Il rapporto con l’Europa vale più dell’Autonomia

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in foto Matteo Salvini e Giorgia Meloni

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 6 febbraio all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Un anno con tante schede in mano: elezioni non stop. Nel nostro Paese, fino a dicembre, 5 Regioni si rinnoveranno senza attendere il turno generale che nel 2025 impegnerà le altre 15 Regioni (a Statuto ordinario o speciale). Si comincia il 25 febbraio, fra 19 giorni, con la Sardegna (risolto il conflitto Meloni-Salvini con la vittoria della premier che ha imposto a governatore il sindaco di Cagliari Truzzu). Il 10 marzo sarà il turno dell’Abruzzo. Accorpate invece con le Europee dell’8,9 giugno la Basilicata (Tajani punta i piedi per il secondo mandato a Vito Bardi) e il Piemonte. L’Umbria se la prende più comoda e aspetta l’inverno.

DALL’ EUROPA AL MONDO. Assieme al “primo assaggio” con queste 5 regionali, si avvicinano (8,9 giugno) le urne che potrebbero cambiare Parlamento di Strasburgo e Commissione a Bruxelles. Diversi gli interrogativi: ci sarà ancora una maggioranza dai socialisti ai liberali? Von der Leyen confermata? Quale ruolo per la Meloni che sul piano internazionale consolida il suo prestigio, mentre sta per accogliere il sovranista Orban nei conservatori-riformisti che lei presiede? E Salvini, di fronte a scenari nuovi, si lascerà marginalizzare con la sua stretta vicinanza alla destra estrema della Le Pen? Rimarrà ancora imbrigliato nella leghista Autonomia differenziata che proprio in queste ore l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) definisce “progetto disastro”? E poi, a metà marzo, le elezioni farsesche in Russia dove unico candidato è il “monarca assoluto” Putin. Il 5 novembre, infine, il voto per la presidenza in America. La contrapposizione Biden-Trump è durissima, ma pur sempre espressione di una consolidata e operante democrazia.

IL TENNIS E LE TASSE. Ricevuti al Quirinale Jannik Sinner e la squadra vincitrice della Coppa Davis. Non inopportuno è apparso qualche rilievo sul fatto che il campione, nativo bolzanese di San Candido, risiede a Montecarlo e che dà conto dei suoi guadagni alla locale Agenzia delle Entrate “perché qui si paga di meno”. Più volte il Presidente Mattarella ha sottolineato il dovere etico-morale, da parte di tutti gli italiani, di pagare le tasse come contributo all’avanzamento del Paese.

SGARBI SGARBATO E TEATRALE. Primo tempo: annuncia di non essere più Sottosegretario alla Cultura, Ministero affidato a Gennaro Sangiuliano. Dopo mesi di aspra polemica, il personaggio che ha movimentato le cronache, annuncia le dimissioni. Un atto volontario? Non proprio se la decisione fosse stata presa dopo la “sentenza” dell’Antitrust-Agicom: incompatibilità fra libera professione e incarico ministeriale. Sgarbi quindi fuori di scena, almeno come esponente del Governo Meloni, scansando così la mozione di sfiducia in discussione a metà febbraio, e prima del giudizio della Magistratura su vicende che hanno suscitato scalpore. Nell’allontanarsi da via del Collegio Romano, poco istituzionale l’invettiva contro Sangiuliano: ”Con lui non parlo da quando mi ha dato la delega a occuparmi della Garisenda”(una delle 2 torri bolognesi).Poi un rancoroso  affondo: ”Non posso sopportare chi riceve una lettera anonima e la manda all’Antitrust. Chi ha dignità non accoglie lettere anonime”. Sicuramente Sangiuliano non se la sarà presa più di tanto. Comunque dopo poche ore ecco, a sorpresa, il teatrante secondo tempo. Sgarbi: “Ho parlato di dimissioni ma non le ho ancora formalizzate”. Aspetta di “negoziare” col Governo. E intanto lancia l’avvertimento che la sua agonia “sarà lunga”. Tutta una vicenda che “demolisce” Sgarbi il quale, peraltro, sembra proprio che ce l’abbia per vocazione di scontrarsi con i Ministri della Cultura. Nel 2002 c’era Giuliano Urbani. Dopo uno scontro, venne da lui dismesso da Sottosegretario.

UN CAMPANO CONTRO IL DUCE. La Rai ci ha ricordato la caduta di Mussolini dopo la sfiducia votata dal Gran Consiglio del fascismo durante la notte fra il 24 e 25 luglio 1943.Tra i 19 gerarchi che votarono l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi (9 i contrari e 1 astenuto) c’era Alfredo De Marsico, nativo di Sala Consilina e vissuto lungamente a Napoli. Allora ministro di Grazia e Giustizia, venne condannato a morte durante il processo di Verona nel 1944.Si salvò raggiungendo Salerno liberata dagli anglo-americani. Visse fino a 97 anni a Napoli dove aveva ripreso con grande successo la prestigiosa attività di penalista.