Non sparate sul PD e cercate una donna che lo guidi

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in foto Enrico Letta

Sarebbe stato più dignitoso dimettersi subito come si usa quando si combina un grosso guaio. Letta, invece, intende rimanere al comando fino a primavera per gestire il congresso. Anche se annuncia che non si ricandiderà, spera che col passare dei mesi i suoi errori vengano dimenticati; e qualcuno gli proporrà incautamente di rimanere. Per colmo di sfacciataggine non parla dell’ignominiosa sconfitta, dice di essere arrivato secondo. Un risultato per lui soddisfacente, anche se inutile, essendo il disastro irrimediabile. Il PD in mano di chiunque avrebbe vinto le elezioni o, almeno, le avrebbe perse di stretta misura. Infatti, l’intera coalizione progressista ha preso più voti della destra, che, però, ha stravinto perché la legge elettorale imponeva il bipolarismo. Non era difficile da capire. Anziché l’onore di Draghi si dovevano difendere gli interessi del PD. Non volle allearsi col M5S per punirlo di avere sfiduciato il banchiere. Adesso suggerisce di programmare una dura opposizione. Chissà che gliene importa alla destra che ormai per cinque anni potrà fare e disfare a suo piacere, con la maggioranza che Letta le ha consentito. Probabilmente riusciranno pure a stravolgere la Costituzione, se trovano qualche voltagabbana che gli darà una mano. E non sarà difficile.

PD e bipolarismo
Purtroppo il bipolarismo impone una legge elettorale crudele. Mentre in un regime di libertà come il nostro sarebbe più democratico, perché conveniente per le minoranze, una legge proporzionale che il governo cosiddetto giallorosso guidato da Conte avrebbe potuto decidere nei due anni in cui è stato maggioranza nel paese. Ma è prevalsa la logica del poi si vede. La politica deve essere lungimirante, anche in un condominio. Il PD non lo è stato e nemmeno i suoi alleati di allora. La sinistra e gli altri partiti non si sono costituiti in coalizione, presentandosi stoltamente o disonestamente separati – noi ingenui attribuiamo gli errori all’inefficienza perché dimentichiamo che gli italiani sono perlopiù corrotti – e concedendo un enorme vantaggio ai tre partiti di destra, che, invece, erano uniti. Eppure sono in disaccordo su tanti punti fondamentali. Ma più importante, giustamente, era vincere. Meglio litigare dopo la vittoria quando è più facile trovare un accordo.

Le colpe del PD
Il PD ha la responsabilità maggiore della disgregazione perché era il partito più numeroso della coalizione progressista e con una tradizione più antica. Così, è sceso quasi al minimo storico. Peggio di mezzo punto aveva fatto solo Renzi alle elezioni del 2018. Sapendo che il partito partiva perdente gli elettori non l’hanno votato. Se avesse guidato una folta coalizione, almeno col M5S, avrebbe ottenuto certo di più.

La mancanza di comunicazione
Oltre che guidato male, non avendo una comunicazione efficiente, il PD non ha mai ricordato agli italiani che la stessa coalizione di destra, che gli elettori ritenevano una novità, nel 2011 era al governo e dovettero dimettersi per incapacità. Lo spread era arrivato a 574 punti base e l’Italia era sull’orlo del fallimento. La Signora Fornero arrivò assieme a Mario Monti proprio per rimediare ai danni causati dal centro destra in tre anni e mezzo di governo fallimentare. Ma Letta si è ben guardato dal ricordarlo.

L’operaio di destra
È normale che la sinistra non sia più il partito affollato e popolare di qualche anno fa. Se oggi gli operai della Mirafiori, cioè della Fiat, pur essendo iscritti alla CGIL, votano per la destra è perché la società si è evoluta – grazie anche alla sinistra – e non esiste più il proletariato. Un tempo Cipputi, l’operaio delle vignette di Altan, diceva ai compagni: Fare l’amore deve essere bello. Se no, l’Avvocato ce lo farebbe fare a noi. Oggi lo fanno tutti, senza rischi, continuamente, persino esageratamente.

Intanto a destra….
In una democrazia in cui predomina il capitale, nemmeno i poveri, che sperano un giorno di arricchire, sono della sinistra di un tempo. Infatti, quando Letta propose una cosa di sinistra. Cioè, mettiamo una tassa sulle eredità milionarie, fu deriso e non guadagnò un voto. Non essendoci più i liberali né una coalizione moderata, votano per questa destra che vuole la Flat Tax per abbassare le tasse a chi guadagna di più. La recente condizione di Berlusconi, le sue apparizioni in pubblico sempre più rare, i suoi interventi illogici e incongruenti e soprattutto l’abbandono di personaggi storicamente legati a Forza Italia, che non possono essere sospettati di tradimento – come Gelmini, Brunetta, Carfagna e altri – confermano il sospetto che il partito non sia più nelle abili mani del fondatore. Gli elettori non se ne sono accorti e hanno continuato a votarlo. Ma sarebbe stato utile che un politico li avvertisse che i loro voti sono destinati a passare di mano.

