“Il Rapporto regionale Pmi registra in maniera precisa ed evidente gli effetti delle gravi difficoltà vissute dal nostro Paese negli ultimi tre anni dovuti a diversi fattori: la pandemia, il conflitto tra Russia e Ucraina e l’inflazione che, purtroppo, presenta tassi in continua crescita. Ma, nonostante si parli di un rallentamento per le zone Centro – Sud, in Campania si sono riscontrati dati incoraggianti riferiti ad un incremento sia del numero delle Pmi che di quello delle società di capitali”, dichiara il presidente di Confindustria Campania, Luigi Traettino.
Il Presidente conclude affermando: “Il momento resta comunque critico per la nostra regione, infatti, ritengo che siano necessari maggiori interventi a sostegno della crescita e lo sviluppo dimensionale, culturale e manageriale delle Pmi. Il sistema imprenditoriale campano ha un grande potenziale, così come dimostrato dalla tenacia e la resilienza con cui gli imprenditori hanno affrontato la difficile congiuntura dell’ultimo periodo, pertanto, bisogna fare il necessario per garantire loro gli elementi necessari a superare le criticità che il nostro sistema associativo rappresenta ai tavoli istituzionali e assicurare, in tal modo, la tenuta economica e sociale dell’intero Paese”.
Il Rapporto Regionale Pmi 2023, realizzato da Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit, approfondisce la struttura e l’evoluzione dello stato di salute delle piccole e medie imprese italiane da una prospettiva territoriale. Il rapporto analizza i conti economici delle circa 160mila Pmi italiane, basandosi sui dati di consuntivo del bilancio 2021 e offrendo stime per il 2022, attraverso i modelli predittivi economico-finanziari di Cerved.
I dati mettono in evidenza i diversi impatti sui sistemi di Pmi territoriali degli shock sequenziali che negli ultimi anni hanno colpito il nostro sistema economico. Sul fronte dei conti economici si stima una sostanziale tenuta di fatturato (+2,4%), valore aggiunto (+1,4%) e MOL (+2,9%), che recuperano i livelli del 2019 (rispettivamente +9,1%, +8,7% e +14,9%). La tenuta del fatturato rispetto al 2021 si manifesta tuttavia con diverse intensità tra le aree (+2,5% per Nord-Ovest e Centro, +2,1% per Nord-Est e Mezzogiorno). Questi indicatori sono accompagnati da evidenze meno incoraggianti, che suggeriscono una possibile inversione di tendenza nel prossimo biennio. I segnali di rallentamento sono più significativi nelle zone del Centro-Sud e lasciano ipotizzare un incremento del divario strutturale tra sistema produttivo settentrionale e meridionale.
I primi effetti dell’inflazione e dell’aumento del costo del debito fanno contrarre la redditività netta e gli utili delle Pmi. Nel 2022 si stima infatti un calo del ROE dello 0,6% (dal 12% all’11,4%). La riduzione della redditività è più marcata nel Centro (dall’11,4% del 2021 al 10,4% del 2022) e nel Mezzogiorno (-0,8%, dal 13% del 2021 al 12,2% del 2022), con il Nord-Est e il Nord-Ovest che soffrono di meno (-0,4% per entrambe; dal 12,5% del 2021 al 12,1% del 2022 per il Nord-Est e dall’11,5% all’11,1% per il Nord-Ovest). In parallelo, la quota di PMI in perdita passa dal 12.2% del 2021 al 27.9% del 2022, con effetti più significativi nel Centro (+16,4%; dal 13,4% al 29,8%).
