Come trasformare l’innovazione in crescita: la scommessa del Governo per rilanciare il Mezzogiorno

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in foto Roberto Guida

di Roberto Guida*

La storia del capitalismo italiano post-bellico ha visto come protagonista indiscusso l’impresa pubblica. Lo sviluppo del Paese come lo conosciamo oggi ha fortemente beneficiato del ruolo strategico svolto, spesso grazie a personalità manageriali di indiscusso valore, dalle grandi aziende a partecipazione statale. 

Premettiamo che non si vuole qui riproporre semplicemente uno dei temi cari alla contrapposizione tra i fautori dell’intervento pubblico nell’economia e i paladini della “mano invisibile” di smithiana memoria, con il rischio di alimentare sterilmente la storica tenzone dialogica. La questione è un’altra: l’emergenza del Covid-19, con le sue drammatiche conseguenze economico-sociali, ha senza dubbio reso giustizia all’approccio dello Stato interventista come leva necessaria per rilanciare il nostro, come altri Paesi, dopo la più grave crisi dal secondo dopoguerra. 

Gli effetti della pandemia sull’economia globale sembrano aver accelerato una generale tendenza a considerare la dimensione tecnologica delle politiche industriali degli Stati come un tema di interesse centrale. 

La postura “geopolitica” e il conseguente posizionamento economico-competitivo di Stati Uniti e Cina, paesi rappresentativi di due modelli apparentemente antitetici di capitalismo politico, offrono una prospettiva nuova e diversa: la questione dei Sistemi Paese e delle scelte di intervento diretto del pubblico nell’economia. 

Il new deal della politica industriale appare sempre più saldamente ancorato non solo all’interesse nazionale ma ad esigenze di sicurezza dei Paesi, come nel caso del settore energetico. Nel contesto di oggi queste istanze si traducono nel perseguimento di una vera e propria leadership tecnologica da perseguire come obiettivo prioritario degli Stati.

In Italia questa tendenza si inserisce in un contesto di forte dinamismo imprenditoriale, spinto anche dalla nascita di nuove imprese innovative, che sta assumendo forme organizzative e traiettorie di sviluppo foriere di irripetibili opportunità per il rilancio delle regioni meridionali.

Una recente ricerca condotta da Srm-Cesdim conferma che, nonostante le minori dimensioni, l’industria meridionale è saldamente integrata in quella nazionale, grazie alla presenza di grandi imprese italiane ed estere e di nuclei diffusi di piccole e medie imprese locali. Insieme, questi attori rappresentano a pieno titolo un contesto produttivo dinamico, tecnologicamente avanzato e in larga misura export-oriented, lungi dal potersi definire, come paventato dalla Svimez, alle soglie della desertificazione.      

Questa struttura economica è debitrice anche nei confronti degli investimenti capital intensive operati dalle grandi aziende pubbliche negli Anni 50, che hanno alimentato solide catene del valore locali e filiere lunghe più distanti territorialmente, contribuendo, nel corso dei decenni successivi, a consolidare il ruolo del sistema produttivo del Sud nelle dinamiche di quello nazionale e, a sua volta, dell’Unione europea. 

Dalla ricerca Srm-Cesdim, che non sottace le storiche debolezze strutturali dell’area meridionale, emergono evidenti punti di forza, che vanno non ricondotti esclusivamente al consolidato quadro di interdipendenza Nord-Sud ma anche collocati nel contesto delle complessive catene del valore nazionali e internazionali. Tra di essi, la presenza di un tessuto imprenditoriale più attento al tema dell’innovazione, con un numero di imprese innovative meridionali che cresce in maniera significativa e che palesa una marcata vivacità imprenditoriale, facendo registrare al Sud il maggior numero di iscrizioni di nuove imprese, in particolare giovanili. Lo studio rileva anche una presenza crescente di poli tecnologici nazionali e di eccellenti iniziative di collegamento tra il mondo accademico e il sistema produttivo.

Affinché questo patrimonio accumulato si possa trasformare in una nuova occasione di sviluppo integrato dell’apparato produttivo meridionale e di quello nazionale, è necessario il contributo di azioni di policy che consentano di trasformare l’innovazione in crescita. La messa in campo di strumenti in grado di incentivare le connessioni e gli scambi tra produttori e utilizzatori di conoscenza rappresenterebbero fattori determinanti, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di innovazione. 

In questo scenario, il nuovo Governo si trova di fronte un’occasione unica per conseguire un balzo nel processo di innovazione e di sviluppo del sistema produttivo nazionale e, soprattutto, meridionale. Tra le leve a disposizione largamente sottoutilizzate, l’Italia può fare affidamento sulla storica e straordinaria capacità innovativa, ingegneristica e manageriale del proprio sistema delle imprese pubbliche.

Sarebbe però necessario che il grande potenziale che esse rappresentano sia ricondotto a logiche di missione strategica per il Sistema Paese, meno incentrate su obiettivi di ritorno economico di breve periodo e maggiormente orientate a finalità di lungo periodo di interesse nazionale, come l’innovazione sistemica e lo sviluppo di qualificate partnership di filiera.

Il modello è quello dell’innovazione aperta, basato sulla collaborazione tra grandi imprese pubbliche e attori delle reti corte per favorire la creazione di ecosistemi dell’innovazione che incentivino la nascita di nuove iniziative imprenditoriali, come risultato di una più stretta relazione tra ricerca applicata, grandi imprese e start-up.

La chiave per il successo sarà indirizzare la nuova missione strategica del sistema delle imprese di Stato verso la valorizzazione delle vocazioni insediative localmente già consolidate, cogliendo e sviluppando le opportunità derivanti dalla posizione geografica, dalla storia industriale e dalle caratteristiche economico-infrastrutturali delle diverse zone del meridione d’Italia.

Al Governo l’onere e l’onore di tentare la sfida. E se il buongiorno si vede dal mattino, a “mezzogiorno” il sole potrebbe finalmente splendere alto.

*ordinario di Economia al Campus Bio-Medico di Roma