Un tranquillo weekend propedeutico alla ripresa. Con gli occhi puntati al simposio di Jackson Hole

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in foto Kristalina Georgieva, economista e direttrice del Fondo Monetario Internazionale (Imagoeconomica)
Questo fine settimana non sarà tempo di relax originato dai meeting in corso, nei patri confini e fuori di essi. Indurranno inoltre a fare almeno una considerazione pregiudiziale. La stessa che, senza pretendere di trovare risposte univoche, nel pieno rispetto dell’argomentare per assurdo usato spesso dai matematici, fa interrogare loro stessi molti italiani.
Se il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non avesse accettato di svolgere il secondo mandato, gettando alle ortiche l’agognato e sospirato progetto di godersi il
meritato riposo programmato che stava pregustando, a che punto sarebbe la notte italiana? Non è una boutade, ma, nel panorama attuale, è forse individuabile una figura che potesse reggere il confronto con lui? Sarà l’ennesima ripetizione, comunque non è il caso di trascurarla, che tra le tante crisi che stanno sconvolgendo con violenza più o meno simile il Bel Paese, una sovrasta di una spanna tutte le altre. Si tratta della perdita dei valori di riferimento della democrazia per cui tanto si dettero da fare i Padri Costituenti. Volendo essere ancora più spietati, seppure non ancora disillusi, si fa presto a concludere che sta accadendo, a Roma e dintorni, qualcosa di simile a un dejà vu, di complessità fuori da ogni range ordinario.
In effetti sembrerebbe che tutte o quasi le alte cariche dello stato abbiano deciso, motu proprio, di riconoscere a se stesse una forma di salvacondotto in maniera  autonoma, senza un minimo di regolamentazione, tesa a esprimere il concetto: “Chi mi ama mi segua, intanto io ho già preso le mie decisioni in merito, senza dar conto a nessuno”. Quelli appena descritti sono comportamenti che non tutti i Capi di Stato sanno adottare adeguatamente. In più il pericolo per la tenuta delle istituzioni è concreto e non da sottovalutare soprattutto quando, è il caso attualmente sotto gli occhi di tutti, esso influenza in maniera decisa l’atteggiamento di alcune alte sfere delle forze armate. Esse vanno a sommarsi dai pochi cani sciolti alla muta rabbiosa di quanti dovrebbero, nella qualità, configurare il ruolo di amministratori della giustizia e della pace sociale. Se non tal quale, comunque in maniera che ricorda molto da vicino il modo di agire delle tricoteuses. Esse operarono durante la Rivoluzione Francese in qualità di prescelte dalla Dea Ragione per stabilire chi avesse torto e chi ragione.
Questi solo alcuni dei fatti di casa Italia che non lasciano presagire niente di entusiasmante dal punto di vista sociopolitico, almeno fino alla fine dell’anno in corso. Nubi almeno altrettanto cupe danno segno di esse stesse ex aliunde, precisamente da Jackson Hole, in Wyoming, Usa. All’annuale incontro in quella località tra le menti più quotate che si occupano, o almeno provano, di far funzionare la finanza del mondo nel migliore dei modi, tra di loro spiccano il Presidente della FED, Jerome Powell e la sua omologa della BCE, Christine Lagarde. Non in sintonia con entrambi la direttrice dell’FMI, Kristalina Georgieva.
Questi i fatti. I primi due, nei loro interventi, entrambi brevi, succinti e compendiosi, hanno confermato le scelte degli istituti che presiedono circa il tenere un atteggiamento identico sulla politica monetaria in genere. Hanno riferito entrambi in quella sede che nel breve periodo i tassi delle valute gestite dalle loro banche continueranno a salire. A loro dire, questa politica sta dimostrando (?) di essere un metodo efficace di contrasto all’inflazione. Diverse sono state le pause di silenzio imbarazzato come risposta a quelle affermazioni non proprio convincenti. Ciò che più fa riflettere chi in qualche modo sta seguendo gli sviluppi di quei confronti,  sono le puntualizzazioni dichiarate dalla direttrice del FMI in quel contesto.
Proposta a un livello di poco superiore a quella ricavabile da una conversazione tra umarell la domenica mattina, quando i cantieri che osservano e commentano sono fermi. Mettendo a punto la loro idea al riguardo, stimolata dalle considerazioni che stanno venendo fuori al simposio di Jackson Hole, hanno così concluso prima di congedarsi per il pranzo familiare del dì di festa. Hanno affermato, in buona convergenza di vedute, che non manca molto perché le discrasie tra le gestioni del dollaro e dell’euro deflagrino piuttosto  rumorosamente. Ciò non senza conseguenze che, fuori misura, alla vigilia dell’inizio dell’ultimo trimestre del 2023, si troveranno decisamente dilatate rispetto a quanto ipotizzato giusto all’inizio di quest’anno. Già da domani, principio di una settimana lavorativa pressoché standard, sarà necessario prepararsi a tentare di tenere quanto più è possibile distinte le ipotesi che andranno sviluppandosi intorno al corso del dollaro e a quello dell’euro. Pro bono pacis, sarebbe importante che la correzione della tendenza venisse messa in opera nel minor tempo possibile. Sarebbe, anche se limitato, un viatico di per sé gìà beneaugurante. Del resto nel villaggio ricorre spesso la frase sentenza: “La processione prende forma strada facendo”.