Il peggioramento della congiuntura genera impatti anche sulle abitudini di pagamento delle Pmi: i mancati pagamenti sono attesi in rialzo del 4,3% a livello nazionale (sono il 29,4% delle fatture nel dicembre 2022 contro il 25,1% del dicembre 2021). I valori più elevati si toccano tuttavia nel Mezzogiorno (39,6%; +5,8% su base annuale) e nel Centro (32%; +2,9% sull’anno). Più contenuti i mancati pagamenti nel Nord-Est (22,7%; +3,5%) e nel Nord-Ovest (27,2%, +4,6% sull’anno). Segnali di un’inversione di tendenza si intravedono anche tra gli indicatori di stabilità finanziaria. Il leverage è stimato in aumento del 2% nel 2022 (da 62,6% nel 2021 a 64,6% nel 2022), con gli incrementi maggiori nel Centro (+2.4%, da 72.6% a 75% nel 2022) e nel Nord-Ovest (+2,3%, 60.9% nel 2021 vs 63.2% nel 2022), mentre il Nord-Est (+1,9%, da 57% a 58,9% nel 2022) e il Mezzogiorno (+1,1%, da 67,2% nel 2021 a 68,3% nel 2022) registrano aumenti al di sotto della media nazionale. Le stime prevedono un deterioramento anche del rapporto tra oneri finanziari e MOL, che cresce dell’1,5% nel 2022 (dall’8,5% nel 2021 al 10% nel 2022), toccando picchi di crescita a livello di area nel Nord-Ovest (+1,7%, da 8,1% nel 2021 a 9,9% nel 2022) e nel Nord-Est (+1,5%, 6,9% nel 2021 vs 8,5% nel 2022).
Il rapporto monitora, inoltre, l’evoluzione dell’uscita dal mercato delle Pmi. Le stime del 2022 confermano la prosecuzione del congelamento delle chiusure che si osserva dal 2019; i fallimenti calano del 34,7% su base annua (661 nel 2022 vs 1013 nel 2021) e le procedure non fallimentari del 49,4% (da 330 nel 2021 a 167 nel 2022). Il calo dei fallimenti è particolarmente marcato nel Mezzogiorno (-45,2%, da 230 a 126) e nel Nord-Ovest (-42,2% da 341 a 197), mentre le procedure non fallimentari si riducono particolarmente nel Nord-Est (-60,2%) e nel Centro (-55,3%).
Il Rapporto viene presentato in un momento complicato per le PMI italiane, segnato dal triplice shock che ha colpito le economie dei paesi avanzati: la pandemia, l’invasione russa dell’Ucraina e il ritorno dell’inflazione, con il conseguente aumento repentino dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve e della Banca centrale europea. Scosse che si sono innestate su un contesto internazionale in cambiamento, con un ritorno della politica industriale attiva nelle principali aree economiche e tendenze a una regionalizzazione degli scambi.
In particolare, il persistere dell’inflazione ben oltre i propri obiettivi di mandato sta spingendo la BCE a un continuo e deciso rialzo dei tassi, che si ripercuote sul costo dei finanziamenti alle imprese e, indirettamente, sul credito richiesto e su quello concesso, così come sugli investimenti. Dopo quasi otto anni di tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali inferiori o pari a 0,25 punti, in un anno (da luglio 2022) si sono raggiunti oggi 4,00 punti. I processi di ristrutturazione aziendale degli ultimi dieci anni, ancorché incompleti e differenziati tra settori e territori, avevano reso più solido il tessuto produttivo italiano. La crisi che ha caratterizzato – ed è seguita – ai periodi di lockdown ha però fatto fare alle imprese un passo indietro di 4 anni nel processo di rafforzamento dei bilanci osservato nei 10 anni pre-pandemia. Questo ha riguardato in particolare le PMI.
La dimensione delle imprese italiane rimane ancora mediamente ed eccessivamente piccola, soprattutto al Sud e in relazione ai principali competitor internazionali. Tale struttura dimensionale può rappresentare una sorta di indice, o sintesi, di una serie di difficoltà che impattano sulla competitività delle imprese. A fronte di queste difficoltà, aumentano anche le sfide per il futuro. La duplice transizione, ormai ineludibile, richiede ingenti investimenti a tutti i livelli della filiera, così come competenze adeguate agli obiettivi. Tanto il mercato quanto regole sempre più stringenti impongono anche alle piccole imprese un cambio nei propri processi, che a loro volta richiede più managerializzazione, più formazione e più investimenti.
