La visita di Zelensky oscura il voto dei Comuni (oggi si vota fino alle 15)

in foto Sergio Mattarella e Volodymyr Zelensky

Gli eventi romani di sabato hanno attirato il grosso dell’attenzione dell’opinione pubblica. Ciò sta facendo si che quella che prima della visita di Zelensky per gli italiani sarebbe dovuta essere la vigilia di un evento importante, qual è l’apertura dei seggi elettorali per il rinnovo di diverse amministrazioni comunali, alla fine ha dovuto cedere il passo alle visite di Zelensky. Esse, tutte a Roma, sono state contornate da una serie di eventi. Il tutto ha avuto alla fine una forma di effetto polarizzante dell’attenzione delle persone che erano nei pressi del Quirinale prima e del Vaticano immediatamente dopo. In serata, dopo un incontro con un gruppo di giornalisti italiani alquanto variegato, trasmesso in TV in diretta, Zelensky è ripartito per Berlino per un’ ulteriore serie di incontri, il più importante con il Cancelliere tedesco Schroeder. Quanto è accaduto sarà elaborato ancora oggi dagli addetti ai lavori. Un particolare importante, anche se avvertito soprattutto a livello epidermico, é che Francesco è stato contento di aver ricevuto Zelensky, di aver scambiato con lui oltre ai doni anche qualche battuta, ma di esporsi in prima persona nemmeno a parlarne. Se qualcosa di concreto verrà fuori, da quelle sale, ciò proverrà dal fitto colloquio che si è svolto in contemporanea con quello tra il papa e il presidente, intorno a un’ altro tavolo di lavoro tra Monsignor Gallagher e parte del seguito di Zelensky. L’alto prelato è il responsabile dei rapporti tra la Santa Sede e il resto del mondo, ndr. Posizione scomoda, la sua, che non gli ha impedito di essere concreto e propositivo, facendo così in modo che anche il terzo incontro confermato all’ ultimo momento dall’entourage del papa, quello che era in corso, non fosse rimasto solo una conversazione, per quanto impegnata, scaturita dal dovere di ospitalità. La domanda che comunque è sorta quasi in autonomia in bocca a molti che seguono con attenzione questo tipo di eventi, è abbastanza impegnativa, anche se molto facilmente può svicolare per la tangente. Più precisamente, se il Premier ucraino ha colloquiato con uno statista qual è o almeno dovrebbe essere Francesco in quanto capo dello Stato Vaticano, o con il successore di San Pietro, capo spirituale della Chiesa Cattolica nel mondo.Una prima considerazione raffredda i bollenti spiriti e fa rimanere con i piedi per terra. Se in una sola persona convergono due funzioni, per ipotesi non potranno essere in contrasto tra di loro. Di conseguenza non è il caso di discuterne neanche accademicamente. Sovviene quindi la saggezza contadina che riferisce che, se un asino non vuole bere, è inutile che il suo conduttore si ostini a fischiare. È questo il richiamo sonoro utilizzato dalla gente dei campi per far bere quelle bestie. Di conseguenza il commento più diffuso sulla visita all’Interno delle mura di cinta di quella città stato da parte dell’Uomo venuto da Kiyv, è che al momento non esiste un piano concreto di intervento del suo capo. La vicenda diventa ancora più aggrovigliata se si considera che, dopo diverse richieste inoltrate a Francesco dalle alte sfere ucraine, tutte abilmente dribblate dallo stesso e dai suoi stretti collaboratori, si era dichiarato pronto a mettere in atto la volontà della Santa Sede, cioè di proporsi come mediatore della pace tra i due contendenti .Il mistero così si infittisce intorno al Pier da Morrone di questo inizio secolo. Quello originale, eletto papa, prese il nome di Celestino V°, che fece quanto Dante gli fa narrare nella Commedia. Un riscontro positivo però è venuto fuori da quell’incontro oltre il Tevere, anche se il collegamento diretto con i fatti vaticani appena rappresentati è un bel po’ sopra le righe. Il collegamento è con la Cina, da dove il Presidente XI ha inviato in Europa, negli stessi giorni in cui Zelensky è stato fuori sede, un emissario per iniziare a imbastire in alcuni dei paesi membri i primi dialoghi per arrivare a una forma di cessate il fuoco. Fosse pure qualcosa sui generis come si concretò e ancora regge la tregua tra le due Coree. Al bar Centrale ieri mattina, prima delle otto, reduci dall’espressione del voto, si stavano intrattenendo alcuni allevatori per bere un caffè. Dopo lo scambio di notizie estemporanee sull’andamento dei prezzi dei mangimi, non poteva mancare un commento su ciò che sta succedendo. Intervenendo a gamba tesa, un trasportatore di paglia ha detto a quella gente dei campi che sarebbe stato da ingenui pensare che la Cina non si sarebbe data da fare per conquistare un posto nella storia in qualità di efficace paciere. Procedendo, come avrebbe potuto il Presidente XI consentire che una città stato avesse potuto superare per importanza planetaria un subcontinente. Lo stesso che, tra l’altro, ha forti interessi economici che ruotano intorno al conflitto a cui non occorre attribuire altre definizioni. Tra oggi e domani l’attenzione degli italiani sarà riconquistata dalle elezioni in corso. Appena archiviate, il pensiero ritornerà alla minaccia nucleare proveniente da Mosca. Dalle ultime informazioni sembrerebbe che quel pericolo, almeno per ora, non sia come Hannibal ante moenia, come Annibale davanti alle porte della città. Il problema vero, con l’augurio che possa essere risolto presto, sta su quale forma di accordo sottoporre ai due avversari perchè cessino il fuoco. Può sembrare facile ma non lo è.
L’importante è che i due contendenti decidano di concluderlo realmente. Del resto anche Roma fu costruita un pezzo per volta e ancora dura, nonostante tutti e tutto.