“Nel profondo blu il batiscafo Trieste”, a Castellammare di Stabia si presenta il libro di Antonio Ferrara

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“Nel profondo blu il batiscafo Trieste” – di Antonio Ferrara (d’Amato Editore), è il libro che verrà presentato sabato 27 maggio, alle ore 18, al Teatro Supercinema, al Corso Vittorio Emanuele 93, di Castellammare di Stabia. A organizzarlo il Comitato scavi di Stabia Ets, la Marina Militare e la Città di Castellammare che invitano la cittadinanza alle celebrazioni per i 70 anni del varo del Batiscafo Trieste, Castellammare ci Stabia 1953-2023.

Il programma


 

Da Wikipedia alla voce Jacques Picard
Jacques Piccard (Bruxelles, 28 luglio 1922 – Ginevra, 1º novembre 2008) è stato un esploratore e ingegnere svizzero.
Figlio del fisico Auguste Piccard, si laurea in economia all’università di Ginevra dove rimane come assistente. Dopo essersi trasferito a Trieste, dove lavora come economista, riceve un’offerta di collaborazione da un’industria locale per la realizzazione di un batiscafo (il Trieste) alla cui progettazione ha partecipato anche il padre. Nel 1957, la marina degli Stati Uniti acquista il batiscafo e assume Jacques Piccard come consulente scientifico” Mesoscafo

Orgoglioso ma non pago dell’impresa compiuta Jacques Piccard si dedica all’esplorazione della piattaforma e delle scarpate continentali riprendendo il progetto di mesoscafo del padre e cercando di realizzarlo. Il mesoscafo è una nave per le profondità medie che, secondo i progetti di Piccard, doveva avere una cabina più leggera dell’acqua, in vetro o in plexiglas e eliche che gli permettessero di immergersi in acqua. Tale imbarcazione non avrebbe rischiato di rimanere sotto la superficie del mare nemmeno per guasti al motore visto che, per il principio di Archimede, essendo la cabina più leggera dell’acqua sarebbe tornata automaticamente in superficie.
Jacques Piccard propose il proprio progetto di mesoscafo alla direzione dell’esposizione nazionale svizzera “Expo 64”, che in un primo tempo si mostrò entusiasta. Quando però il prototipo era quasi ultimato, gli organizzatori cominciarono a temere per la sicurezza dei passeggeri. Dal momento che non possedeva un diploma di ingegnere, Jacques Piccard venne escluso dal progetto. Il mesoscafo cominciò ad effettuare immersioni turistiche solo due mesi dopo l’apertura dell’esposizione, e senza il proprio creatore. Il principio del mesoscafo con la cabina leggera fu utilizzato per costruire in Svizzera due mesoscafi, l’Auguste Piccard e il Forel.
In seguito nel 1969 Piccard varò il mesoscafo “Ben Franklin” con il quale, assieme ad altri ricercatori, percorse 1.500 miglia “trascinato” dalla Corrente del Golfo”.

Da Wikipedia
TRIESTE (batiscafo)

Il Trieste fu ideato dallo scienziato svizzero Auguste Piccard, che applicò gli studi ed i suoi esperimenti con il pallone stratosferico, per la costruzione del batiscafo che venne eseguita in Italia, a Trieste, nel Cantiere San Marco dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, e a Castellammare di Stabia, dove la sfera fu saldata allo scafo. In seguito (nel 1958) il Trieste venne acquistato dalla U.S. Navy per 250 000 $.

Il batiscafo era costituito fondamentalmente da una camera riempita di benzina per permettere il galleggiamento del Trieste e da una sfera a pressione costante separata dal resto della struttura. Questa struttura rivoluzionò il metodo di immersione: mentre prima una sfera era calata in acqua da una nave, rimanendo sempre collegata ad essa tramite un cavo, il Trieste era in grado di muoversi liberamente, senza essere collegato in alcun modo alla nave durante l’immersione.

Il Trieste era lungo più di 15 m, ma buona parte della sua grandezza era dovuta alla presenza di una serie di galleggianti riempiti con 85 m³ di benzina e di compensatori riempiti d’aria. L’equipaggio doveva stare nella sfera di 2,16 m, attaccata al fondo della struttura, per raggiungere la quale era necessario attraversare un tunnel che passava attraverso il galleggiante.

All’interno, la sfera in cui si trovava l’equipaggio era accessoriata per permettere la vita di due persone in modo completamente indipendente, tanto dalla nave in superficie, quanto dal resto della struttura. Con un sistema a circuito chiuso simile a quello utilizzato nelle navicelle spaziali, l’aria entrava nella sfera da cilindri in pressione e l’anidride carbonica veniva eliminata passando attraverso scatole metalliche a calce sodata. Il sistema era alimentato da batterie.

La sfera fu costruita a Terni, in Italia, dalla Società delle Fucine delle Acciaierie di Terni. Fu realizzata in due pezzi (semisfere) forgiati e temprati in olio. Per resistere alla pressione di 110 MPa (1,25 tonnellate per cm²) calcolata nella parte inferiore, le pareti della sfera furono costruite di 12,7 cm (lo spessore era sovradimensionato, in modo da permettere alla sfera di sopportare pressioni anche superiori a quelle previste). La sfera pesava 13 tonnellate. Il galleggiante era necessario perché era impossibile progettare una sfera abbastanza grande per mantenere una pressione sopportabile per un uomo ed allo stesso tempo con delle pareti abbastanza sottili da permetterne il naturale galleggiamento. Fu scelta la benzina come liquido per riempire i galleggianti perché è meno densa dell’acqua e mantiene le sue caratteristiche di incomprimibilità anche a pressioni elevate. Lo scafo fu invece costruito nel cantiere navale di San Marco dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste, verso la fine del 1952. La sfera fu quindi fissata allo scafo nel cantiere navale di Castellammare di Stabia (NA), e la prima immersione avvenne il 16 agosto 1953 nelle acque di Capri. La prima vera immersione avvenne il 30 settembre 1953, dalle ore 08:18 alle ore 10:40, a 3 150 metri nella fossa del Tirreno al largo dell’isola di Ponza.

L’unico contatto visivo con l’esterno era reso possibile da un singolo blocco a forma di cono di plexiglas, unico materiale trasparente che potesse sopportare pressioni così elevate. L’illuminazione esterna fu resa possibile con delle speciali lampadine al quarzo, in grado di resistere a pressioni superiori alle 1000 atmosfere senza subire modificazioni.

Nove tonnellate di pellet in ferro fungevano da zavorra poiché le pressioni estreme non avrebbero permesso l’immissione di aria nelle eventuali zavorre. Questa zavorra di ferro era liberata tramite elettromagneti, in modo tale da permettere al Trieste di risalire immediatamente in superficie in caso di guasto all’impianto elettrico. E fu in grado di raggiungere le profondità massime conosciute riuscendo a vincere qualsiasi sfida senza persone a bordo.