Le bucce di banana del governo

in foto Giorgia Meloni

Il governo ha iniziato il mese di maggio con un singolare consiglio dei ministri convocato per il giorno uno. È stato preceduto da un incontro con le sigle sindacali avvenuto la sera precedente. L’ intenzione dichiarata della Premier Meloni era di arrivare al CdM convocato volutamente per il giorno della festa dei lavoratori, preceduto dal tentativo in occasione dell’incontro già accennato di smussare gli angoli del decreto legge sulla riforma del lavoro. Era quel decreto l’ argomento in discussione in quel riunione del governo. Ne è sortito un qui pro quo e quindi, dall’idillio che si auspicava potesse nascere da quell’incontro, si è passati a una forma quasi pretestuosa di scambio di frecciate sarcastiche sull’opportunità che il governo lavorasse proprio in quel giorno sull’argomento. Il segretario Landini, in dubbia buona fede, ha definito un affronto la circostanza che il governo avesse deciso di lavorare per deliberare su quell’importante argomento proprio il giorno della sua tradizionale ricorrenza. La Primo Ministro ha avuto facile gioco nel rispedire al mittente quell’ accusa, confermando che il motivo di tale decisione era scaturito nell’ intento di dar maggiore rilevanza al fatto. Intendendo tenersi a debita distanza da queste querelles, da fuori campo è triste osservare che, per definire tale situazione è d’ uso in campagna affermare che il bue è scappato e si cercano le sue corna. L’importante é che, alla fine di quella lunga giornata, l’opinione pubblica ha potuto tirare un sospiro di sollievo perché non sono stati riscontrati incidenti di rilievo. Da ieri quindi, avendo fatto di necessitá virtù per aver lavorato durante il lungo fine settimana, il governo è passato oltre. Per chi è al vertice del Paese la settimana in corso è scadenzata sull’ordinaria amministrazione e, fatta salva la cerimonia per l’ incoronazione di Re Carlo III, le occasioni che richiederanno importanti trasferte a chi governa il Paese dovrebbero essere piuttosto limitate. Intanto non si può fare a meno di riportare alcune vicende spiacevoli che coinvolgono i governi italiani, almeno gli ultimi due. Fino a ora l’informazione ha lasciato la notizia più che in penombra e probabilmente tale comportamento potrebbe essere oggetto di sminuizione perché non è stata, quella che tra poco sarà descritta, una condotta messa in atto solo dal governo italiano purtroppo.
Essa è consistita nell’aver fornito all’ Ucraina, dall’ inizio della guerra, oltre a armamentario nuovo e quindi efficiente, anche armi in disuso per vari motivi e stoccate in magazzino, in attesa dell’occasione propizia per essere smaltite. Come accennato, molti altri paesi cosiddetti “amici” di quella nazione si sono comportati in maniera analoga, se non ancora più spregiudicata. Per sottolineare quanto sia inappropriato tale modo di agire, basterà andare con la memoria indietro nel tempo di una decina di anni. L’ UNICEF, a quell’ epoca, aveva promosso una campagna di sensibilizzazione diretta ai paesi cosiddetti più progrediti, perché non tralasciassero di inviare, tra le altre cose, anche giocattoli per i bambini dei paesi destinatari degli aiuti. Spiccava, tra le “istruzioni per l’uso” di quel messaggio, l’invito a non inviare oggetti non funzionanti, perché -era già successo- la delusione dei destinatari finiva per procurare disagio anziché conforto. Nel caso delle armi è probabile che sia successo di peggio. Nella vicenda Ucraina starebbe (manca l’ufficialitá) venendo fuori che l’ Armata Rossa e la Brigata Wagner già da tempo userebbero anche esse armi e munizioni recanti ancora i simboli dell’URSS. Con il risultato che, secondo il parere degli esperti occidentali, l’estrema imprecisione di quel materiale bellico sia buona complice degli eccidi in corso per mano dei russi.. Con un altrettanto potente corollario si e espressa la dirigenza locale della Coldiretti, che suona:” il fucile, non solo quello da caccia, non spara se non se ne preme il grilletto”. La versione usata nel resto del pianeta è che le armi non sono offensive se non vengono usate. Sembrerà una chimera quella di una soluzione diplomatica come unica strada per arrivare almeno a un cessate il fuoco, ma altro non si può fare. L’ Italia, tra i tanti problemi che si è trovata a affrontare a causa della vicenda ucraina, si trova a dover sopportare un sasso nella scarpa che fin’ora è stato gestito seppure con dolore. Ora il Bel Paese è di fronte a qualcosa che sfugge a ogni razionale interpretazione. Si tratta dell’atteggiamento che sta tenendo la Santa Sede fin dall’ avvio di quella che è stato presentata dai Cremlino come una “esercitazione militare speciale”,. Non sarà sfuggito a nessuno il singolare atteggiamento di Francesco, che all’inizio della vicenda, sposando subito la causa di Zelensky, aveva dato l’impressione di voler abbracciare anche lui la croce ucraina. Avrebbe messo, a suo dire, la presenza fisica, non solo l’immagine della sua faccia. In realtà sta andando molto diversamente e non è chiaro il perchè, nonostante le richieste di una visita pervenute da Kyev. Nelle ultime ore è corsa voce che, a stretto giro, Il capo dello stato Vaticano sarebbe sceso in campo di persona per interloquire con entrambi i contendenti. Strano che fino a qualche ora fa non ne sapessero niente nè a Mosca né a Kyev. La comunità internazionale non riesce a comprendere il perchèdi un modo di agire del genere. Ciò che è certo è che nel villaggio, qualcuno degli avventori del Bar Centrale, tiepido nei confronti dell’ operato della Chiesa Cattolica non solo in questo frangente ha commentato che non è sbagliato definire alcune uscite del capo della stessa “scherzi da prete”. Difficile dargli torto, va senza dire.