Banco di Napoli, Cortucci al Denaro: Ecco i retroscena del colpo di mano

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In foto, al centro, Gennaro Cortucci

di Gennaro Cortucci*

L’intervento di Carlo Della Ragione al convegno del 27 ottobre, pubblicato da Il Denaro del 29 successivo, riflette il punto di vista di chi ha vissuto in presa diretta le fasi di quel progetto miope e scellerato e, soprattutto, antimeridionalista, che portò alla sparizione della più antica banca del mondo privando il Mezzogiorno d’Italia del suo secolare ed insostituibile motore di sviluppo.

Le riflessioni del relatore danno già un’idea più che chiara del progetto, degli autori, dei favoreggiatori , dei beneficiari e, soprattutto delle vittime, tutte meridionali,

Al quadro tracciato vorrei solo aggiungere qualche elemento che deriva dall’esperienza diretta di chi si è trovato a vivere quei momenti da protagonista, perché chiamato a fungere da incolpevole capro espiatorio di quel progetto che, alla luce degli eventi storici successivi, può essere definito, oltre che miope ed antimeridionalista, addirittura criminale.

Premesso, quindi, che le riflessioni che seguono vogliono solo costituire un elemento di complemento al quadro già egregiamente tracciato dal relatore, mi pare opportuno fare qualche ulteriore considerazione.

In primo luogo, sulla inerzia della classe politica napoletana ma, in proposito , bisogna considerare che, in quel periodo, i più autorevoli politici napoletani della “ prima repubblica erano stati messi a tacere perché tutti destinatari. forse non a caso di pesanti incriminazioni in sede giudiziaria.

Il potere politico napoletano, rappresentato, in effetti, dal sindaco Bassolino ,si dimostrò, come riferito da Carlo della Ragione, del tutto indifferente perché, comunque, considerava il Banco di Napoli un feudo democristiano che si andava smantellando ; visione miope ed egoistica che non considerava, tra l’altro, che circa diecimila dei tredicimila dipendenti del Banco di Napoli erano di Napoli città e che quella operazione avrebbe portato inevitabilmente, nel tempo, a perdere quei preziosi posti di lavoro.

Per quanto riguarda i soggetti danneggiati, non vi è dubbio che essi sono da identificare nella fedele clientela, nei dipendenti della Banca e le loro famiglie, nella massa di professionisti, consulenti e fornitori che trovavano nel Banco insostituibili opportunità di lavoro ,nella Fondazione proprietaria della maggioranza del pacchetto azionario, che non solo si vide spogliata del patrimonio, ma fu anche privata, al presente ed in prospettiva, dei flussi reddituali indispensabili per supportare attività di sviluppo in tanti settori e, infine, negli azionisti privati che si videro anch’essi espropriati di capitale e reddito.

Tra quelli citati, i soggetti che più concretamente avrebbero potuto, anzi dovuto, valutare la possibilità di intraprendere un’ azione di risarcimento in sede civile – se non addirittura in sede penale tenuto conto della natura di alcune gravi violazioni commesse- sono da individuare nella Fondazione Banco di Napoli e negli azionisti privati.

A tal proposito, occorre aprire una parentesi per considerare che i progettisti di quel “golpe”, allo scopo di accreditare nell’opinione pubblica il convincimento che il Banco fosse in una crisi irreversibile determinata da operazioni scellerate dei suoi amministratori, si resero promotori, oltre che di una spietata campagna diffamatoria a mezzo stampa, anche di due azioni giudiziarie, una penale ed una civile di “risarcimento danni”.

Cioè BNL e Tesoro, che da quella operazione avevano tratto soltanto giganteschi quanto ingiustificati vantaggi, ebbero perfino la spudoratezza di richiedere, ai vecchi amministratori , un risarcimento quantificato addirittura in circa 12.000 miliardi di lire!

Ed il risarcimento venne chiesto anche al sottoscritto, in carica per gli esercizi 1991, 1992 e 1993 chiusi, ripettivamente, con utili per 177, 213 e 179 miliardi, tutti risultanti da bilanci approvati dal collegio sindacale, certificati e sui quali mai sono stati mossi rilievi, neppure dalla Banca d’Italia.

Chiamato a difendermi, in sede civile e penale da accuse infamanti ed assurde montate ad arte dai progettisti del “golpe” per inculcare nell’opinione pubblica il convincimento di una crisi irreversibile del Banco originata da un comportamento sciagurato degli amministratori, ebbi modo di approfondire la situazione, giungendo alla conclusione che esistevano tutti i presupposti perché la Fondazione Banco di Napoli e gli azionisti privati intentassero una causa di risarcimento danni nei confronti di Banca d’Italia, Ministero del Tesoro e società Rotschild, advisor di fiducia di ambedue.

