ASviS ed il più grande studio sul reddito universale contro la povertà estrema: Aumenta i guadagni e non genera ozio

(Imagoeconomica) CONTRO INFLAZIONE E LAVORO POVERO, STRISCIONE PRO SALARIO MINIMO REDDITO E WELFARE UNIVERSALI

I primi incoraggianti risultati di un esperimento su oltre 73mila persone in due contee del Kenya, in un periodo di due anni in cui le persone hanno ricevuto una somma forfettaria o un supporto mensile (https://futuranetwork.eu/news/534-4242/il-piu-grande-studio-sul-reddito-universale-contro-la-poverta-estrema-aumenta-i-guadagni-e-non-genera-ozio).

Testo di Andrea de Tommasi che fa parte della redazione dell’ASviS e di Futura network.
Alla fine nelle parentesi, con apice (*), (**), (***)……. i ricercatori che diffondono questo “credo”

Un reddito di base universale, meglio se a lungo termine, si rivela efficace per aiutare le persone in condizioni di povertà estrema, stimola l’occupazione e non induce alla pigrizia. Da pochi giorni sono stati pubblicati i primi risultati di quella che è considerata la più grande prova sperimentale al mondo di Universal basic income (Ubi). Il progetto è promosso da GiveDirectly, un ente di beneficienza americano, che ha iniziato a inviare 22,5 dollari al mese a migliaia di abitanti del Kenya rurale. Nei villaggi di Bornet e Siaya, oggetto dello studio, circa la metà dei residenti era al di sotto della soglia di povertà estrema, che in Kenya significa sopravvivere con meno di 33 dollari al mese o 400 dollari all’anno (lo studio completo .Universal Basic Income: Short-Term Results from a Long-Term Experiment in Kenya∗ Abhijit Banerjee† Michael Faye‡ Alan Krueger§ Paul Niehaus Tavneet Suri‖ 15 September 2023 (https://conference.nber.org/conf_papers/f192616.pdf)
Sulla base dei dati dei primi due anni (2018-2020), gli economisti – guidati dal premio Nobel Abhijit Banerjee – hanno confrontato i risultati di quattro gruppi: persone che hanno ricevuto il denaro per due anni (circa 8.800 persone); persone che lo hanno ricevuto per due anni con la garanzia di riceverlo per altri dieci (circa 5mila persone); persone a cui è stata data una somma forfettaria di 500 dollari (8.800 persone); un gruppo che non ha ricevuto nulla (11mila persone).
I risultati indicano che sia la somma forfettaria che il reddito a lungo termine si sono rivelati altamente efficaci. L’importo una tantum ha consentito grandi investimenti, mentre la garanzia di un’erogazione continua per 12 anni ha incoraggiato il risparmio e l’assunzione di rischi. In generale, le persone hanno avviato più attività, spesso rinunciando al lavoro dipendente, e sono diventate più produttive. Nella maggior parte dei gruppi beneficiari, la spesa per l’istruzione è aumentata.

Un reddito universale a breve termine è stato il meno impattante tra i progetti, ma comunque efficace. Nel report si sottolinea che i governi dovrebbero valutare l’opportunità di cambiare le modalità con cui forniscono gli aiuti in denaro. I sostegni mensili a breve termine, che secondo questo studio sono il modello meno impattante, rappresentano il modo più comune con cui le persone, sia nei Paesi a basso che ad alto reddito, ricevono assistenza in denaro, ed è così che sono attualmente progettati la maggior parte dei progetti pilota Ubi.
Uno degli aspetti positivi del progetto keniota è che non ha disincentivato il lavoro ma aumentato la produttività. “Nel complesso non ci sono prove che l’Ubi promuova la ‘pigrizia’”, hanno affermato gli economisti, “ma prove di effetti sostanziali sulla scelta occupazionale. Anche gli impatti sul reddito familiare totale sono positivi e significativi”. La disponibilità di denaro contante non ha neppure incentivato le dipendenze, come il consumo di alcol.
I ricercatori intervisteranno nuovamente i partecipanti allo studio a distanza di sette e 10 anni, per chiarire se il beneficio di un reddito universale a lungo termine superi quello dei 500 dollari una tantum, e di quanto. Il gruppo dei beneficiari a lungo termine riceverà alla fine del progetto una somma circa sei volte maggiore. Lo studio sottolinea anche che i risultati del Kenya rurale, che pure disegnano traiettorie significative, non sono necessariamente applicabili ad altre regioni. Più in generale, saranno necessarie ulteriori ricerche nei Paesi ad alto reddito.

