Addio a Ramsay MacMullen, uno dei più grandi studiosi dell’antica Roma e del suo declino

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in foto Ramsay MacMullen

Lo storico statunitense Ramsay MacMullen, uno dei più grandi studiosi dell’antica Roma della sua generazione, specialista del tardo impero e del cristianesimo primitivo, è morto nella sua casa di New Haven, nello Stato del Connecticut, all’età di 94 anni. L’annuncio della scomparsa, avvenuta lunedì 28 novembre, è stato dato dall’Università di Yale dove era professore emerito di storia dell’età classica. In una ventina di libri e in oltre 80 tra saggi, monografie e articoli ha scandagliato le vicende dell’antico mondo romano da Romolo all’imperatore Costantino, indagando in modo particolare i motivi che portarono al tracollo dell’Impero creato dai latini (secondo la sua tesi la causa scatenante fu una diffusa corruzione tra politici e militari) e la sostituzione del paganesimo con il cristianesimo. Nato a New York il 3 marzo 1928, MacMullen studiò all’Università di Harvard, dove conseguì tre lauree. Ha insegnato storia antica all’Università dell’Oregon e alla Brandeis prima di arrivare a Yale nel 1967. Tra le sue opere maggiori in inglese figurano “Roman Social Relations (50 a.C.-284 d.C.)”; “Roman Government’s Response to Crisis (235-337 d.C.)”; “Paganism in the Roman Empire»”. In italiano sono stati tradotti i libri “La corruzione e il declino di Roma” (Il Mulino, 1988) e “La diffusione del cristianesimo nell’Impero romano (100-400 d.C.)” (Laterza, 1989). Le cause della caduta dell’Impero romano costituiscono uno dei grandi temi storiografici su cui si sono esercitate generazioni di studiosi. Qualcuno si è dato la pena di raccogliere e contare le differenti spiegazioni; sono circa 210, spesso contrastanti: l’edonismo, il cristianesimo, il politeismo, il razionalismo, la superstizione, l’urbanizzazione, il declino delle città. MacMullen ha offerto una nuova prospettiva sull’argomento e ha colto nella corruzione della classe militare e politica il fattore chiave del declino di Roma. Il progressivo e rovinoso uso privato dell’Impero, la perdita di etica nella gestione della cosa pubblica, e gli effetti devastanti che ne derivarono, sono stati da lui ricostruiti attraverso riferimenti precisi alle fonti, testi classici, iscrizioni, reperti archeologici (alcune targhe ritrovate recano addirittura le tariffe delle tangenti), e alla letteratura secondaria. Se in una prima fase (I-Il sec.) erano tollerati favori e favoritismi, ma non la vendita di questi, in una seconda fase (III-IV sec.) la pratica delle estorsioni e delle tangenti divenne corrente, incoraggiata dalle ambiguità della legge, dalla avidità dei burocrati, dall’isolamento dell’imperatore. Si vendeva, si comprava, si estorceva tutto: sentenze, promozioni, incarichi, onori, e il guadagno privato delle autorità militari e civili finì per stravolgere l’azione del governo e per deteriorare la splendida macchina amministrativa e militare romana. Ferme restando le altre concause – latifondo, inflazione, tassazione – il crollo di Roma (in termini di onore, potere, e soprattutto sicurezza militare) è da ascriversi, afferma MacMullen, a questa “privatizzazione” dell’Impero, giunta, nel momento cruciale delle invasioni barbariche, al suo apice. Quanto all’affermazione del cristianesimo, MacMullen indicava nei miracoli, nel rigore teologico, nelle pratiche esoteriche e nell’integrità morale i motivi per cui nel breve volgere di tre secoli la metà circa della popolazione dell’Impero romano si convertì alla nuova religione. Tra i numerosi riconoscimenti ottenuto dallo storico c’era il Lifetime Award for Scholarly Distinction dell’American Historical Association nel 2001. Nel 2013 ha ricevuto l’Arthur Kingsley Porter Prize dalla College Art Association e nel 2014 era stato insignito della prestigiosa Yale DeVane Medal.