Per le ragioni dei privati, interpellai il presidente dell’Adusbef dell’epoca, che manifestò la sua disponibilità ad appoggiare l’azione.

Per la Fondazione, ebbi a sondare la disponibilità del Prof. Giannola che, pur condividendo la fondatezza dell’iniziativa tanto che, durante il suo mandato di presidente, aveva regolarmente notificato tutti gli atti interruttivi dei termini di prescrizione, mi fece, però presente che, recentemente, era stato sostituito nell’incarico dal dr. Marrama; tentativi di approccio ulteriore non hanno dato frutti.

Se, però, dovessero maturare i tempi per la riproposizione dell’azione . sostenuta da una parallela iniziativa politica, a mio giudizio il primo passo da compiere sarebbe quello di tentare di stabilire il vero valore del Banco quando fu azzerato il valore delle sue azioni ed indetta, poi, quell’asta cosiddetta competitiva condotta, tra l’altro, in violazione delle più elementari norme sul conflitto di interessi.

A quell’epoca la soc. Rotschild – advisor di fiducia di Tesoro e Banca d’Italia , come ci ha ricordato Carlo Della Ragione, effettuò, a distanza di poco più di un anno, due valutazioni.

La prima quantificò il valore complessivo del Banco di Napoli in circa 100 miliardi, per cui il 60% del suo capitale fu assegnato alla BNL per 60 miliardi di lire.

La seconda, effettuata per stabilire il prezzo di rivendita ad IMI Sanpaolo, giunse ad un valore oscillante tra 6.000 e 7.000 miliardi.

Per cercare di comprendere come possa essersi determinata una differenza di tal genere, occorrerebbe disporre di una copia dei due documenti ; in mancanza, si può, però, azzardare qualche ipotesi, cominciando dal domandarsi quale evento, verificatosi in quel periodo, possa avere portato a conclusioni tanto diverse.

Il Banco di Napolidopo aver chiuso in perdita il bilancio 1996 per aver registrato, su imposizione della Banca d’Italia, perdite su crediti fuori della realtà nell’anno 1997 – lo stesso anno in cui il 60% del suo capitale fu aggiudicato alla BNL per 60 miliardi di lire- realizzò utili per quasi 150 miliardi.

In parole povere, la Banca aggiudicataria incassò, per i soli dividendi di competenza dell’esercizio 1997, circa 90 miliardi, cioè il 50% circa in più di quanto aveva pagato per aggiudicarsi il pacchetto di controllo del Banco di Napoli!

Sempre rimanendo nel campo delle ipotesi, bisogna ritenere, quindi che quella prima valutazione non tenne conto delle capacità di reddito prospettiche della Banca, neppure di quelle tanto prossime da essere già in via di realizzazione.

E ciò, se proprio si vuole escludere la malafede, sarebbe indice di una grave mancanza di professionalità della quale anche l’Advisor potrebbe essere chiamato a rispondere.

Successivamente, quando occorreva, nell’interesse di BNL e Tesoro, giungere a ben diversi valori, si tenne probabilmente contogiustamente e professionalmente anche dell’ ulteriore, decisivo elemento e, cioè, della capacità di reddito della banca, ormai del tutto risanata senza neppure sforzi eccessivi.

A suffragare un’ipotesi del genere sta infatti il fatto che l atualizzazione dei flussi reddituali dei successivi venti anni, anche a cifre costanti, effettuata ad un tasso ragionevole, porta proprio ad una valutazione oscillante tra i 6.000 ed i 7.000 miliardi delle lire di allora.

Si tratta, come detto, solo di ipotesi ma è da queste considerazioni che potrebbe partire un’eventuale azione finalizzata a rendere giustizia ai danneggiati, a ripristinare le capacità operative della Fondazione nell’interesse di tutto il Mezzogiorno, e, -perché no?- a riconoscere l’onestà e la dignità dei vecchi amministratori, infangata da accuse -risultate poi infondate in sede giudiziaria – ma che erano finalizzate a sostenere un progetto vergognoso ed antimeridionalista.

E quel progetto fu realizzato soprattutto a mezzo di una svalutazione del portafoglio crediti del Banco di Napoli, ingiusta e fuori della realtà, come emerso con chiarezza dalla successiva attività di recupero della SGA.

Ma sono, queste, considerazioni che andrebbero più opportunamente riprese in altra occasione.

*già alto dirigente e membro del Cda del Banco di Napoli