In Italia strane, ma non straordinarie, vicende stanno caratterizzando l’avvento natalizio

53
in foto Angelo Becciu (Imagoeconomica)

In Italia strane, ma non straordinarie, vicende stanno caratterizzando l’avvento natalizio. Una di esse tocca, seppur da remoto, l’evento religioso annunciato dalla buona novella. Sarà la sacralità del momento, sarà che altri problemi sugli schermi delle TV rubano a esse la scena, le vicende del giudice Piercamillo D’Avigo e  del cardinale Angelo Becciu probabilmente non stanno ricevendo la considerazione che (de)meritano. Passi, ma non sia così giustificato, il comportamento usato dalla magistratura vaticana in relazione alle colpe del  monsignore. Alcuni dei suoi componenti hanno individuato comportamenti di quel cardinale non proprio lineari in relazione a operazioni immobiliari, avviati tra le sacre mura e conclusi all’estero. Non è, per buona sorte, un comportamento consueto delle gerarchie  ecclesiastiche. Dagli inizi alla fine del secolo scorso si contano almeno due comportamenti messi in atto in danno delle finanze della Santa Sede: il primo, collegato allo scandalo del Banco di Roma, a opera del presidente Giuffrè, detto “il Banchiere di Dio”; il secondo, messo a segno da monsignor Marcinkus, presidente dello IOR, l’ Istituto per le Opere di Religione.

La vicenda di Monsignor Becciu è appena al giorno dopo del primo giudizio, quindi ci sarà ancora tempo per poter approfondire. Non è successa la stessa cosa per una meteora dell’ apparato giudiziario italiano che, pur essendone ormai fuori per raggiunti limiti di età, scaglia ancora detriti più che pericolosi sugli abitanti del Paese.Va aggiunto che, con un comportamento ancor più inquietante, non risparmia gli stessi lanci ai suoi ex colleghi. Risponde al nome di Piercamillo D’Avigo e non è persona nuova agli italiani di ogni categoria sociale. Da una parte di questi ultimi fu messo nel discutibile novero dei “salvatori della patria”, un gruppo di toghe operanti all’unisono all’ epoca dell’ affare (inteso alla maniera francese) 《mani pulite》. Quando si discute di giustizia serena, dovrebbe essere presa in considerazione la traduzione ad sententiam della frase ricorrente nei tribunali di Roma antica《parce sepulto》. Fa accapponare quindi la pelle la cattiveria- vile- di un operatore della giustizia (?), sicuramente un epigono riveduto e scorretto di quelli che amministravano la giustizia nell’Urbe antica. Al tempo di Cicerone, nel corso dei processi celebrati da magistrati di dubbia imparzialità, era  facile sentire l’esclamazione di qualcuno dei presenti che suonava: “summum jus, summa injuria!”. Nella versione attuale, uno di loro, quello innanzi identificato, ha accusato un’ intera corte di aver sbagliato la sentenza del procedimento che vedeva lui imputato. Aggiungendo che quella stessa corte aveva fatto altrettanto in molti procedimenti analoghi.

E pensare che, in campagna, si usa dire che cane non mangia cane, mentre quel poveraccio – di spirito – ha infierito sulla memoria di un imprenditore, morto probabilmente per essere incappato nel tritacarne manovrato a più mani da lui, con la collaborazione dei suoi degni colleghi. Non é comunque il solo episodio che fa volgere lo sguardo degli italiani, probabilmente la maggior parte di loro, con apprensione per valutare l’opportunità di rivolgersi a quel potere dello Stato. Si arriva a capire in tal modo, comunque senza giustificare, quanti talvolta rinunciano a adire davanti a una corte, perché terrorizzati da un pensiero. Quello che non sarebbe difficile trovarsi dalla parte del torto, peraltro già subito, anziché da quello della ragione, che li ha spinti a ricorrere a esso. In Toscana una situazione del genere è assimilata, a ragione, a quella del becco bastonato.