Il PD e lo scoglio moderato
A quel punto dovranno cercare un altro scoglio moderato. Ed è verso questo scoglio che, senza neppure rendersene conto, il PD è diretto. La Francia – paese un po’ più evoluto e avanti di noi – processò Mitterrand morente per non avere rivelato, di essere ammalato quando si candidò per la seconda volta alla Presidenza della Repubblica, pur avendo poi completato il mandato di sette anni. Morì l’8 gennaio 1996, sette mesi dopo avere lasciato l’Eliseo. Per noi, invece, i leader sono eterni e, seppure improbabile, sempre lucidi fino a età inoltrata. Nel 2020 Jole Santelli si candidò alla Presidenza della Calabria pur essendo in fin di vita. Morì otto mesi dopo essere stata eletta. Lo sapevano in molti, ma nessuno rivelò che aveva un tumore in fase terminale.

Il caso Berlusconi
Il Presidente di Forza Italia ha 86 anni e gliene auguriamo tantissimi altri. Avrà forse per molto tempo ancora le energie e la lucidità per fidanzarsi, ma non per guidare il partito. Fratelli d’Italia potranno assorbire i voti della Lega – com’è già in buona parte avvenuto – ma non quelli di Forza Italia, che è un partito moderato, di ispirazione liberale, seppure padronale. In campagna elettorale il PD avrebbe dovuto sollevare – non sarebbe stato sciacallaggio – il problema della successione in quel partito. Se non lo ha fatto non è perché il PD sia in declino, ma perché i leader non sanno fare politica.

La prima donna premier
La Meloni è la novità da provare. La prima donna premier. Una donna non può essere fascista. Infatti, forse non lo è, ma i modelli cui si ispira sono di un secolo fa. Persino gli ebrei l’hanno votata. Anche loro hanno la memoria corta, seppure dovrebbero tenerla viva per quel che gli è spesso capitato in passato. Sono millenni che danno fiducia a chi non la merita. Speriamo che questa volta abbiano visto bene. Francis Rosenstiel, mio carissimo amico che purtroppo non c’è più, docente di Diritto dell’Uomo all’Università di Strasburgo, diceva scherzosamente ma non troppo, che se i suoi correligionari – votarono per Hitler e acclamarono Mussolini – avessero sempre preso le decisioni opposte a quelle che ritenevano più opportune, la storia del mondo sarebbe cambiata radicalmente.

Chi è duro a morire
Essendo scomparso il proletariato e anche chi vedeva nel socialismo il futuro del paese, bene fa il PD di non ripetere i programmi della sinistra radicale, ormai superata. L’intenzione è di sostituirsi ai partiti laici – liberale, socialdemocratico, repubblicano scomparsi – allontanandosi dalla sinistra di stampo socialcomunista, seppure ci sia ancora qualche superstite tra i ranghi. Comunisti e fascisti sono duri a sparire.

Il congresso del PD
Il congresso del PD non deve riformare nulla, né sciogliere il partito, che è sano, e meno ancora cambiargli nome. C’è forse qualche rara mela marcia ma solo in periferia. Mentre negli altri partiti sono continue le corruzioni e i personaggi sorpresi con le mani nella marmellata. Sono continui gli arresti, le condanne e perfino espulsioni dal parlamento per indegnità. Però, siamo così abituati alla corruzione che gli elettori italiani non ne sono più impressionati. Ma non potrà continuare così. Il PD ha una nuova identità. Gliel’ha suggerita il tempo e se il congresso trova il personaggio giusto il partito non rimarrà al 19%. Letta, uomo intelligente e perbene, era il segretario meno adatto in questa fase perché covava dei risentimenti, seppure legittimi, che ostacolano i rapporti politici. Per di più, cercava un riscatto personale. Invece, ci voleva qualcuno che sapesse mediare tra le varie ambizioni personali degli altri partiti. Il leader deve essere aperto a intese e alleanze opportune, senza pregiudizi.

I precedenti nel PD
Ma quando, il 4 marzo 2021, mentre impazzava il Covid, senza un motivo specifico Zingaretti si dimise, qualcuno ebbe la pessima idea di proporre Letta che aveva lasciato l’Italia da diversi anni e non era più inserito nella politica, anche se la seguiva da lontano. Non è neppure un combattente come i leader debbono essere. Non si fida più di nessuno. Dopo la delusione per il comportamento di Renzi, anziché rimanere a lottare per tentare di riprendere il ruolo da cui era stato defenestrato, senza per altro avere demeritato, se ne andò offeso a Parigi per fare il docente universitario. È il costume degli uomini di sinistra delusi. Anche Romano Prodi, sfiduciato nel 1998 dall’alleato Fausto Bertinotti, se n’era andato sbattendo la porta. Richiamato nel 2006, due anni dopo fu tradito di nuovo dal fuoco amico. Si rifece vivo quando nel 2013 sentì odore di Quirinale. Ma ormai il suo tempo era passato.

