La Conferenza del prof. Giuseppe Palomba

in foto Giuseppe Palomba

La Conferenza del prof. Giuseppe Palomba, professore ordinario di Economia politica della Facoltà di Economia di Economia e Commercio dell’Università di Napoli (poi denominata Federico II), tenuta sabato 14 marzo 1964, ore 18.45, alla sezione della FUCI di Castellammare di Stabia Assistente spirituale: Padre Baldassarre Califano

Sabato, 14 marzo 1964, nel salone della Pontificia Opera di Assistenza (P.O.A.) di Castellammare di Stabia, per l’occasione concessa, alla sezione locale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), sito alla Calata Oratorio, il prof. Giuseppe Palomba, ordinario di economia politica, presso l’Università di Napoli, terrà una conferenza sul tema: “valori morali e sviluppo economico”. La S.V. è invitata a partecipare – Le presidenze (maschile Rosario de Simone – femminile Ippolita Lo Scalzo) – Assistente spirituale: Padre Baldassarre Califano

Il prof. Palomba, premette, che al fine di rendere facilmente fruibile la conferenza agli studenti del corso del corso 1963-64 farà riferimento alle pagine del suo testo “Valori morali e sociologia del sottosviluppo” Editore Giannini, finito di stampare il 28 febbraio 1964 che vanno da pag. 345 in poi, cioè l’ultimo capitolo, il nono del “testo consigliato”

CAPITOLO NONO – CAPISALDI DELLA TRATTAZIONE
[XXX. ETICA, ECONOMIA E POLITICA]
“Volendo ripercorrere i capisaldi di tutto il nostro lungo discorso potremmo cominciare a stabilire i rapporti che esistono tra etica, economia e politica. Indubbiamente, dai tempi di Machiavelli in giù, si è fatta sempre più forte la convinzione che la politica e l’conomia debbano essere considerate discipline prive di valori morali. Per quanto riguarda l’conomia, sappiamo che la scuola austriaca detta degli edonisti elaborò una dottrina priva di valori morali, mentre, per quanto riguarda la politica, lo stesso Croce sosteneva che l’intera filosofia del diritto fosse riconducibile alla filosofia dell’economia. Con ciò i primi, cioè gli edonisti, e successivamente i matematici dell’economia, intendono sostenere che il ragionamento economico deve prescindere da ogni valutazione etica, nel duplice senso di assenza di valutazione etica del fine da raggiungere e, al tempo stesso, di drastica riduzione di quel fine al raggiungimento di un massimo edonistico materiale. D’altra parte i crociani, tenendo presente la scala delle attività dello spirito che, dal gradino più basso dell’intuizione, attraverso l’39;intelletto e l’attività economica, giunge al gradino superiore costituito dall’etica, ritengono che l’attività politica possa fermarsi all’attività economica senza arrivare a una visione morale ed a una valutazione etica dell’attività politica stessa”

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Dalle pagine che vanno da 346 a 365, che si consiglia evidentemente di leggere, per coglierne la importante compiutezza delle considerazioni finali del prof. Palomba, ho colto dieci conclusioni da me virgolettate che spero rendano l’idea della profonda tematica su cui Egli ci deliziò per un paio di ore, quella sera, seguito dalle ovazioni di tutti i giovani presenti, politicamente variegati e dalla commozione di Padre Baldassarre che, quella sera, scopri un qualificatissimo compagno di viaggio intellettuale, regalatogli dai Fucini a tutti i quali Egli era totalmente dedicato

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IL PROF. PALOMBA: “Nel corso della nostra trattazione abbiamo visto, innanzitutto, che economia pura ed attività politica non sono propriamente prive di valori o di valutazioni morali, ma che, invece, dal XVII secolo in poi, quei valori morali assumono configurazioni sui generis, caratterizzate da una forte riduzione della ridondanza della coscienza morale e da combinazioni improprie di doni e virtù che si orientano e si polarizzano verso uno o più di quei venti raggruppamenti caratteristici….. E abbiamo potuto vedere inoltre come nei paesi capitalisticamente avanzati quel complesso di valori si orienti verso la configurazione che abbiamo denominata di tipo protestante, mentre nei paesi sottosviluppati (oggi si preferirebbe, in via di sviluppo) si orienti verso la configurazione arcaicizzante dei sistemi di potenza e dei valori asociali. In particolare, l’analisi è stata condotta con speciale attenzione per il sottosviluppo dell’Italia meridionale. La prima conclusione che si deduce da questa serie di argomentazioni, qui sommariamente riassunte, è che l’conomia e la politica, nel periodo plurisecolare che va dal basso medioevo ai giorni nostri, non si sono spogliate dei valori morali ma si sono logorate nelle forme deteriori di essi: in valori morali bassi, a ridondanza ridotta e poi tendenti alla banalità, dimenticando completamente le forme di ridondanza ottima che sono proprie dalla coscienza morale cristiana. D’altra parte, pur facendo posto alle debite ragguardevoli eccezioni, nell’alto medioevo, culminante nella civiltà integrale ecumenica, la coscienza morale spesso si trovava orientata verso la complessità caratteristica delle forme arcaiche o arcaicizzanti che riducono l’etica o alla liturgia e alla metafisica vera e propria. In parole diverse, una coscienza morale cristiana, nel senso specifico della parola soltanto oggi può diventare un patrimonio accessibile a  cerchie molto vaste di persone”

