Pochi giorni fa la News Letter di IZA – World of Labor, dell’8 agosto 2023, presenta un interessante articolo di Hélène Périvier, Gregory Verdugo “Where are the fathers?”
In Italia non siamo in grado ancora di valutare una questione molto importante, cioè, se il congedo paternale influisce, o meno sulla riduzione del divario di genere, invece crescente, nella partecipazione alla forza lavoro e nei guadagni post parto, in quanto la normativa si è assestata solo nel 2023, in occasione dell’approvazione dell’ultima legge di Bilancio.
Congedo parentale, in Italia, a chi spetta?
Alla coppia di genitori lavoratori dipendenti spettano, complessivamente, 10 mesi di congedo parentale continuativi o frazionati (elevabili a 11 mesi nel caso in cui il padre si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi) sino al compimento del dodicesimo anno di vita del figlio (o dall’ingresso in famiglia).
I primi 9 mesi sono indennizzati al 30% della retribuzione e devono essere fruiti nel modo seguente: 3 mesi dalla madre; 3 mesi dal padre; 3 mesi di comune accordo tra i due genitori.
I periodi ulteriori a 9 mesi, eventualmente richiesti dai genitori, sono indennizzati (sempre al 30%) solo se il richiedente risulta in possesso di un reddito individuale inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione INPS (circa 1.370 euro al mese). In caso contrario, non saranno indennizzati.
Al genitore “solo” sono riconosciuti 11 mesi di congedo parentale, continuativi o frazionati, di cui 9 mesi sono indennizzabili al 30% della retribuzione.
“Per indagare su queste questioni Hélène Périvier, Gregory Verdugo, nella News Letter di IZA – World of Labor, hanno condotto un’analisi delle conseguenze di una riforma del 2015 in Francia che ha introdotto un’assegnazione specifica fino a 12 mesi di congedo retribuito esclusivamente per i padri, riducendo contemporaneamente il congedo massimo retribuito disponibile per le madri dello stesso numero di mesi. Nonostante il basso tasso di partecipazione dei padri prima della riforma (circa il 2,4%) e il livello relativamente modesto dei benefici, rimasti invariati e corrispondenti a un terzo del salario minimo, il governo ha previsto un aumento significativo della percentuale di padri che usufruiscono del congedo parentale.”
Gli autori dell’analisi, Hélène Périvier, Gregory Verdugo, nella News Letter di IZA – World of Labor, esaminando i dati amministrativi e confrontando i genitori di bambini nati prima e dopo la riforma, scoprono che il numero di padri che hanno preso il congedo parentale dopo la riforma è stato sorprendentemente basso. A fronte di un calo di 25 punti percentuali del tasso di partecipazione delle madri dovuto alla riduzione del congedo parentale, la partecipazione dei padri è aumentata di meno di un punto percentuale. Tuttavia, la riforma ha avuto un chiaro impatto sui redditi da lavoro delle madri, portando a una riduzione del divario di genere nei redditi e nella partecipazione alla forza lavoro dopo il parto. Dagli autori è stato anche osservato un effetto positivo, anche se impreciso, sui guadagni dei padri, indicando che la riduzione del congedo parentale delle madri potrebbe aver incoraggiato alcuni padri a lavorare di più invece di prendere il congedo.
Infine, Hélène Périvier e Gregory Verdugo, nella News Letter di IZA– World of Labor di agosto 2023 osservano: “Nel complesso, i nostri risultati suggeriscono che, in un contesto di livelli di prestazioni relativamente bassi e nonostante la disponibilità di un congedo parentale part-time leggermente meglio compensato, l’offerta di mesi specificamente destinati ai padri non ha aumentato in modo significativo i loro tassi di partecipazione. Se il limitato successo della riforma nell’aumentare la partecipazione dei padri può essere attribuito principalmente ai bassi livelli di indennità, i dati empirici indicano anche l’influenza dello stigmatizzazione che si configura. Si è scoperto che la maggior parte dei padri che lavorano a tempo parziale ha scelto di non usufruire del congedo parentale, anche se ciò avrebbe comportato un aumento del reddito mensile di 200 euro. Inoltre, i padri con un reddito più elevato, che potrebbero essere meno vincolati dalle norme tradizionali di genere, e quelli che risiedono in regioni con atteggiamenti più favorevoli nei confronti del congedo dei padri, hanno avuto maggiori probabilità di sfruttare il tempo di congedo offerto dalla riforma.”