli insulti in politica”. Chi ne fa uso o è a corto di argomenti e idee, oppure deve sentirsi alla “canna del gas” e pensa, disperato, al “muoia Sansone con tutti i filistei”. Il Presidente della Repubblica ha reagito soprattutto ai manichini della Meloni incendiati durante proteste. Ma anche un linguaggio sprezzante della correttezza è un altro aspetto etico-morale, oltre che politico-culturale, non secondario. Ebbene: il presidente De Luca critica il ministro Fitto per ritardata erogazione di fondi previsti. Giorgia gli fa osservare che la vera questione è la Regione Campania che non prepara i progetti, per cui “se il governatore De Luca lavorasse di più, non male…”. Stizzita e puntuta la reazione con un “la Meloni è una stronza, lavorasse lei..”. Di fronte a contributi regionali per manifestazioni di scarso valore che sprecano denaro pubblico, nuova “elegante offesa” alla Premier: ”Si comporta come una stracciarola”. Di tutto questo scambio di “amorosi affetti”, l’unico a vedersene bene è Maurizio Crozza geniale imitatore: quando “indossa” maschera, voce e gesti deluchiani, la sua trasmissione ha picchi crescenti di ascolto.
TERZO MANDATO. Sulla temuta trasformazione delle Regioni in feudi di lunga durata, la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha detto no:16 voti contro 4.Chi ne esce sconfitto? Sicuramente Salvini e ben due volte. Prima perché i meloniani e i forzisti tajanei sono contro il terzo mandato (“l’alternanza generazionale valore della democrazia”),poi perché non gli è rimasto altro che confidare nel voto dell’aula parlamentare (“questa è la sede giusta”, sostiene il leader leghista, ”la Commissione non conta niente”).Altra conseguenza: nella maggioranza e nel Governo si vanno delineando distinzioni sempre più marcate su temi molto “sensibili”, oltre il terzo mandato: autonomia differenziata, Ponte sullo stretto, sostegno di lungo periodo all’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin. Per ora il terzo mandato è consentito solo nei Comuni sotto i 15 mila abitanti.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA. Quadro disomogeneo e più spesa. Così l’Ufficio parlamentare di Bilancio rilancia l’allarme sul progetto Calderoli definito, in sostanza, un “progetto disastro”: più carico per lo Stato e meno servizi per i cittadini. Tra i problemi aperti, Alfonso Ruffo ricorda quello delle soglie minime di qualità sotto cui non sarà lecito far precipitare cure e prestazioni. Mentre la Lega tira quanta più acqua può ai “mulini del Po” (come direbbe Riccardo Bacchelli autore del famoso romanzo) acquista concretezza il referendum abrogativo proposto in caso di approvazione della contestata legge che divide ulteriormente Nord e Sud.