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“Una seconda conclusione: se nel paleocapitalismo e nel capitalismo ottocentesco fino alla prima guerra mondiale, l’economia poteva astrarre dall’etica, sia pure con un enorme salto nel vuoto, riducendo quest’ultima a ciò che aveva di economico, oggi l’economia non può più fare a meno dell’etica

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Il punto saliente è quello di stabilire se quest’etica debba appoggiarsi necessariamente su un sistema religioso o possa, viceversa, costituire essa stessa la religione dell’avvenire. Che una morale nel senso moderno non possa prescindere dal modello esemplare da interpretare è risultato chiaro da tutta la trattazione condotta nel presente volume e che il modello esemplare in una civiltà la quale per un verso o per l’altro non può non dirsi cristiana debba essere costituita dal Cristo ci sembra del pari fuori………”

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Si tratta di considerare la religione come il doppio taglio di un paio di forbici; la ridondanza del precetto morale e la pratica dei sacramenti come della liturgia fondamentale. Se manca o vien resa inefficiente una delle due lame è tradita nel principio stesso la crisalide della nuova società: è questa la terza conclusione a cui giungiamo. Si tratta di esaminare il significato di queste conclusioni che a qualcuno potrebbero apparire ovvie, ad altri rivoluzionarie.
Il senso preciso che esse assumono cercheremo ora di esporlo in forma massimamente piana e particolareggiata
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“Quarta conclusione: è veramente libero chi riesce a vivere integralmente la sua tragedia, perché sa trasporla in termini sublimi. Resta il problema: coloro che non riescono a trasporre in termini elevati quello che è il loro destino per difetto di volizione, per fatti ambientali, ereditari, devono allora rimanere pure forze soccombenti e quindi dar luogo ad una organizzazione che, sostanzialmente, rimane aristocratica e piramidale? Qui interviene il vero spirito missionario di coloro che hanno realizzato la possibilità di cui sopra. Poiché si tratta di una via accessibile a tutti, chi l’ha percorsa deve additarla a chi non la conosce o non riesce a percorrerla da sé. Si tratta di una specie di monacato laico, in cui il monaco invece di essere rinchiuso nel convento e costituire una comunità isolata, gira per il mondo e nelle cerchie di cui fa parte indicando la via a coloro che ne sono privi. Bisogna puntare sull’amore verso il Cristo inteso come modello ridondante da interpretare e mostrare come l’infinita varietà di situazioni reali sia sempre risolubile nei termini del- l’« etica in situazione », accessibile all’ignorante come allo scienziato, poiché, purtroppo, ambedue queste polarizzazioni possono costituire un intoppo notevole all’interpretazione del modello esemplare. Storia e geografia non devono costituire vincoli in-superabili, perché proprio in quanto vincoli presuppongono una situazione metastorica e meta geografica che vogliono essere realizzate. La logica di questo svincolamento è variabile da soggetto a soggetto e al suo livello è per ciascuno perfettamente valido, mentre lo sforzo del monacato laico va diretto proprio nel senso di connettere le varie logiche in una metalogica che tutte le comprenda”