Consulta lo studio Universal Basic Income: Short-Term Results from a Long-Term Experiment in Kenya∗ Abhijit Banerjee† Michael Faye‡ Alan Krueger§ Paul Niehaus Tavneet Suri‖ 15 September 2023 (https://conference.nber.org/conf_papers/f192616.pdf).

Il reddito universale di base sarà la soluzione alla disoccupazione tecnologica?

Numerosi esperimenti indicano che la certezza di una entrata fissa migliora la qualità della vita, ma l’impegno generalizzato potrebbe essere insostenibile per gli Stati. La discussione è comunque aperta.

di Maddalena Binda e Milos Skakal della Redazione ASviS)

Per chi frequenta le manifestazioni e scende in piazza almeno una volta l’anno in occasione della Festa delle lavoratrici e dei lavoratori il 1° maggio, il tema del reddito universale garantito e incondizionato non è una novità. Sono infatti più di dieci anni, almeno, che una parte consistente della società in Italia, ma in realtà in tutto il mondo, chiede che ogni individuo riceva dei soldi dallo Stato per poter, molto semplicemente, esistere. Il reddito universale di base prevede un sussidio mensile erogato dallo Stato a tutta la cittadinanza, indipendente dalla situazione socio-economica della persona e non condizionato alla ricerca di un lavoro. Scopo della misura è ridurre la povertà e le disuguaglianze: attraverso il reddito universale di base si potrebbe garantire la possibilità di affrontare le spese essenziali. Il reddito universale di base potrebbe inoltre stimolare i consumi, contribuendo alla crescita dell’economia e alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Alcune critiche sostengono che offrire “denaro gratis” a tutta la popolazione non sia il modo migliore per aiutare le fasce più vulnerabili. L’aumento generale della ricchezza potrebbe anche essere controbilanciato dalla crescita dell’inflazione, vanificando l’impatto positivo del reddito universale di base. Rimangono delle incognite, come per esempio se debba sostituire sussidi già presenti o possa corrispondere a una agevolazione fiscale, oppure da dove prendere i fondi con cui finanziare questa misura. Rispetto a quest’ultimo tema, è stato stimato che in Italia sarebbero necessari 480 miliardi di euro l’anno (il 24,5% del Pil) per garantire a ogni cittadina e cittadino una somma almeno pari alla soglia di povertà relativa. Il calcolo è di Andrea Fumagalli, economista e vice-presidente del Basic income network Italia (qui)

Preoccupa anche il possibile impatto di tale misura sulle persone disoccupate: ricevendo un sussidio fisso le persone potrebbero non essere invogliate a cercare un impiego. O addirittura potrebbero essere incentivate a smettere di lavorare. Tuttavia, il reddito universale di base potrebbe permettere alle persone di rifiutare lavori considerati non soddisfacenti, di investire nella propria formazione per acquisire nuove competenze, di avere tempo da dedicare alla cura della propria famiglia o di avviare una attività in proprio. Con un reddito universale di base potrebbe essere più semplice per le persone rassegnare le dimissioni in caso non siano soddisfatte della propria situazione lavorativa. Questo potrebbe portare a una maggiore attenzione e a un generale miglioramento delle condizioni lavorative.

Le esperienze contemporanee di reddito di base

Attualmente nessun Paese ha implementato un vero modello di reddito universale, ma piuttosto sono stati lanciati specifici programmi pilota limitati territorialmente e temporalmente, con differenti fonti di risorse (utilizzando anche donazioni da privati), con diverso ammontare degli importi distribuiti mensilmente. The Basic income earth network (Bein) (qui) è un gruppo internazionale che studia e promuove l’applicazione del reddito universale in tutti i Paesi del mondo.

