Mezzogiorno e sviluppo / il circolo vizioso del postmeridionalismo, parla l’economista Francesco Pastore

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“Ad oltre 10 anni dalla quasi totale cancellazione delle politiche UE di sviluppo regionale, il divario nord-sud torna ad aumentare. L’esperienza della Nuova Programmazione e delle stesse Politiche Ue dà la sensazione che il problema del Mezzogiorno sia irresolubile, creando una sorta di rassegnazione come non si è mai avuta dall’avvento dell’era repubblicana”.

E’ un’amara considerazione quella pronunciata da Francesco Pastore, associato di Economia Politica presso la Seconda Università degli studi di Napoli, dove insegna anche Economia del Lavoro ed Econometria Applicata. Pastore interviene così nel dibattito Nord-Sud, rilanciato  qualche settimana fa da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: un atto di accusa al Governo Renzi perché assente politicamente e fisicamente dal Sud Italia. Pastore, che è research fellow dell’IZA di Bonn, coglie un dato ancor più preoccupante dei tempi che stiamo attraversando: il circolo vizioso nel quale si sono avviluppate le politiche di sviluppo.

Ci spieghi, professore, cosa intende per “circolo vizioso”?

“Intendo dire che oggi il dibattito di politica economica continua a essere: politiche sì-politiche no, invece che su quali politiche programmare. Le politiche continuano ad essere realizzate senza un controllo effettivo, senza un quadro d’insieme, e perciò non evolvono in base ai risultati di studi di valutazione d’impatto, come accade in Paesi più evoluti. Eccolo qua il circolo vizioso: le politiche hanno effetti insoddisfacenti che, a loro volta, spingono a ridurre il ruolo delle politiche stesse, fino a cancellarle del tutto. Allora ci si rende conto che i divari aumentano senza politiche e si ritorna a richiederle a gran voce”.

In effetti, in anni recenti la fiducia nell’intervento statale tout court ha cominciato a vacillare…

“E’ ovvio se si pensa che decenni di interventi, che hanno impegnato le finanze pubbliche per miliardi di euro (e prima di lire), hanno prodotto effetti modesti, ad altissimo costo e per di più transitori. In molti manuali di politica economica gli squilibri territoriali abbiano iniziato ad essere considerati un esempio tipico anche di fallimento dell’intervento dello Stato. Non è un caso che nel dibattito politico espressioni come “intervento pubblico”, “infrastrutture”, “interventi strutturali”… abbiano cominciato ad essere sinonimo di tasse, sprechi, malapolitica, fino al punto di farle scomparire dal dibattito sul Mezzogiorno. Ormai sono tutti concordi, interventisti e non, nel chiedere una spesa pubblica diversa dal passato, e cioè non più “a pioggia”, soprattutto non clientelare ”.

Ma come e quanto diversa dal passato dovrebbe essere la spesa pubblica per il Sud d’Italia? A chi destinarla? Con quali obiettivi, e da chi farla gestire?

“In effetti il rischio è tutto lì: che manchi un quadro d’insieme e anche un’Istituzione che se ne faccia nuovo interprete”.

Si spieghi meglio…

“Nel corso degli anni duemila, l’allora Governatore della Campania Bassolino si fece promotore di  molti incontri con i suoi colleghi delle regioni del sud per cercare di realizzare una forma di coordinamento dell’intervento per il Mezzogiorno. Ma questo strumento di natura politica non ha inciso, se non limitatamente, sulla politica economica nazionale. Anche Vincenzo De Luca, all’indomani della sua elezione, ha riproposto l’iniziativa ma è stato subito fermato dagli organismi nazionali del Partito Democratico”.

Ma la programmazione dei fondi comunitari, assieme alla Nuova programmazione degli anni novanta, non avrebbero dovuto determinare un cambiamento degli obiettivi di fondo dell’intervento per il Mezzogiorno?

“Sì. E infatti esso da intervento diretto nell’economia e intervento di incentivazione fiscale o di sostegno al reddito e ai consumi, sarebbe dovuto diventare intervento volto ad accrescere la dotazione infrastrutturale, materiale e immateriale, e in particolare del capitale umano e sociale”.

E invece, cosa è successo?

E’ successo che già a partire dal 2000 i principi della Nuova Programmazione sono stati sconfessati dalla concreta pratica di politica economica. Sono stati introdotti incentivi automatici (crediti d’imposta) per gli investimenti nelle aree depresse non solo del Sud, ma anche del Centro-Nord. Sono state approvate tutte le proposte di patto territoriale presentate senza valutazione, né ex ante, né ex post. E dal 2000 ad oggi non è andata meglio”.

Cioè?

Nella fase dal 2001 al 2006 i fondi destinati al Mezzogiorno si riducono ancora. Le risorse europee e gli stessi FAS (Fondi per le aree in ritardo di sviluppo), anche se durante il Governo Berlusconi sono spesi con percentuali superiori che in passato, diventano non addizionali ma sostitutive delle risorse ordinarie. L’obiettivo programmatico di destinare il 45% della spesa totale in conto capitale e il 30% della spesa ordinaria in conto capitale al Mezzogiorno non viene mai rispettato. Anzi, a partire dal 2002 essa diviene nel Mezzogiorno inferiore alla media nazionale. Si assiste, infine, ad un ridimensionamento progressivo della spesa degli enti locali per competenza, ciò che incide in particolare nelle aree più arretrate.

Il Mezzogiorno viene penalizzato anche nella breve legislatura di Romano Prodi (2008-’10) che  cancella dalla programmazione gli obiettivi del 45% e del 30%, ritenuti evidentemente irraggiungibili. Le disponibilità del FAS vengono azzerate a favore di una serie di piccoli interventi di tipo ordinario. Questo provvedimento continua anche nel periodo successivo”.

Ad oltre 10 anni dalla quasi totale cancellazione delle politiche di sviluppo regionale, il divario Nord-Sud torna dunque ad aumentare…

“Certamente. Come aveva previsto Augusto Graziani in un saggio del 2000, facendo ritornare forti le richieste di un intervento forte a favore delle regioni meridionali. In realtà, ciò è la conseguenza di un approccio tradizionale (che sia favorevole o contrario poco importa) alle politiche regionali, nel quale le politiche stesse sono giudicate “in toto”, in base a valutazioni di carattere poltico-ideologico, piuttosto che in base a studi e valutazioni evidence based”.