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“Quinta conclusione. L’uguaglianza fra gli uomini non va modellata sul semplice giudizio esteriore, ma va vista nel suo aspetto più intimo e profondo in cui ciascuno dev’essere potenziato da una motivazione di elevazione spirituale che non ammette disuguaglianza davanti a Dio, il quale ha ’ (SOREN KIERKEGAARD. Diario. Brescia, 1962, vol. I; pag. 173 e seg) concepito ciascuno al Suo livello e non a quello a cui ci si è ridotti.4. — In ultimo, la nuova società è fatta di uomini perfetti. La perfezione è un attributo accessibile all’uomo ed è uno dei comandamenti espliciti dell’insegnamento evangelico: « Siate dunque voi perfetti, misericordiosi, come il Padre celeste è perfetto, misericordioso »3. È ben evidente che la perfezione è accessibile agli uomini, ma non per questo tutti gli uomini possono diventar perfetti e, a meno di non cadere in un’insipida utopia, lo debbano necessariamente. Aprire delle possibilità significa puntare su certe posizioni che, nel fatto, non tutti riescono a raggiungere o a realizzare pienamente. L’importante è che queste condizioni vengano additate e venga suggerito il mezzo per poterle realizzare. La perfezione di cui parla la predicazione evangelica punta, almeno inizialmente, sulla perfezione morale nel senso più volte chiarito in questo volume. La perfezione morale, a sua volta, conduce ad un’organizzazione della coscienza morale tale da gerarchizzare tutti i valori senza distruggere quelli inferiori, ma dando ad essi la possibilità di trasporsi in quelli di ordine superiore. La gerarchizzazione interiore della coscienza morale conduce alla sua organizzazione piramidale che, se perfezionata e generalizzata, potrebbe veramente distruggere o fare a meno di ogni organizzazione piramidale esteriore. Solo in tal senso l’anarchia può assumere un significato valido che non sia quello di un surrogato o di un duplicato del sistema arcaico di potenza. Ma, spinta a questo punto, la perfezione diventa utopistica e su di essa non si può direttamente puntare, almeno per il momento. Viceversa si può puntare su una gerarchizzazione della co-scienza morale spinta ai limiti stessi consentiti dall’umana fragilità, che indubbiamente non cessa di esser tale anche quando alcuni risultati ragguardevoli siano stati raggiunti, ove non vengano considerati come il punto di partenza per raggiungerne altri di maggior portata. Al limite si realizza la posizione di quelle sculture raffigurate in molte chiese gotiche, di un uomo (LUCA: VI, 36; MARCO: V, 48). dal sembiante calmo, tranquillo e imperturbabile, dalla folta barba e dal libro che stringe fra le mani, eretto su un mostro perfettamente ammansito e dominato: è il simbolo della realizzazione di una coscienza morale integra e perfetta”.

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“Sesta conclusione: ogni perfezione va intesa, adunque, come una completa gerarchizzazione della coscienza morale, in cui i valori bassi servono i valori elevati e vengono da questi ultimi dominati, addomesticati, ammansiti. E poiché i valori economici, nella migliore delle ipotesi, rappresentano una sezione in orizzontale dei valori morali, anche essi vanno sottoposti a questi ultimi, se l’economia non deve diventare espressione di concupiscenza, di orgoglio, di avarizia e di altri vizi capitali”

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“Da ciò si deduce la settima conclusione: lo sviluppo economico o si persegue in uno stato di coscienza morale normalizzata ed equilibrata o altro non costituisce che un’esca posta nelle mani dei più astuti per proseguire, in forma diversa, uno sfruttamento delle masse magari in misura maggiore di quella che è stata finora conosciuta”.

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“tutto quel condizionamento dello spirito che non consente a quest’ultimo di emergere e di dominare sulle altre realtà individuali, in conformità di quanto abbiamo esposto in alcune delle nostre precedenti conclusioni. Ciò ci consente di stenderne un’ottava conclusione -in questi termini precisi: non vi sono scusanti per coloro che ritengono essere il problema etico un problema che trascende le possibilità logiche e scientifiche dell’uomo moderno: dall’impostazione e dal coscienzioso ripensamento di quel problema dipende, in ultima analisi, il decorso della storia dell’umanità“