Dalle esperienze fatte appaiono evidenti vantaggi quali incremento dell’istruzione, dell’occupazione, il miglioramento dello stato di benessere, mentre non si osservano fenomeni di “parassitismo”. Di seguito alcune esperienze condotte recentemente.

Gli Stati uniti hanno effettuato una dozzina di esperimenti di reddito universale, ma il più notevole è l’Alaska permanent fund tuttora in corso: ogni cittadino riceve una quota delle entrate del petrolio e del gas americano che varia tra mille e 2mila dollari al mese. I risultati del programma non hanno avuto alcun effetto sull’occupazione, ma hanno avuto un effetto sul tasso di fecondità, incoraggiando le persone ad avere più figli.

L’India ha avuto un programma pilota sul reddito di base tra il 2011 e il 2012. Il programma era rivolto a 6mila residenti del Madhya Pradesh e i risultati hanno mostrato che c’è stato un miglioramento della nutrizione, delle condizioni igienico-sanitarie e la frequenza scolastica tra i bambini è aumentata.

In Namibia dal 2008 al 2010 tutti i cittadini con meno di 60 anni di età residenti nella regione Otjivero – Omitara hanno ricevuto 100 dollari namibiani al mese in modo incondizionato (pari a circa 5 euro al mese). Dopo la fine della sperimentazione, la coalizione governativa e di organizzazioni non governative che aveva promosso il progetto (qui) è riuscita a prolungare l’erogazione del reddito per 80 dollari namibiani al mese sino alla fine del 2012.

La Finlandia ha lanciato nel 2017 un programma sperimentale sul reddito di base destinato ai cittadini disoccupati. Il programma si rivolgeva a 2mila partecipanti selezionati a caso e ciascuno riceveva 560 euro al mese per due anni. Il programma si è concluso nel 2018 e i risultati hanno mostrato che i partecipanti erano più felici e meno stressati, portando a un miglioramento dello stato di salute.

In Germania Mein Grundeinkommen ha iniziato nel 2020 una sperimentazione pilota di reddito universale, utilizzando a tale scopo fondi provenienti da donazioni private. Il progetto è seguito e valutato dal  German institute for economic research (qui) e coinvolge almeno 120 persone alle quali viene erogata la somma di 1.200 euro mensili per tre anni.

Infine, in Spagna, a partire da gennaio 2023 è partito un progetto pilota in due Comuni della Catalogna, dove a 10mila persone saranno erogate mensilmente le somme di 800 euro per adulto e 300 per giovane over 18 anni, per la durata di 24 mesi.

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Le prospettive future del reddito universale

Proiettato negli anni a venire, il reddito universale potrebbe essere il collante con cui tenere insieme le società, giuste, del futuro. Infatti, aleggia da tempo la convinzione per cui le importanti innovazioni che si verificheranno nel campo delle tecnologie saranno motore di una nuova rivoluzione nel mondo del lavoro. L’automazione dei lavori più duri e ripetitivi è una realtà per le società tardo-capitaliste fin dagli anni 1980, e la tendenza va verso una sempre più incisiva sostituzione del lavoro umano con il lavoro svolto dalle macchine. Ne è un esempio, anche se i suoi risvolti sono ancora tutti da scoprire, l’avvento di ChatGpt (qui) https://futuranetwork.eu/interviste-al-futuro/749-3742/chatgpt-a-traduttori-e-traduttrici-lintelligenza-artificiale-non-vi-sostituira  che ha fatto tremare il mondo dei traduttori e dei giornalisti, timorosi di essere sostituiti dal software.

Secondo uno studio realizzato dall’Università di Trento nel 2021, intitolato “Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia(qui) https://iris.unitn.it/handle/11572/320746?mode=completela “rivoluzione digitale” che stiamo attraversando porterà a un innalzamento significativo della disoccupazione tecnologica, ovvero del numero di persone la cui mansione è stata sostituita da una macchina. Secondo il paper, il 33,2% dei lavoratori in Italia svolge un’occupazione che con molta probabilità verrà presto rimpiazzato dalle macchine.

