Le città invisibili: alla Bmta di Paestum il progetto di Giuseppe Leone ispirato al romanzo di Italo Calvino

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di Azzurra Immediato

Nel centenario della nascita di Italo Calvino, uno dei suoi scritti più noti, Le città invisibili, si propone quale vettore di lettura del presente nell’ambito di un progetto artistico e culturale, diretto da Giuseppe Leone e presentato dal Premio Penisola Sorrentina, insieme con Mic e Regione Campania, il prossimo 4 novembre, nel corso della XXV edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico|BMTA in programma a Paestum (Sa): Le città invisibili: luoghi e immaginari (per i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino).

Il romanzo di Calvino ha ispirato il simposio che si terrà a Paestum seguendo il filo conduttore che, da anni, Giuseppe Leone, artista, accademico e direttore artistico di diverse rassegne, tra cui VinArte e della rete di Comuni del Fortore, porta avanti in maniera caparbia: riscoprire le bellezze nascoste, pure, lontane dalle mappe del turismo di massa e troppo spesso tesori velati allo sguardo che meriterebbe di conoscere, approfondire e dar origine ad un viaggio nelle aree interne, costituito da arte, cultura, territorio e sua ricchezza antropologica di cui troppo poco si conosce. L’entroterra campano, spesso legato ad un immaginario passato ed immobile, serba in sé potenzialità catalizzatrici che la cultura, l’arte contemporanea e la possibile commistione di intenti potrebbero trasformare in una sorta di necessaria rivoluzione economica di rilancio di luoghi dal fascino unico che, invece, rischia sempre più l’oblio e il decadimento della memoria. Come ha affermato Leone, difatti, la ricerca sul viaggio, che dagli albori della sua ricerca artistica torna come fil rouge di espressione e narrazione in modo coerente e sempre nuovo, l’iconografia e la progettualità simbolica, pittorica e scultorea, si sono tradotti anche in un “sistema di promozione turistica di piccole realtà del Sannio, come ad esempio San Giorgio La Molara e Guardia Sanframondi, che costituisce una occasione preziosa per far conoscere e consolidare la memoria e il futuro delle risorse del territorio’. 

Guardia Sanframondi, ad esempio, è il luogo natio della rassegna VinArte, dove, da tredici anni, in agosto, il culto del vino, espressione massima di una tradizione diventata vera forza economica, incontra l’arte, secondo i termini di uno scambio tra il genius loci e l’Italia o anche l’estero, traiettoria che Leone ha avviato anche nel ‘suo’ Fortore. L’idea del viaggio, perciò, muta in qualcosa che attinge dall’assenza per farsi nuova presenza, per aprire le aree interne ad una prospettiva in grado di guardare ben oltre i propri confini. Al bando, perciò, il timore del confronto e Leone mostra e di_mostra quanto la cultura, l’arte, siano i linguaggi che prima e meglio di altri possono riuscire in un simile compito. 

