Quella in corso sarà senza dubbio una delle campagne elettorali più sui generis che la storia dell’Italia repubblicana annoveri nei suoi annali. Partita, appena sciolte le Camere, con proclami provenienti da tutte le rappresentanze parlamentari, del tipo arcinoto “diremo, faremo, etc”, forte attenzione è stata data dai capi popolo – i leader delle formazioni politiche – alla questione di chi sarebbe dovuto essere il premier del governo prossimo venturo.
Se non fosse che tale atteggiamento non merita nessuna analisi con animo sereno, verrebbe da pensare ai ragazzi della via Pal e a quando, da adolescenti, si creavano le “bande”. Il primo punto che veniva affrontato era chi ne sarebbe stato il capo. Passi per un gruppo di ragazzi, ma che ne faccia una questione di principio chi dice di volersi spendere per il bene degli italiani desta solo perplessità e preoccupazione. Il tempo fino al dies ad quem, il 25 settembre, giorno della chiamata alle urne, sta scorrendo con velocità e finora lo spettacolo che stanno offrendo le delegazioni politiche ai loro mandanti e non solo, non è dei più belli. Da più l’idea di una zuffa tra cani per contendersi un osso, nel caso specifico la leadership del governo che verrà, che non l’elaborazione di un vero programma di lavoro calendarizzato. Ciò che contribuisce ad aggravare non poco tale situazione, è che essa è ben monitorata d’oltre confine. Tradotto in termini più terra terra, il Paese comincia a vedersi crollare addosso quanto fatto dal passato esecutivo, un’opera di maquillage profondo che, fuor di metafora, consiste nell’ innegabile ripresa di fiducia dell’ Italia che, allo stato, è sottoposta al fuoco amico che rischia di caducarla a stretto giro. È fuori di ogni dubbio che ciascuno è libero di dire e fare quanto ritiene opportuno, sempre però rimanendo nei confini tracciati da millenni da un principio che da se vale un codice: neminem laedere, più esplicitamente il diritto di una persona comincia da dove finisce quello di un altro. Senza scendere nei dettagli, è evidente a tutti che la rappresentanza parlamentare e quella politica in generale stanno facendo, oramai da un bel po’ di tempo, invasioni di campo ciascuna nello spazio ideale, meglio nel modo di ipotizzare il futuro del Paese, dell’altra, con la presunzione che da ciò possa venire fuori quanto occorre al buon governo dell’ Italia.
Il Professor Einaudi, che scrisse un libro intitolato come quella formula, starà rabbrividendo dal luogo dove si trova. Non solo per il modo in cui si stanno svolgendo i preparativi al voto delle forze politiche, quanto per notizie che trapelano con disinvoltura di maniera da camere off shore come Porta a Porta o Mezz’ora. Sono accomunate per rispetto della par condicio nei confronti della destra e della sinistra. Ciò che sta venendo fuori è una confusione che si nutre di se stessa e fa intravedere mancanza di concretezza da parte di chi si sta candidando a tenere in pugno le redini del carro Italia, peraltro in un frangente della storia del mondo tra le più complesse che mente umana ricordi. É solo di poche ore fa un pour parler televisivo in cui è stato fatto cenno che, nel memorandum di una certa coalizione, ci sarebbe una riforma della Costituzione quanto meno stravolgente. L’obiettivo primario della stessa sarebbe trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Con tutto il rispetto per la libertà di pensiero e di parola, l’argomento richiederebbe ben altra esposizione che non una boutade televisiva in una torrida domenica, di pomeriggio, a fine luglio. Già, perché è arrivato agosto, quindi il mese prossimo gli italiani andranno alle urne. Nell’Italietta del periodo della ricostruzione post bellica, circolava uno slogan che si prestava a diverse interpretazioni. Esso suonava così: “Agosto, moglie mia non ti conosco”. Aggiornato a questi tempi potrebbe suonare: “Agosto, signori candidati a rappresentare il popolo, fatevi (finalmente) riconoscere, per quello che pensate di voler fare, per una volta guardando dritto negli occhi degli elettori”. In una dei suoi tanti brani che hanno segnato un’epoca, Claudio Villa cantava “no, cara piccina no, così non va”. Chissà che effetto avrebbe ora un messaggio del Presidente della Repubblica Mattarella al generone politico! Lo stesso, riassunto, potrebbe suonare- senza musica, beninteso -così:”No, cari signori, no, così non va: regolatevi di conseguenza”. A una prima riflessione sembra che non lederebbe niente e nessuno. In più non costerebbe niente e…non si può mai sapere!