In questo contesto, per aiutare le imprese a crescere e a prosperare è necessaria un disegno di politica economica e industriale coerente e di medio-lungo periodo, che agisca in primis correggendo le “criticità ambientali” con cui devono fare i conti le PMI e mediante incentivi mirati che risolvano o attutiscano i principali deficit. Inoltre, qualsiasi azione non può prescindere da azioni orizzontali, interventi di contesto che risolvano, o almeno riducano, quelle problematiche che, purtroppo, le imprese – specie piccole – sopportano con maggiore intensità, in particolare su alcuni territori.
Ci troviamo in un momento storico in cui disponiamo delle risorse per rendere possibile il superamento delle criticità che frenano la crescita competitiva delle imprese. Il PNRR rappresenta un’opportunità storica, la cui attuazione deve essere mirata a costruire un Paese moderno, efficiente, inclusivo e sostenibile, seguendo l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze: di genere, generazionale, di territorio e di competenze.
Per raggiungere questi obiettivi, la prima azione che il PNRR deve sostenere è l’implementazione delle riforme: del lavoro, che includa le politiche attive; del sistema scolastico, del sistema giudiziario e del fisco. Oltre alle riforme, il PNRR gioca un ruolo centrale per la realizzazione degli investimenti a sostegno della competitività, non solo del sistema imprenditoriale, ma di tutto il territorio. Sia riforme che investimenti hanno ora bisogno di una decisa spinta verso l’attuazione.
Sul fronte degli investimenti, oltre ai ritardi strutturali, si registra una situazione di incertezza, legata soprattutto al tema delle “rimodulazioni”. Alcune misure potrebbero essere spostate dal PNRR su altre programmazioni, come quella dei Fondi Strutturali o del Fondo Sviluppo e Coesione, che hanno tempi di rendicontazione più lunghi rispetto al 30 giugno 2026; mentre altre, se confermate, potrebbero subire un ridimensionamento nei passaggi intermedi.
La prima occasione di “aggiornamento” del Piano è rappresentata da REPowerEu. La priorità dovrebbe essere focalizzata su interventi da attuare con strumenti automatici, che possano, da un lato, sostenere le imprese ad affrontare i costi della trasformazione green e, dall’altro lato, favorire le condizioni di contesto a supporto di questo processo, tra cui gli investimenti nel digitale e sulle competenze necessarie in quest’ottica.
Oltre a interventi orizzontali e volti alla creazione di un contesto più favorevole alla competitività, sono inoltre necessari interventi di tipo più mirato per le PMI. Tra questi, fondamentali quelli volti a consolidare il ruolo delle PMI nelle filiere produttive, supportandone la crescita dimensionale, culturale e manageriale, anche attraverso soluzioni di finanziamento dedicate alla filiera stessa.
Il processo di cambiamento passa anche attraverso le competenze, tanto degli imprenditori quanto dei loro collaboratori: possono essere sviluppate all’interno, rafforzando i processi di formazione continua, o acquisite all’esterno, con l’ingresso in azienda di manager, anche “a tempo”. A tal proposito, l’alternanza è un’ottima occasione per sviluppare percorsi co-progettati tra scuola e imprese, perché queste ultime, anche quelle più piccole, non si limitano a “ospitare” gli studenti, ma sono direttamente coinvolte nel loro percorso di apprendimento.
Una spinta sulle PMI ad accelerare la transizione sostenibile viene anche dalle regole cui sono soggette le banche, le quali devono rendere trasparente al mercato la quota delle proprie esposizioni verso attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale ed incorporare la valutazione dei rischi ESG nei processi di concessione e monitoraggio del credito. Tali regole esercitano una forte pressione sulle PMI che devono attrezzarsi per fornire alle grandi imprese capo filiera e alle banche le informazioni di sostenibilità.
