Dilemma ministri: più politici o tecnici?

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in foto Giorgia Meloni

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 4 ottobre all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Impegnativa promessa annunciata con tono quasi solenne: sceglieremo fra i migliori, avremo un Governo di alto profilo attingendo tra le competenze più qualificate e prestigiose. Giorgia Meloni non va oltre ritenendo, così, di “aver detto tutto”. C’è voluto poco, invece, perché ci si accorgesse che si era soltanto all’inizio. Controverso punto di partenza: “competenze” più politiche o tecniche a Palazzo Chigi? La scelta dei ministri fatta secondo l’aborrito manuale Cencelli (ancorchè limitato ai tre partiti del Centrodestra), oppure rivolgendosi -senza criteri spartitori- ai collaudati ambienti della cultura, della tecnica e degli specialistici saperi?

AMBIENTI CONTRAPPOSTI. Politica e tecnica pur non considerandosi nemiche irriducibili, non si sono mai amate molto. La prima prigioniera tuttologa della propria, presunta autosufficienza e detentrice della “chiave di volta” capace di risolvere ogni problema; la seconda troppo condizionata dall’idea di non doversi compromettere “sporcandosi le mani”. Conclusione: distinzioni nette e distanze non facilmente superabili. Che sia davvero giunto un tempo nuovo? Giorgia Meloni fa intendere che occorre un rapporto di operosa reciprocità “fra chi può ma non sa” (la politica) e “chi sa ma non può” (la tecnica). Questo perché una “corretta collocazione” delle competenze nella struttura del nuovo Governo rafforzerebbe, rendendola più credibile ed efficace, l’azione che si intende svolgere. Serve, pertanto, che la politica sia “meno ingorda di potere” e che la tecnica smetta di tenersi appartata con tanto di “puzza al naso”. Del resto esempi positivi non mancano. Negli ultimi venti anni i governi “tecnici” di Ciampi, Dini e Monti sono andati ben volentieri in soccorso della politica che arrancava. Il Governo Draghi ha poi dimostrato che anche il terreno della solidarietà e unità nazionale è pienamente praticabile e produttivo di positivi effetti.

I NODI DA SCIOGLIERE. Quelli più intricati, quasi gordiani, sono proprio quelli che Giorgia Meloni ha intorno a sé nella “propria casa”, sotto l’ampio tetto del Centrodestra. C’è chi impazzisce solo al pensiero di ministri tecnici che “non sono stati eletti dal popolo”. Matteo Salvini, per esempio. Il leghista “capitano” ha sùbito messo le mani avanti: a me l’Interno. Immaginiamo quanto sia increscioso, per Giorgia Meloni, dovergli far notare che lui è ancora sotto processo, che la politica dei migranti non è stata affrontata come si doveva (a monte e non a valle), che ha perso terreno non solo al Sud dove era facilmente immaginabile, ma soprattutto nella roccaforte padana e nordica dove non pochi militanti (esempio Roberto Maroni) invocano cambio di leader. Ma lui punta i piedi: o Interni o appoggio esterno al Governo. Che finisca col doversi accontentare di un Ministero di seconda fascia? Sembra che, in privato, Giorgia Meloni abbia detto ai suoi: Salvini la smetta di polemizzare più con me che con i nostri rivali.

ANCHE BERLUSCA NON E’ DA MENO. Sùbito dopo il 25 settembre la spregiudicata uscita salviniana: proporrò al Quirinale di nominare Berlusconi senatore a vita…Ma come, è stato fatto notare al leghista demagogo, il “laticlavio” a chi è stato condannato e che ha ancora processi aperti? Proposta di riserva: allora presidente del Senato. Ma come, proprio della Camera più alta lui che da qui è stato allontanato per indegnità con una votazione inequivocabile? Come contropartita, il fondatore di Forza Italia pretenderebbe per i suoi, la Presidenza della Camera e Ministeri di peso: dagli Esteri all’Interno, dall’Economia alla Giustizia. Sic stantibus rebus, si comprende l’ipocrisia ingannevole dei comunicati alla fine degli incontri a tre che avvengono ad Arcore: “Piena intesa, nessun problema per la formazione del Governo”. Sembra tuttavia che, al termine dell’ultimo incontro, la premier in pectore abbia ammonito: “Ma avete idea di quello che stiamo per affrontare?”.

DATA ORMAI VICINA. Tra due giorni prima riunione del Parlamento (200 al Senato e 400 alla Camera) per la 19esima legislatura. Non sarebbe male se ciascun eletto non dimenticasse mai un dato: al voto del 25 settembre si è presentato soltanto il 63,9 per cento degli elettori. Sfiducia crescente nella politica che può riscattarsi, e rifarsi una verginità, solo con un impegno serio e responsabile di fronte ai grandi problemi del Paese.