La violenza dilaga con velocità crescente da est a ovest. E non c’è soltanto quella fisica

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in foto l'assalto al Parlamento brasiliano da parte dei manifestanti

Era sembrato quasi un salto nel tempo, per non dire un vero e proprio capolino dal buio dell’oscurantismo, quello della libertà ritrovata in Brasile a seguito dell’elezione a presidente di Lula. Senonché domenica, a Brasilia, una folla di nostalgici – di già? – di Bolsonaro ha cancellato quell’illusione. Un gruppo di avversari irriducibili, peraltro non sparuto, del leader eletto di recente, ha tentato un vero e proprio colpo di mano, assaltando e mettendo a soqquadro le stanze del parlamento. Oltre a feriti e contusi, anche arredi e suppellettili distrutti, questo è il pesante bilancio di quella incursione e non è poca cosa. Ciò che fa pensare con animo cupo a una involuzione per di più non pacifica della situazione sociopolitica di quel paese, è che non vi sia concordia tra l’apparato militare e le forze dell’ordine. È stata la prima rampogna che Il Presidente in carica ha espresso nei confronti del capo della polizia di quella città, colpevole di non aver fatto quanto era suo dovere per evitare che accadesse ciò che di fatto si è concretato. Nonostante Lula abbia deposto seduta stante il responsabile di quella defezione delle forze dell’ordine, quanto è accaduto desta forte inquietudine in chi, per qualche verso, ha rapporti con quel paese. Un primo turbamento è provocato dall’ipotesi che quel vulcano politico che è l’America latina, dopo un periodo nemmeno molto lungo di inattività, stia iniziando a mandare segnali di risveglio. Quella stessa parte meridionale del continente americano, fino agli anni ’70 aveva suscitato marcatamente negli osservatori internazionali forme di ironia, talvolta di sarcasmo, sul contiinuo capovolgimento degli assetti di potere, tanto repentini quanto effimeri. Fu allora che per la prima volta si iniziò a parlare di Repubbliche delle banane per indicare la scarsa ortodossia di comportamento dei governi in carica nelle realtà di cui sopra. Probabilmente quella qualifica prendeva spunto concreto da due situazioni sociopolitiche che si erano da poco concretate a quelle latitudini. La prima in ordine di tempo in Argentina, nella prima metà degli anni ’50, per mano della coppia Juan e Eva Peron, mentre pochi anni dopo, sul finire dello stesso decennio, furono i fatti di Cuba per mano di Fidel Castro e del suo apparato militare a far tremare il mondo. Che la pianta della democrazia a quelle latitudini soffra di rachitismo non è un mistero. Che poi si tenti di trovare punti di contatto tra i fatti di Brasilia e quanto avvenne circa due anni fa al Campidoglio, sembra invece una forzatura tirata per i capelli. La prima differenza macroscopica tra le due manifestazioni è da individuarsi nella grande differenza di dimensioni di quegli episodi, anche se altre analogie potrebbero essere rinvenute nelle motivazioni a monte delle stesse. Espresse con poche parole, esse sono una delle varie forme di comportamenti violenti collettivi che si stanno impadronendo sempre più dell’umanità. Non si tratta solo di violenza fisica, molte volte è quella psicologica che terrorizza una notevole quantità di esseri umani. Quegli stessi che si erano illusi che i gulag fossero scomparsi per sempre e che oggi si trovano a fare i conti con sedicenti teocrati. In quanto a danni quei personaggi fuori del tempo ne fanno più dei diavoli, almeno tanto asserisce chi crede nella loro esistenza. Al Bar Centrale del villaggio alcuni avventori del posto facevano notare, a buona ragione, come erano cambiati i litigi di chi un tempo frequentava quel locale. All’epoca lo stesso era somigliante da vicino a un saloon da film western. Quelle teste calde arrivavano molto frequentemente a vere e proprie scazzottate che oramai sono solo ricordi coloriti da raccontare ai più giovani. Senza omettere di aggiungere ogni volta dettagli creati al momento per rendere più colorita la narrazione. In più quei confronti erano solitamente scatenati da nient’altro di più che da un bicchiere e/o una parola di troppo. Svaniti i fumi dell’alcool, i due avversari tornavano amici come prima. La violenza che sta dilagando in tutto il mondo é ben altra cosa. La prima differenza sta nella qualità dello scontro fisico. Mentre un tempo le armi erano le mani nude con il solo aiuto dei piedi, nell’eventualità bisognasse sferrare qualche calcio, ora le stesse sono realmente armate. Nella maggior parte dei casi si tratta di armi bianche, come coltelli, asce e altri oggetti taglienti, talvolta improprie, come la pala meccanica usata a mo’ di ariete durante lo scorso fine settimana in Toscana. Il vero problema é rappresentato dalla facilità per chiunque di potersi munire di una pistola, di un fucile e altre varianti sul tema delle stesse, eludendo autorizzazioni e controlli, quindi fuori della legalità. Il problema è però a monte: quale sia il movente dell’esplosione di tanta violenza, non solo nel Paese ma anche in altre parti del pianeta, là dove l’Homo erectus ha messo in tiro, oltre ai muscoli, anche il cervello. La risposta é tutt’altro che scontata, poiché si ha a che fare con una varietà di situazioni di cui la sola metà sarebbe già troppo. Una cosa però senz’altro le accomuna: sono messe in atto, salvo rare eccezioni, da persone che si ispirano a testimoni negativi di una subcultura dalle forme più che varie. Negli anni ’60 del secolo scorso, molti genitori cercavano di impedire che i figli leggessero i fumetti per diversi ordini di idee. Il primo era che questi ultimi potessero distorcere la realtà agli occhi dei giovani lettori. Quasi ex aequo gli stessi venivano messi al rogo, perché colpevoli di distogliere l’attenzione dallo studio delle materie scolastiche. A parere di quegli adulti, esse erano le sole veramente formative. Tali motivazioni oggi farebbero sorridere con nostalgia un intero convento di novizie, tanto stridente è la differenza di certe letture amene intervenuta da allora a oggi. Va aggiunto che il supporto di quella letteratura oramai da tempo non è più solo cartaceo, si sono aggiunti telefoni, sistemi audiovisivi e simili. Il rilievo dato fino a questo punto a alcune circostanze è necessario ma non sufficiente per motivare quelle espressioni tanto negative del vivere sociale. Probabilmente qualche elemento fuorviante della condotta umana è prodotto ancora oggi dalla cosiddetta civiltà dei consumi che ha fatto, e per tanti aspetti ancora oggi fa, della velocità di sostituzione di un bene e della frequenza della mutazione dei comportamenti il suo vessillo. È evidente che l’uomo, che la dottrina economica definisce un soggetto con disponibilità limitate che si trova a vivere e operare in un mondo dove le risposte alle esigenze sono praticamente illimitate, quando tale divario aumenta oltre una determinata misura, va fuori dai freni inibitori, quelli fisiologici. Come tutti i cambiamenti epocali, anche quello in atto vuole il suo tributo. Di ogni genere, fuorché il sacrificio umano e tanto deve essere ben chiaro.