Letta e Calenda
Letta si affrettò l’anno scorso ad accettare la segreteria del PD perché era un’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Infatti, caduto il governo Draghi nel mese di luglio, ha rifiutato la disponibilità di Renzi, che considera suo nemico avito, che respinto dal PD trovò sistemazione da Calenda, che intanto aveva trovato tanti soldi per fondare un nuovo partito. Anche lui, poi, tradì Letta – sembra il suo destino – a pochi giorni dalla chiusura delle liste elettorali dopo avere stipulato un accordo. Un partito ha costi enormi, Calenda non avrebbe avuto le possibilità di affrontare la campagna per il Campidoglio e poi quella per le politiche.
Nessuno si è chiesto – Letta avrebbe dovuto suscitare qualche sospetto sulla legittimità del comportamento di Calenda – se per caso non sia stato il finanziatore di Azione a indurlo a rompere il patto col PD. Non ha neppure sospettato che si era candidato al Campidoglio per indebolire il PD anziché dare una mano a Gualtieri. Il difetto dell’attuale dirigenza è di guardare senza vedere. Tanto più che, come Renzi, eletto al Senato, anche Calenda aveva sfruttato il PD per farsi eleggere al Parlamento Europeo, per poi andarsene con la scusa che la sua permanenza era incompatibile con l’alleanza col M5S. Come se fosse un partito di stupratori seriali o legato a un cartello colombiano della droga.

La politica è l’arte delle alleanze e del compromesso
Non ci sono partiti con cui non si può trovare un accordo. Lo dimostrò Aldo Moro con le sue convergenze parallele, con cui, lui cattolicissimo, riuscì – poi ci rimise la pelle – a portare i comunisti; blasfemi nell’area democratica. Non fecero mai parte del governo ma Pietro Ingrao, capogruppo del PCI alla Camera dei Deputati, ne divenne presidente e finì la dura opposizione dei comunisti. Di conseguenza, 30 anni dopo, Napolitano fu eletto capo dello stato. E non fu un disastro per il paese.

Il caso Draghi
Affascinato da Draghi, che non ha nulla di sinistra né ha mai agevolato il PD, Letta non pensò che agli elettori non importava se qualcuno lo aveva sfiduciato. Tanto è vero che tutti i sondaggi prevedevano da tempo la vittoria della Meloni, pur essendo Fratelli d’Italia l’unica forza politica a non far parte del governo Draghi, anzi a fargli sin dall’inizio un’opposizione patriottica. Agli italiani l’espressione retorica piacque anche se non ne capirono il significato, essendo solo uno slogan elettorale. Per di più è stato lo stesso idolo di Letta il vero responsabile del crollo del governo di coalizione perché, sapendo che dopo di lui ci sarebbero state le elezioni anticipate, con maggiore senso di responsabilità avrebbe potuto chiudere un occhio sulle sue pretese e sacrificarsi per qualche altro mese alla guida del paese. Anziché considerare un onore la presidenza del consiglio dei ministri, ne aveva le tasche piene. Senza fare i capricci del divo poteva arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Forse è mancato – chissà perché – anche un autorevole intervento di Mattarella.

L’astensionismo non premia il PD
La diserzione così folta degli italiani dalle urne è dipesa soprattutto dal clima avverso. Non si era mai votato in autunno nei 77 anni di democrazia proprio per evitare le piogge e le difficoltà che molti elettori hanno di uscire da casa col cattivo tempo. Per di più Draghi ci ha fatto il dispetto di indire l’election day in un solo giorno, mentre l’Italia repubblicana alle politiche ha sempre votato in due giorni, anche nella mattinata di lunedì.

Il cambiamento di Letta
Nel 2014, dopo la sfiducia, Letta sembrava l’uomo del futuro, sarebbe stato il successore di Napolitano al Quirinale se avesse avuto i 50 anni necessari per essere eleggibile. Gli mancavano pochi mesi. Aveva un bel curriculum, sia culturale che politico. Collaboratore di Beniamino Andreatta sin da giovanissimo, a 32 anni era già ministro. Ma, la delusione provata in seguito al tradimento di Renzi lo ha trasformato. È diventato permaloso, arrogante, diffidente e presuntuoso. Lo incontrai alla presentazione dell’ultimo libro di Alan Friedman. Parlammo del recente successo della sinistra alle amministrative.
Alcune regioni erano tornate al PD, come pure tutte le grandi città – Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli. E lui non si spiegava perché la sinistra non riscuotesse lo stesso successo alle politiche. Lo feci riflettere sulla circostanza che chi non era di sinistra, ma neppure della destra sovranista, alle amministrative aveva la possibilità di votare per una lista civica. Quindi basta inserire un partito che somigli a una lista civica alle politiche – il terzo polo, concluse lui stesso. Mi scrisse su un tovagliolo di carta il suo contatto per rivederci e approfondire il progetto. Ma siccome l’idea non era stata sua, non rispose mai ai miei messaggi.

Cercate la donna
Quindi, il PD è in buona salute. Io non ne faccio parte, ma ne seguo le sorti con grande interesse perché la sinistra italiana, come tutto ciò che è moderato, è necessaria per l’equilibrio democratico e istituzionale del paese. Senza combinare altri guai – attenzione agli infiltrati; che mettono zizzanie per creare litigi tra consanguinei – basta trovare qualcuno, possibilmente una donna importante, che lo guidi con tolleranza, saggezza e soprattutto umiltà.