Quanto alla digitalizzazione, sarà necessario una revisione e un potenziamento degli strumenti a supporto della trasformazione digitale delle imprese, tenendo conto dei mutati obiettivi in ottica 5.0 e facendo tesoro dell’esperienza dei piani relativi al 4.0. Inoltre, per le PMI rimane di fondamentale valore il cosiddetto “network dell’innovazione 4.0”, composto da Competence center e Digital Innovation Hub, capaci di affiancare le imprese di minori dimensioni nell’analisi dei loro bisogni e nell’individuazione e applicazione delle tecnologie digitali più adatte.
Un’altra linea di azione attiene agli ambiti della ricerca e dell’innovazione. Le PMI affrontano sfide significative quando si tratta di sostenere i costi delle attività di ricerca e sviluppo. D’altro canto, grazie alla loro struttura flessibile, sono in grado di assorbire più facilmente le innovazioni di processo e di prodotto, anche se queste sono state sviluppate altrove. In tal senso, è particolarmente apprezzabile la misura “credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo”, incentivo nazionale che prevede una maggiorazione per le imprese localizzate nel Mezzogiorno. Occorre, in proposito, rafforzare l’innovazione sistemica, coinvolgendo con maggior efficacia il mondo delle università e della ricerca pubblica. Parallelamente, è fondamentale rafforzare la valorizzazione degli asset intangibili delle piccole imprese, sia per favorire l’acquisizione, la formalizzazione e la difesa dell’innovazione, sia nell’ottica di un dialogo banca-impresa che tenga conto anche di una lettura delle variabili qualitative delle imprese.
Sotto il profilo finanziario, come emerge dalle indagini della Banca d’Italia, il rialzo dei tassi di interesse sta oggi determinando una riduzione della domanda di prestiti da parte delle imprese e condizioni di accesso al credito decisamente più restrittive. Questo crea una serie tensioni finanziarie sulle imprese, che hanno contratto finanziamenti a tasso variabile e si sono indebitate per far fronte alla crisi degli ultimi tre anni. In tale contesto, è necessario intervenire per assicurare la sostenibilità del debito in essere delle imprese, favorendo operazioni di rinegoziazione e allungamento dei finanziamenti, incluse moratorie. A tal fine, sono tuttavia necessarie modifiche alle regole bancarie europee (in particolare della definizione di default), che scoraggiano tali operazioni. Occorre poi rivedere le regole temporanee europee sugli aiuti per consentire un allungamento della durata dei finanziamenti garantiti dallo Stato, sia in essere sia nuovi.
Vanno poi rafforzate le garanzie pubbliche. In particolare, per quanto riguarda il Fondo di Garanzia per le PMI, occorre intervenire per prevedere la gratuità di accesso per tutte le operazioni finanziarie, elevare le coperture di garanzia e innalzare l’importo massimo garantito. Le condizioni del credito in peggioramento rafforzano la necessità per le PMI di ricorrere maggiormente a strumenti di finanza alternativa, aprendo il proprio capitale a investitori esterni. Per questo, serve un set integrato di misure, in grado di raggiungere le diverse tipologie e classi dimensionali di imprese e di attivare sempre più il risparmio privato. Per farlo, è necessario che le imprese sviluppino maggiori capacità di comunicare al mercato e una governance adeguata, cui è possibile tendere, anche in questo caso, rafforzando il proprio grado di managerializzazione.
Per concludere, la revisione del sistema nazionale degli incentivi, avviata dal Governo, è condivisibile nella sua ratio di fondo: reimpostare il sistema utilizzando pochi strumenti e semplici, facendo leva quegli schemi agevolativi che, nella pratica, hanno già dimostrato di funzionare in maniera efficace (es. Fondo di Garanzia per le PMI, Nuova Sabatini, FRI), adattandoli, anche con il supporto delle Regioni, alle diverse e specifiche strategie ed esigenze.
