Cosa fare per rilanciare il Sud

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Che ne hanno scoperto l’ingravescente miseria sino al rischio della irreversibilità. Cosa positiva, natural- mente, anche se quanti ne hanno parla- to sinora hanno finito permescolare ca- pra e cavoli, spesso più per giustificare vecchi giudizi politici che non per os- servare la realtà dei fatti accaduti negli ultimi venticinque anni. Intendiamo- ci, il Sud d’Italia è stato da sempre il figlio negletto della storia patria per in- differenza, noncuranza monarchica e, nell’era repubblicana, perché sover- chiato da più grandi e più urgenti que- stioni a partire dalla ricostruzione ma- teriale e morale dell’Italia del secondo dopoguerra. Ciò detto, però, fare di tutte le politi- che un fascio solo è sbagliato così come lo è farela storia economica delMezzo- giornofuori dalla storia politica del pae- se. E ci spieghiamo. Alla fine degli anni Sessanta, le tradizionali fratture della sinistra italiana reintrodussero nella politica italiana livelli di instabilità che sembravano superati. Un solo esempio per tutti. La riunificazione socialista tra il Psi ed il Psdi avvenuta nel 1966 si dis- solse nel 1971 perché i due partiti socia- listi dopo aver deciso di riunificarsi in un solo partito ne divennero tre (Psi-Ps- nosi rappresentati dal terrorismo briga- tista e dall’inflazione a due cifre. La stagione della solidarietà nazio- nale, durante la quale iniziò la fine del brigatismo rosso, aiutò a ridare all’Ita- lia un decennio di stabilità politica (1983/92) in cui si alternarono solo 4 governi e cioè Craxi, Goria, De Mita, Andreotti. Nei due decenni successivi (1993/2015) si sono alternati ben 14 go- verni con quella continua alternanza di forze politiche che, teorizzata come una stagione di salute della democra- ziaitaliana, altro non era che unainsta- bilità strutturale del sistema politico che si sta concludendo con una irrever- sibile e drammatica involuzione demo- cratica. In questo sommario quadro politico vanno inseriti lo sviluppo ed i ritardi del Mezzogiorno. Si vedrà, allora, che negli anni ’50 e ’60 la crescita economi- ca del Sud, ancorché inferiore al Nord, viaggiava su tassi significativi (tra il 3-3,5%) e alla fine degli anni ’80 gli oc- cupati nel Sud erano 6,5milioni e il red- dito pro-capite era risalito al 60% del Nord mentre oggi siamo a 5,8 milioni di occupati e un reddito pro-capite al 53% rispetto al Nord a testimonianza che da oltre 15 anni il Sud è scomparso mani risorse e strumenti diversi e mi- gliori per quantità e qualità di quelli degli anni precedenti (finanza regiona- le e fondi europei entrambi purtroppo mal gestiti). Ma veniamo al cuore del problema. Gli ultimi due decenni hanno visto au- mentare drammaticamente quel diffe- renziale di vita e di convenienza a inve- stire nel Sud perché si è paurosamente allargato il deficit infrastrutturale ri- spetto non solo al Nord del paese ma anche rispetto a tante altre aree sotto- sviluppate dell’Europa comunitaria. A questo deficit strutturale si è aggiunta la scomparsa di quelle convenienze del passato in termini fiscali e contributivi che in parte avevano compensato i ri- tardi infrastrutturali storici del Mezzo- giorno. L’assenza, infine, di uno o più soggetti pubblici capaci di essere pre- senti nel ciclo produttivo, in particola- re in quello a tecnologia avanzata, ed il crollo degli investimenti pubblici nelle infrastrutture materiali e immateriali (-22% negli ultimi 15 anni) hanno ripor- tato all’indietro le lancette dell’orolo- gio del Mezzogiorno sino a rischiare di raggiungere il punto di non ritorno. Se si guarda solo all’area napoletana la scomparsa dell’Iri e dell’Efim ha deser- ad investire che pure avevano fatto la fortuna della provincia di Caserta in un territorio dove criminalità economica e qualità della vita finiscono per annul- lare ogni slancio produttivo compreso quello fondamentale del turismo. Di qui allora la esigenza di riprendere gli investimenti pubblici nel settore infra- strutturale fermatisi agli inizi degli an- ni ‘90 e di aprire una nuova stagione per quei fondi europei, spesso dissipati in mille rivoli perché privi di ipotesi progettuali di sistema, e per una politi- ca fiscale capace di offrire un ponte di convenienza economica in attesa di una bonifica dei territori sotto ogni aspetto e del ripristino di una qualità della vita e dei fattori produttivi capaci difar riprendere al Sud crescita ed occu- pazione. Per concludere: politica, amministra- zioni pubbliche, imprenditori e sinda- cati devono rilanciare, ognuno per la propria parte ma con sforzi convergen- ti, un progetto complessivo per il Sud senza del quale il paese non potrà mai decollare né trovare salvezza nella pro- spettiva di un uomo solo al comando. La vicenda di Bagnoli sarà, per questo metodo, un test fondamentale.