Ci si interroga sulle prospettive di aumento della disoccupazione nel prossimo futuro. Il sistema economico che nascerà dalle transizioni verde e digitale creerà più posti di lavoro di quelli che distruggerà? Durante questa transizione, come sopravviveranno i milioni di persone che non avranno un impiego? Nella storia del sistema di produzione capitalista, la disoccupazione tecnologica è un concetto che è stato affrontato fin dai primi pensatori. David RicardoJoseph Schumpeter John Maynard Keynes sono solo alcuni dei teorici classici che hanno affrontato questo tema nelle loro ricerche. Anche se, per semplificare, le loro posizioni portano ad affermare che ogni volta che il ciclo di produzione “riparte” dopo una crisi sistemica il numero di posti di lavoro creati supera quello dei posti di lavoro distrutti, questo potrebbe non essere più vero in futuro e potremmo trovarci di fronte a un evento mai visto prima.

Millenium project ha recentemente pubblicato il Rapporto “Work/technology 2050. Scenarios and actions” (https://millennium-project.org/wp-content/uploads/2019/10/Executive-Summary-Italian-3.pdf), all’interno del quale viene affrontata la questione delle “New technologies”, ovvero dell’insieme di nuove tecnologie che caratterizzeranno il nostro futuro. In pratica, si sta parlando di stampanti 3D e 4D, della biologia sintetica e genomica, della realtà virtuale e aumentata, e ovviamente anche dell’Intelligenza artificiale (Ai). Questo insieme eterogeneo viene raggruppato appunto intorno alla nozione di “New technologies”. Il documento accetta il fatto che, secondo diversi studiosi, le rivoluzioni tecnologiche hanno in passato sempre creato più posti di lavoro di quanti ne abbiano distrutti. Ma il Rapporto evidenzia sette fondamentali punti di differenza rispetto al passato, tra cui: l’accelerazione tecnologica, la globalizzazione, internet, la standardizzazione di database e protocolli, il ridotto tempo di adattamento a disposizione degli individui, e il machine learning. Inoltre, sono da considerare l’aumento dei divari di reddito e il fatto che il costo del lavoro si sta facendo sempre più alto rispetto al costo dell’Ai. In poche parole, “ci si aspetta che i tassi di disoccupazione nella produzione e nei servizi aumenteranno”, e che diventi norma la “crescita economica senza lavoro”. Di fronte a questo contesto, il testo elaborato dal Millennium project è molto chiaro: solo grazie al reddito universale si potranno smussare gli effetti dirompenti che avranno le nuove tecnologie sul mondo del lavoro.

Il reddito universale potrebbe quindi essere lo strumento attraverso il cui si riuscirà a garantire in futuro una vita dignitosa a tutti gli individui, soprattutto in vista degli stravolgimenti che investiranno il mondo del lavoro in termini di innovazione tecnologica. Ma la realizzazione di un reddito universale incondizionato è ancora abbastanza lontana, e in nessun Paese del mondo si sta verificando questa opzione. Eppure, saranno forse le stesse cittadine e cittadini che in futuro, davanti al degradarsi delle condizioni di lavoro legate all’automazione, potrebbero richiederlo a gran voce. Per esempio, in Italia, a seguito dell’abrogazione del Reddito di Cittadinanza, è nata la campagna “Ci vuole un reddito”, (https://www.facebook.com/civuoleunreddito/) che chiede proprio l’adozione non di un sussidio lavorativo, ma di un vero e proprio reddito universale.

mercoledì 12 aprile 2023

Alla fine nelle parentesi, con apice  (*), (**), (***)……. i ricercatori che diffondono questo “credo”

(* prof. ordinario di statistica economica, Giovanni De Luca), DISAQ, Uniparthenope,  (**prof. associata di statistica economica, Antonella Rocca DISAQ, Uniparthenope,),  (***prof. associato di statistica economica, Paolo Mazzocchi, DISAQ, Uniparthenope,  ), (****ricercatrice ISTAT Napoli Simona Cafieri), (*****Antonio D’Amaro  – Student at New York University, Stern School of Business – Incoming Investment Banking Leveraged Finance Analyst at SocGen, NY,(****** prof emerito di statistica economica, Claudio Quintano DISAQ, Uniparthenope)