Tornando, poi, al tema di Calvino e a quel dialogo che ne Le citta invisibili ebbe luogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, questo legame ante litteram innescato dalla Via della Seta è un tema molto caro a Leone che, oltre un decennio or sono, diede origine ad un peculiare tragitto tra l’Italia, Napoli e l’entroterra campano di Guardia Sanframondi con VinArte e la Cina, la provincia di Hebei e la sua Università. Nel 2011 Leone portò avanti con VinArte e l’Accademia di Belle Arti di Napoli un progetto – certamente visionario e precorritore dei tempi – di residenze artistiche per giovani studenti accademici cinesi in un fervente dialogo con studenti accademici italiani, tra cui Jorit, Emmanuele Di Ruvo e Andrea Matarazzo, per ricordarne alcuni. In una sorta di rovesciamento, Leone stabilì una connessione attraverso il ruolo affidato ad un object trouvé che accomunava gli studenti: lo sgabello. Questo diventò ‘sgabello d’artista’, opera di traslazione simbolica, artistica, antropologica e culturale tra i due universi: italiano e cinese. Leone aveva immaginato di tradurre lo ‘sgabello’ delle aule in elemento portatore di una valenza artistica metaforica, secondo una sua ricodificazione ontologica e concettuale. Il maestro, nel 2011, affermava: ‘Desta molto interesse anche l’opera in sé: lo sgabello, che assume diverse funzioni di seduta, riflessione, ascolto e infine di colloquio come può essere quello tra l’Italia e la Cina’ e premoniva quanto, poi, la Storia avrebbe portato nella nostra realtà, tramite una riflessione sul quotidiano. Ed ecco che lo stravolgimento dell’oggetto come soggetto, dell’assegnazione di nuova identità portatrice di valori ben più nascosti di quelli in superficie, Leone aveva già posto in essere quale profondo valore del dialogo tra opposti in cui a sostanziarsi erano due questioni fondanti: l’importanza dell’Arte quale vettore interculturale, capace di abbattere ogni qualsivoglia limite spaziotemporale – e da qui ciò che intendo per ‘visione profetica di Giuseppe Leone’ , nda – e il valore assoluto delle nuove generazioni. A ciò, va poi aggiunta quella volontà sempre più necessaria nelle aree interne dove le bellezze nascoste sopravvivono: sondare la ‘maraviglia dell’ignoto’, linfa vitale di una spinta in grado di fondere Arte, Filosofia e Umano vivere. Negli anni successivi, Leone è tornato sull’asse culturale teso a Oriente, con la rassegna espositiva Cina, Cina, Cina e con il singolare progetto, Cu-Cina Italiana, interessante escamotage che ha riportato in auge un tema di genere, per poter poi entrare nel profondo di una indagine etnoantropologica di ampio respiro, tale da generare – come accadeva nel Secolo d’Oro delle grandi nature morte – una comunicazione afferente a canali diversi ma pur tradotti dall’arte, esaltando il tema del cibo quale metafora di esplorazione di tradizioni, di gusti e percezioni e della sua capacità di farsi linguaggio universale, proprio come il fare artistico. Ed ecco che oggi, dopo gli anni della pandemia che, inversamente hanno legato la Cina all’Ovest, i flussi dell’economia mondiale e molto altro, il colloquio tra Cina e Italia torna al centro della discussione per via metaforica. Il 4 novembre la manifestazione Le città invisibili: luoghi e immaginari (per i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino) sarà l’apertura di una discussione multidisciplinare che vedrà interpolarsi alla tavola rotonda Mario Esposito, Direttore Premio Penisola Sorrentina, Ugo Picarelli, Fondatore e Direttore BMTA, Nicola De Vizio, Sindaco di San Giorgio La Molara (Bn), Francesca Esposito, Event Planner, Concetta Pigna, Vice Presidente e Responsabile ricerca e sviluppo “La Guardiense”, Guardia Sanframondi (Bn), Pasquale Sabbatino, Docente ordinario di letteratura italiana Università Federico II Napoli al fine di comprendere come lo svelamento di quelle bellezze nascoste decantate da Leone sono il fulcro di una visione voltata ad un nuovo turismo pensato per l’entroterra, frutto di magistrale comunione di intenti, di risorse, di ricchezze e di tensioni verso nuove vie esplorative. A chiudere poi l’incontro sulla presentazione di modelli di promozione e sviluppo del turismo culturale nelle aree interne una dedica da parte di Giuseppe Leone con l’opera dedicata al centenario della nascita di Italo Calvino: Le Città invisibili: luoghi e immaginari. Immaginari che sortiscono l’effetto della memoria, della sua frammentazione che è attestazione di qualcosa di avvenuto, accaduto, un immenso collage di fotografie, ritratti, volti, luoghi che definiscono, seppur in maniera poeticamente caotica, l’affastellamento di pensieri e istanti di una storia codificata e realizzata. A campeggiare al centro dell’opera, il profilo di Italo Calvino, una sagoma che, come afferisce Leone ‘diventa quasi un transfert, una sorta di specchio nel quale mi rifletto’ ed ecco che il triplo linguaggio, pittorico, installativo, fotografico scelto dall’artista sannita delinea un perimetro a geometria variabile di una narrazione plurima, di un viaggio che Leone ha diretto nell’entroterra campano, con le tappe di Guardia Sanframondi, San Giorgio la Molara, Buonalbergo e Benevento. ‘Marco Polo dice che ponti sono fatti di pietra, ma non solo. È il pensiero dialogico a farsi ponte, in una logica sperimentata negli anni, nelle accademie, con gli artisti con cui ho avuto modo di presentare visioni e ricerche che mai, altrimenti, si sarebbero incontrate. E se il pensiero di Calvino è in fondo rimasto una costante nel mio lavoro, oggi sento la necessità di riportarlo in auge non solo per l’occasione del centenario ma per far sì che, in comunione con la sua prospettiva, quei tesori del nostro territorio si trasformino in simboli di un riconoscimento, all’interno di una realtà sempre più caotica, augurandomi che la comunità culturale e istituzionale cerchi e sappia riconoscere insieme a noi chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio, per dirla con parole di Calvino”.