L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare. Come diceva Bartali

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in foto l'aula di Montecitorio (Imagoeconomica)

di Franco Fronzoni

Così diceva Bartali parlando del ciclismo, ma erano gli anni 49-50 del secolo scorso; oggi invece, è vero, qui in Italia, per tutto e per tutti noi.
Sono sbagliati, la Burocrazia (poco efficiente e poco competente), la Giustizia (lenta e politicizzata), la Sanità regionale (scarsa e mangia quattrini), i Partiti politici (ormai ridotti soltanto a procacciare voti), le Organizzazioni dello Stato, delle Regioni, dei Comuni (ove tutti sono soltanto alla ricerca di stipendi e di incarichi ed incapaci persino di spendere le dotazioni disponibili); sono sbagliati anche molti comportamenti di noi Cittadini (sempre poco ossequienti alle leggi)
Tutto di quanto sbagliato dipende evidentemente, da noi cittadini, che dimentichiamo che in uno Stato democratico siamo noi che nominiamo chi ci guida, per cui colpa nostra di quanto accade, anche se le scelte a farsi avvengono fra candidati, di per sé, poco adatti e poco preparati.

Alla base di tutto permangono una scarsa coscienza di quanto avviene, un diffidente interesse alla cosa pubblica (astensione dal voto, ad esempio) e scarsissimo senso di responsabilità individuali.
In questo marasma si salvano, molto meritoriamente, i pochi servitori dello Stato efficienti e coscienziosi che operano in un mare di leggi e di difficoltà ambientali. Tutto, da noi, è in declino dal tempo della ricostruzione di fine guerra, quando in un miracolo di attività, di dedizione, di iniziative e di entusiasmi, del senso del dovere e dello stato di necessità, si lavorava anche il sabato. Era un tempo nel quale si arrivò a che la lira facesse aggio sul dollaro; chi lo ricorda? Dopo, declinò tutto, l’ossequio alle leggi, la voglia di lavorare, la coscienza del dovere e, via via sempre più abbiamo cominciato a chiedere diritti, a lavorare meno ed essere pagati di più, mentre le Organizzazioni tutte, anziché contrastare la deriva e raddrizzare la rotta, ne subivano man mano l’influenza, anch’esse verso l’attuale inefficienza.

Questo quadro si racchiude nella istanza di non già, “sempre più diritti e più doveri”, bensì soltanto “più diritti” e, ben alla larga dal più doveri. Da tanto scaturisce che la colpa è nostra, nella nostra prima sede quella della Famiglia e nella Scuola sua naturale succedanea.
La Famiglia è cambiata; i figli (così come, d’altra parte, i padri e le madri) con la richiesta di sempre più diritti, comprensioni e tutele; anche le istanze per il lavoro alle donne hanno sconvolto i ruoli di un tempo ancor prima di aver pensato alla realizzazione dei presidi necessari per poterli consentire; se ne è determinato uno sfascio, specie – ed è quello che ci rovina – nella educazione dei figli. Anche la Religione ha lasciato campo a tali slittamenti con troppa tolleranza per quanto avveniva; ma questo è altro argomento.
Al momento lo sfascio appare irreparabile, poiché non si avverte alcuna istanza di coscienti cambiamenti.
Appare, quindi, una questione di mancanza di educazione familiare e di educazione civica che poco si praticano e, meno si insegnano.
Anche la Scuola, in ogni suo ordine e grado, esercita il suo mandato con troppa tolleranza e comprensione verso scolari e studenti (lo sottolinea l’Unitalsi circa il livello di apprendimento), e verso i Professori (spesso inadeguati anche perché molti, ormai provengono, via via, da quel degradato tipo di scuola), impotenti dato l’intorno e/o resi indolenti dalle circostanze.

Per obiettività, dobbiamo evidenziare che pur esistono studenti ben preparati e coscienti del valore della scuola, nonché Docenti di grande valore e preparazione e ad essa molto dedicati; gli uni e gli altri, convinti che il sapere consente di fare qualcosa di utile per la collettività; questi Docenti agiscono quali meravigliosi locomotori trainanti lunghissimi treni di carri merci che contengono soggetti che al tempo erano, potenzialmente, in grado di divenire a loro volta locomotive; allo stato, invece, praticamente inutili.
Dovremmo tutti insieme batterci affinché la scuola possa tornare ad essere ciò per cui fu costruita – a suo tempo per pochi privilegiati, ma poi, giustamente estesa a tutti – al fine che tutti i giovani possano acquisire, non un semplice diritto allo studio, bensì il diritto/dovere di studiare seriamente, non soltanto per conquistare un titolo (sforzo inutile, a sé), ma per prepararsi a lavorare anche per il bene della Collettività, inquadrati in una economia nazionale, ciascuno, secondo istinto, convincimento, preferenze, doti personali e talenti, nella aprioristica considerazione che più avranno imparato, più potranno ottenere dalla vita. Andrebbe diffuso il concetto che, anche esercitando mestieri apparentemente secondari per i quali non occorrono sudi particolari si otterrà soddisfazione, ma soltanto se veramente capaci. La Società non può accettare chi non lavora, pur contribuendo – con orgogliosa umanità – a sostenere chi non riuscisse ad andare avanti.
A chi volesse obiettare che non c’è spazio per tutti, una risposta c’è. Ci sarà spazio per tutti, in una economi sana, ossia quella che guarda al lavoro qualificato con la giusta attenzione alla produttività; la soluzione è rappresentata dalla diminuzione dell’orario lavorativo (terza fase della industrializzazione), a beneficio dei lavoratori e delle loro Famiglie.
Scuola sotto accusa, quindi? Si effettivamente, poiché è lì che si formano i Cittadini, i Docenti, i Politici, l’Apparato dello Stato, i Ricercatori e, tutto il materiale umano che serve alla Produzione di beni e servizi, alla Sanità, all’Umanità; a noi stessi, in definitiva.
E, con un invito ad agire subito, poiché i risultati di un più corretto corso dell’istruzione arrivano molto lentamente, ma iniziano subito, pertanto, cominciare subito con azioni efficaci per arrestarne il declino, per la nostra salvezza nazionale.