Oltre il reddito, il lavoro che c’è e i lavoratori che non ci sono

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L’Italia, si sa, è un Paese difficile da comprendere e da governare. Il suo mercato del lavoro, poi, è tra i più nevrotici al mondo con milioni di persone in cerca di occupazione e altrettanti posti che restano liberi per mancanza di chi possa occuparli. Una grande contraddizione che prende il nome di mismatching, fenomeno tanto osservato quanto duro da scalfire nella sua granita consistenza.
Queste osservazioni emergono con particolare forza all’indomani della scelta del governo di modificare profondamente l’istituto del reddito di cittadinanza accorciandone la durata, in estrema sintesi, e togliendolo a chi un lavoro potrebbe trovarlo. Naturalmente questa decisione è accompagnata da una serie di altri provvedimenti mirati alla formazione e all’uscita dallo stato di necessità.
Unioncamere tiene un po’ il conto della distanza tra domanda e offerta di lavoro e con il suo rapporto Excelsior ne informa regolarmente l’opinione pubblica e i decisori politici. Nel solo mese di gennaio di quest’anno, per dare un’idea, le imprese di costruzioni non trovavamo il 53 per cento dei profili richiesti, le industrie del legno e del mobile il 52,5, le imprese informatiche il 51,9 e così via.
In termini assoluti si tratta di centinaia di migliaia di posizioni che non vengono coperte nonostante l’abbondante manodopera che resta a casa, in molti dei casi a percepire un reddito di cittadinanza la cui presenza se ha comunque dato sollievo a tante famiglie bisognose non ha tuttavia sconfitto la povertà che invece è aumentata. Insomma, il meccanismo prescelto ha lasciato molto a desiderare.
Questa tendenza rischia di accentuarsi con i cantieri che dovranno essere aperti per realizzare le infrastrutture previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’attuazione della rete unica digitale, gli investimenti per le energie rinnovabili e tutto quello che servirà per attivare e completare le opere consentite con il Bonus 110 per cento che sarà presto portato al 90 per cento.
Mettendo a confronto le due informazioni – l’enorme bisogno di lavoratori da una parte e la perdita del sussidio per centinaia di migliaia di persone al lavoro abili dall’altra – verrebbe da dire che finalmente ci potrebbe essere un avvicinamento tra le due tendenze dotando allo stesso tempo le imprese delle energie di cui hanno bisogno e i disoccupati dell’impiego che non avevano.
Bisognerà certo impegnarsi un poco per avviare attività di formazione utili a costruire le competenze necessarie a colmare il vuoto oggi esistente ma sarebbe un peccato non approfittarne anche perché questo poderoso piano di qualificazione o riqualificazione, a seconda dei casi, potrà funzionare da cartina al tornasole per comprendere chi effettivamente vuole impegnarsi e chi no.
Gridare allo scandalo per l’alleggerimento del reddito di cittadinanza e minacciare manifestazioni di piazza evocando il disastro sociale e forse sollecitandone le conseguenze non è un buon servizio fatto al Paese. Le risorse che si possono mobilitare sui diversi obiettivi da raggiungere per assicurarci un percorso di crescita non sono infinite. Anzi, devono essere usate con grande oculatezza.
Questa piccola o grande scossa, dipende dai punti di vista, dev’essere l’occasione per abbandonare una volta per tutte la logica dell’assistenza generalizzata (bene che sia assicurata a chi davvero ne ha diritto) tornando a essere in tutto e per tutto quella nazione coraggiosa e creativa che ancora possiamo riconoscere nelle manifatture che conquistano in mondo all’insegna del Made in Italy.