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“Non pretendiamo che bisogna afferrare prima la realtà di ordine tridimensionale per poter realizzare poi quella in sezione piana, anzi siamo forse convinti del contrario e nessun indugio deve frapporsi al completo espletamento di ogni progresso scientifico. Non intendiamo imporre a tutti la convinzione che le realtà materiali sono una sezione di realtà d’ordine tridimensionale, perché ognuno è libero di accettare o respingere il significato delle analogie e delle anagogie. Nostro unico scopo è quello di sostenere questa nona conclusione a cui giungiamo: mentre per il materialista o l’ateo o il marxista stesso l’unica realtà è quella controllabile con l’indagine scientifica, per il cristiano autentico, pur essendo essa indiscussa, l’accettazione di questa realtà viene inquadrata in orizzonti più vasti che la comprendono come caso particolare.
4. — Patristica e scolastica costituiscono naturalmente non concezioni antitetiche, anche se la seconda può considerarsi come una reazione a certi eccessi a cui era giunto la prima. Abbiamo più volte ripetuto che la patristica si era indugiata su alcuni aspetti che, per vari motivi, esaltavano la funzione e la realtà dello spirito a scapito di quelle psicosomatiche e in ultima analisi della materia: il manicheismo dei Catari, dei Patari e degli Albigesi può considerarsi come la manifestazione tardiva, in occidente, di un orientamento siffatto. D’altra parte, dopo circa un millennio di scolastica, noi ci accorgiamo di essere giunti agli eccessi opposti, ad una valorizzazione cioè massima delle realtà d’ordine materiale ai danni di quelle di ordine spirituale: il marxismo può, tutto sommato, considerarsi un manicheismo a specchi rovesciati.
E ben vero che la Chiesa ha fermamente cercato di mantenere il giusto equilibrio tra queste opposte esasperazioni; e tra i marosi di Scilla e Cariddi ha costantemente optato per la resistenza contro le tempeste, nella speranza di condurre la nave in salvo. Ma forse oggi un ripensamento della patristica in termini moderni potrebbe giovare all’opera di salvataggio dell’imbarcazione. E poiché quest’idea non è soltanto un’idea personale di colui che scrive, ma abbastanza diffusa in vari ambienti cattolici, poiché, inoltre, un ravvicinamento tra patristica e scolastica potrebbe costituire una base dogmatica d’intesa fra le tre grandi correnti di cristianesimo oggi esistenti, cattolicesimo, ortodossia e protestantesimo, poiché, infine, lo scopo ultimo del Concilio Vaticano II sembra essere dominato da questa giusta preoccupazione, a noi piace concludere il presente volume ricordando l’opera di Massimo il Confessore (580-662) posta nel dovuto rilievo dal Balthasar. In ogni questione di importanza vitale la soluzione proposta da Massimo è sempre quella di tipo sintetico, nel senso restrittivo che Hegel adopererà ben dodici secoli dopo. Il suo sforzo è quello di concludere e unificare: non più nuove ricerche, ma unificazione delle realizzazioni anteriori sotto un’unica forma universale. Ci sono, egli dice, infiniti angoli visuali da cui lo spirito ispirato costruisce od unifica con rigore le volte di un tempio. Ognuno di questi angoli costituisce una sintesi dell’essere particolare con l’intera sua totalità in un’unica natura e in un’unica maniera d’essere. Da questi angoli visuali emergono, ad esempio, la sintesi dello spirito e della sensazione, del cielo e della terra, delle cose sensibili e di quelle intelligibili, della natura e delle idee. Su queste varie sintesi lo spirito contemplante concepisce e costruisce secondo la sua propria intelligenza l’intuizione ultima concernente le cose: su queste sintesi cioè egli costruisce la dottrina unificatrice di tutte le sintesi (la teoria dell’Umgreifend di Karl Jaspers è anch’essa molto prossima a questa concezione). Ogni sintesi, naturalmente, poiché conserva in perfetta unità l’identità della propria ipostasi, comporta la differenziazione, senza confusione, delle parti integrate: la sintesi non è sincretismo. Dio rimane la sintesi suprema e in Lui ogni differenza si afferma per dissolversi”
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“L’incomprensibile fecondità dell’Unità divina è, contemporaneamente, la coesistenza di ciò che ogni ente possiede di più individualmente caratteristico e di più incomunicabile, con la garanzia certa e profonda della comunicabilità tra gli esseri creati. Se, ora, questo grande apostolo della sintesi e dell’unità cosmica può considerarsi il teorico dell’unificazione ex post del platonismo con l’aristotelismo, non può non considerarsi del pari la sintesi ex ante della patristica e della scolastica. Ed è questo il punto a cui giungiamo e che costituisce anche il fondamento della nostra decima — ed ultima — conclusione: s e la t r a s p o s i z i o n e del simbolismo arcaico in simbolismo moderno deve avere un fonda-mento serio e duraturo, esso non potrà trovarsi in teorie o dottrine o visioni frammentarie e comunque parziali: a suo fondamento deve porsi il senso della sintesi effettiva dell’intero sviluppo storico dell’umanità”
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ALLA FINE DELLA SERATA DI SABATO 14 MARZO 1964 – UN GRAZIE AL PROF. PALOMBA PER LA SUA BELLA ED ATTUALISSIMA CONFERENZA. OGGI RINGRAZIO ANCHE LA NIPOTE DEL PROF.PALOMBA, PROF.SSA MARIA CIANNIELLO, COLLEGA DEL SUOR ORSOLA BENINCASA PER AVERE DISCUSSO QUESTA OPERAZIONE CULTURALE. AL COLLEGA UMBERTO COSTANTINI MIO ANTICO REFERENTE DELLE MIE ESPERIENZE PRESSO IL FORMEZ DI NAPOLI