Il sistema delle PMI, 2007-2021
Dopo la contrazione pandemica del 2020, nel 2021 si osserva un ritorno alla crescita del numero di PMI in Italia. In base agli ultimi dati demografici, si stimano infatti 163.551 PMI nel 2021, il 4,2% in più rispetto al 2020 e il 2,3% in più rispetto al 2019. Nel 2021 viene così recuperato il calo dell’1,8% osservato nel 2020.
L’aumento delle PMI si manifesta in tutte le aree d’Italia. L’incremento più deciso si registra nel Mezzogiorno (+5,3%), che supera dell’1,1% la media nazionale, nonostante i risultati negativi della Sardegna (-9,7%). Nel 2021, la seconda area in termini di crescita è il Nord-Est (+4,5%), con l’incremento più contenuto che si riscontra nel Nord-Ovest (3,3%). Gli incrementi maggiori si osservano in Molise (+10,9%), Puglia (+7,6%) e Calabria (+7,4%); i più contenuti in Piemonte (+3,0%), Trentino-Alto Adige (3,1%) e Lombardia (3,3%).
Il Molise è anche la regione in cui si osserva il maggiore incremento della numerosità delle PMI rispetto al 2019 (13,6%); seguita da Basilicata (9,4%) e Calabria (8,8%).
ROE ante imposte e gestione straordinaria delle PMI, 2007-2022
Secondo i dati analizzati, nel 2022 si stima per le PMI italiane un ROE medio dell’11,4%, in calo di 6 decimi percentuali rispetto al 12% del 2021 ma comunque al di sopra del valore del 2019 (+0,6%). Il Centro è la zona che soffre più, con una riduzione del ROE dell’1% (dall’11,4% del 2021 al 10,4% del 2022), seguito dal Mezzogiorno (-0,8%, dal 13% del 2021 al 12,2% del 2022). Le zone settentrionali invece contengono maggiormente il calo, con il Nord-Est che passa dal 12,5% del 2021 al 12,1% del 2022 e il Nord-Ovest dall’11,5% all’11,1% nel 2022. Il Centro risulta inoltre essere l’unica zona con un valore del ROE del 2022 minore rispetto a quello del 2019 (11,7% nel 2019 su 10,4% nel 2022). Pur in una generale contrazione, aumentando il livello di dettaglio emerge un certo grado di eterogeneità, con vari territori che vanno in controtendenza e registrano un aumento del ROE nel 2022. La Valle d’Aosta cresce del 5,5% nel 2022 (dal 5,4% del 2021 al 10,9% nel 2022) e il Trentino-Alto Adige registra un +4% (dal 9,6% del 2021 al 13,6% del 2022). Le regioni che vanno peggio sono invece la Puglia (-3,9%, dal 15,8% del 2021 all’11,9% del 2022) e il Veneto (-1,7%; dal13,8% del 2021 al 12,1% del 2022).
4.2 Costo del debito delle PMI, 2007-2022: rapporto tra oneri finanziari e debiti finanziari, valori percentuali
Nel 2022 è stimato il primo rialzo del costo del debito delle PMI dal 2013, anche se ancora lontano dai livelli raggiunti nel 2008 (6,8%) e nello stesso 2013 (4,8%). In particolare, il rapporto tra oneri e debiti finanziari passa dal 2,8% del 2021 al 3,4% del 2022. La variabile risente fortemente del costante incremento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea (BCE) nell’ultimo anno, tutt’ora in corso.
A livello di macroarea, il Mezzogiorno presenta il costo del debito maggiore (3,9%), con il Centro l’unica altra macroarea con un rapporto tra oneri e debiti finanziari superiore alla media nazionale (3,6%); Il Nord-Ovest si attesta infatti al 3,3%, mentre il Nord-Est al 3,2%.
Per quanto riguarda le regioni, Molise (4,7%) e Calabria (4,3%) presentano le percentuali più elevate; al contrario, il Trentino-Alto Adige è la regione in cui gli oneri finanziari pesano proporzionalmente di meno (3,1%).