Meeting di Rimini, la nostra Africa. Sulle orme di Mattei: l’alternativa dolce al nuovo rapace colonialismo

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in foto Antonio Tajani e Giampaolo Silvestri

“Le nostre comuni sfide con l’Africa”, tema dell’incontro al Meeting di Rimini con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, si possono fronteggiare e vincere se ci poniamo in una condizione di parità rifuggendo dalla pratica coloniale e predatoria che altri paesi hanno adottato o adottano tutt’ora facendo della forza economica o militare il loro formidabile grimaldello. Il nostro, invece, è l’approccio morbido, dialogante, che prende il nome di Piano Mattei (un metodo, in verità) per ricordare il grande lavoro diplomatico e imprenditoriale svolto dall’allora presidente dell’Eni, Enrico.
Uno dei punti qualificanti di questo modo d’intendere e operare risiede nel ruolo delle piccole e piccolissime industrie, anche artigianali, che rappresentano il nerbo economico dell’Italia e possono essere portatrici oltre sponda di conoscenze, buone prassi, tecnologia. Le relazioni d’amicizia e d’affari con il gigante dirimpettaio possono e devono viaggiare sul filo della collaborazione e dell’interesse reciproco: il nostro per i loro mercati, il loro per i nostri insegnamenti. Un ponte fatto dunque di buone intenzioni e azioni virtuose secondo la migliore tradizione nazionale.
Un’idea del genere non nasce dal nulla perché illumina e conferisce valore al Forum dell’economia sostenibile la cui prima edizione vede la luce nel 2018 su impulso dell’allora presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (l’attuale Carlo Bonomi ha mantenuto l’impegno) e della madrina di San Patrignano Letizia Moratti con il sostegno di Cassa depositi e prestiti e della fondazione E4Impact. Un pacchetto di mischia di notevole spessore culturale e operativo in grado di proporre una serie di iniziative rivolte proprio a definire e affrontare “le nostre comuni sfide con l’Africa”.
Tre, in particolare, i filoni individuati: il partenariato pubblico-privato per lo sviluppo, l’inclusione, la finanza sociale. Nel primo caso si tratta di attivare vere e proprie forme di tutoraggio da parte di imprese italiane a favore di quelle africane con l’obiettivo di metterle sulla strada del business. Nel secondo, di formare migranti trasferendo loro competenze manageriali da poter successivamente spendere in patria. Nel terzo, di promuovere l’emissione di green e social bond per finanziare sul posto investimenti diretti ad avere un impatto positivo sull’ambiente e la società.
Al tempo, l’Italia era il quinto partner commerciale dell’Africa per un volume di affari valutato in 11 miliardi di dollari. Nel frattempo, l’interesse a favorire e mantenere buoni rapporti con i nostri vicini è aumentato a dismisura soprattutto per la necessità di trovare nuove fonti energetiche dopo il ripudio di quelle russe in conseguenza della guerra scatenata da Mosca in Ucraina. Da buona azione, l’intervento nel popoloso continente – che continua ad alimentare un enorme flusso di fuoriusciti difficile da gestire – è diventato strategico per la nostra stessa sicurezza nazionale.
Ora, constatare che la politica recupera il senso del progetto confindustriale conferendogli una forte legittimazione istituzionale è una buona notizia. Alle logiche di potenza dei nostri concorrenti più agguerriti contrapponiamo una capacità attrattiva dolce ma non per questo meno persuasiva. Occorre avere la lungimiranza di costruire un progetto Paese da adottare e mettere in opera a tutti i livelli per assicurarci la fiducia e la cooperazione di popoli che controllano, tra l’altro, le materie prime e le terre rare di cui avremo bisogno per alimentare la doppia transizione verde e digitale.