Ritratto del coraggio, Artemisia Gentileschi (e il Museo di Capodimonte) in mostra a Houston

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di Anthony M. Quattrone

La direzione del Museum of Fine Arts di Houston ha fatto un ottimo lavoro con l’esposizione intitolata “Ritratto del coraggio: Gentileschi, Wiley e la storia di Giuditta”. Ha infatti consentito di ammirare due dipinti creati a 400 anni di distanza, che raffigurano la storia dell’Antico Testamento di Giuditta che uccide Oloferne. Il primo dell’artista italiana del XVII secolo Artemisia Gentileschi e l’altro dell’artista americano contemporaneo Kehinde Wiley. Entrambi affrontano, attraverso la rispettiva lente storica e culturale, temi che valicano il tempo come quelli inerenti al genere, la razza, la violenza, l’oppressione e il potere sociale.

Il Libro di Giuditta, presente nelle versioni cattoliche e ortodosse dell’Antico Testamento, ma non in quelle ebraiche e protestanti, racconta come Giuditta usi la bellezza, il fascino e il coraggio granitico per salvare Israele dall’oppressione. Giuditta si veste elegantemente e visita l’accampamento nemico con la scusa di aiutare Oloferne a sconfiggere gli israeliti. Incantato dalla bellezza di Giuditta, Oloferne la invita a cena ma, dopo che si è addormentato inebriato dal vino, Giuditta, aiutata dalla sua serva Abra, gli taglia la testa con la sua stessa spada. Gli Assiri fuggono, la città di Betulia è salva e il popolo ebraico liberato.

Nel corso dei secoli, il coraggioso atto di Giuditta è stato variamente interpretato da artisti come Botticelli, Caravaggio, Rembrandt e Klimt, che l’hanno dipinta come un’eroina coraggiosa, una giovane donna virtuosa, o una seducente femme fatale.

Nella opera “Giuditta e Oloferne”, Artemisia Gentileschi non solo afferma la sua abilità di artista, ampiamente riconosciuta in un campo allora dominato dagli uomini, ma va oltre la classica scenografia propria di una storia biblica.

Infatti, Artemisia Gentileschi racconta il suo personale orrore di giovane donna: figlia di un artista affermato, aggredita sessualmente da un amico di famiglia, Augustino Tossi; denuncia la violenza, e, durante il caso giudiziario che ebbe una altissima risonanza e visibilità pubblica, viene percepita come un paria sociale. “Giuditta e Oloferne” è stato dipinto nell’anno di questo processo ed è da intendersi come una dichiarazione di autonomia e di integrità artistica. Inoltre, la trasposizione della vicenda personale nella raffigurazione della storia di Giuditta è avvalorata anche dal fatto che si nota una sorprendente somiglianza tra la stessa artista e Giuditta, come si può notare dal dipinto “Ritratto di giovane donna in veste di Sibilla” (1620) di Orazio Gentileschi, padre di Artemisia, esposta dal Museo accanto all’opera della Gentileschi.

Nella sua opera “Judith and Holofernes” Wiley riformula l’antica storia attraverso una lente moderna, altamente naturalistica. L’artista newyorkese è noto per il ritratto del presidente Barack Obama, commissionato per la Smithsonian National Portrait Gallery di Washington.

Wiley è conosciuto anche per i suoi grandi ritratti di giovani neri, uomini e donne, in pose e ambientazioni storiche prese dai dipinti di antichi maestri. Affronta costantemente questioni di razza all’interno della storia dell’arte, non trascurando anche la cultura contemporanea e soprattutto il genere, l’identità, il potere, gli abusi, l’identità di strada e la disuguaglianza. La Judith di Wiley guarda direttamente lo spettatore, tenendo la testa mozzata di Oloferne, facendo riferimento a un’altra Giuditta del XVII secolo con la testa di Oloferne, del pittore romano Giovanni Baglione.  Indossa un abito disegnato da Riccardo Tisci di Givenchy, che ha collaborato con Wiley nella prima serie di dipinti con soggetti femminili dell’artista, “An Economy of Grace” del 2012.

La mostra, che si è tenuta dal 25 gennaio al 16 aprile 2023, è stata possibile attraverso la collaborazione del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, del North Carolina Museum of Art, del Museum Box e dello stesso Museum of Fine Arts, Houston.