Francia, al cardiologo Domenico D’Amario research grant di 10 mila euro

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Qualche giorno fa a Parigi, nel corso della cerimonia di chiusura del congresso EuroPCR una giuria di esperti internazionali (della quale facevano parte anche il professor Jean Fajadet e il professor William Wijns, co-presidenti del congresso, il professor Lorenz Räber dell’Università di Berna, il dottor Nick West, Vascular Chief Medical Officer di Abbott e la Dott.ssa Teresa Glynn in rappresentanza della Global Heart Hub Foundation, organizzazione no-profit per pazienti affetti da Patologie Cardiovascolari) ha conferito al dottor Domenico D’Amario, dirigente medico presso la UOC di Cardiologia della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, il premio per il miglior progetto di ‘cura personalizzato per patologie vascolari,’ un research grant del valore di 10 mila euro.

“Il progetto – spiega il dottor D’Amario – riguarda i cosiddetti ponti miocardici, delle anomalie congenite delle arterie coronarie (i vasi che ‘nutrono’ il cuore) caratterizzate da un decorso dei vasi sanguigni all’interno del muscolo cardiaco, che cinge ‘a ponte’ la parete del vaso. Si tratta di pazienti in media più giovani (intorno ai 60 anni o meno) dei classici soggetti con ischemia miocardica che, sotto sforzo, presentano un intenso dolore al petto, condizionando pesantemente la loro qualità della vita. Queste osservazioni sono nate in collaborazione con i medici dello sport (l’équipe del professor Vincenzo Palmieri e del professor Paolo Zeppilli), che riscontravano questi casi in alcuni sportivi. All’inizio si pensava che queste alterazioni, riscontrate nel corso di un esame angiografico, fossero abbastanza rare; ma da quando è stata introdotta la TAC coronarica, ne stiamo trovando molte”. Fino ad una decina di anni fa si riteneva che i ponti miocardici non fossero causa di ischemia cardiaca. Questo perché, anche se durante la sistole, la contrazione del ventricolo può determinare una compressione del vaso coronarico (la coronaria viene cioè ‘strozzata’ dal muscolo che si contrae), in realtà il flusso all’interno delle coronarie (il momento cioè in cui il cuore viene ‘nutrito’) si verifica durante diastole, quando il muscolo è rilasciato”.

“Tuttavia – spiega D’Amario – evidenze recenti hanno rivelato che questi pazienti possono presentare fenomeni di ischemia miocardica per una serie di meccanismi diversi, in parte simili a quelli di un’occlusione ‘classica’ delle coronarie, che spiegano i loro sintomi (dolore precordiale)”. L’intensità dei sintomi dipende da quanto questo ‘ponte’ è profondo nel muscolo, da quanti vasi partono dal tratto tunnellizzato, dalla comparsa o meno di uno spasmo coronarico (molto più frequente dove c’è il ‘ponte’), dalla formazione di una placca aterosclerotica a monte del ‘ponte’ (facilitata dal flusso turbolento nella zona del ponte) o dalla disfunzione del microcircolo a valle del ‘ponte’.

“Per studiare meglio questi pazienti – spiega il dottor D’Amario – abbiamo creato un registro (‘Rialto’, il cui responsabile è lo stesso dottor D’Amario), che ha raccolto finora circa 20 mila pazienti sottoposti a coronarografia (tra i quali sono stati già individuati 400 pazienti con ponte miocardico), presso 5 centri italiani ad alto volume (San Martino di Genova, Centro Cardiologico Monzino, Università di Ferrara, Policlinico Tor Vergata, Fondazione Policlinico Gemelli) per vedere cosa viene fatto al momento nei pazienti portatori di questa anomalia.

Abbiamo evidenziato che nella maggior parte dei casi si fa solo la valutazione angiografica, seguendo la visione classica che il ponte non possa causare ischemia. In realtà, la mia idea, che è stata confermata dall’analisi dei dati raccolti in questi centri, è che è opportuno personalizzare sia la diagnosi, che il trattamento di questi pazienti, che nel corso del tempo continuano ad avere dolore al petto con una pessima qualità di vita e alterazione degli esami cardiologici. Quindi, se al momento dell’angiografia andiamo a ricercare tutte le componenti di cui sopra, attraverso una valutazione funzionale (sottoponendo il paziente a test provocativi con farmaci e utilizzando guide che misurano pressione e flusso coronarico), siamo in grado di individuare qual è l’anomalia alla base della loro ischemia e di conseguenza potremo offrire loro il trattamento migliore”.

E la riprova è, che a due anni di follow up, i pazienti diagnosticati e trattati in maniera personalizzata riferiscono di stare molto meglio. “Per il futuro, abbiamo dunque intenzione di organizzare uno studio prospettico, nel quale sottoporre in maniera sistematica a valutazione completa tutti i pazienti con sintomi ed evidenza di ischemia, per personalizzare il loro percorso di cura”.

Conoscere il meccanismo alla base dei fenomeni ischemici, consente di dare ad ognuno la terapia più appropriata, ‘su misura’. “Se il meccanismo principale di ischemia è lo spasmo – spiega il dottor D’Amario – somministriamo dei calcio antagonisti, se è invece legato alla frequenza cardiaca, si danno dei beta bloccanti; se infine è presente malattia aterosclerotica a monte, si posiziona uno stent sulla placca, usando come guida l’imaging intravascolare (OCT-IVUS) per limitare la procedura al tratto in cui non è presente il ‘ponte’, in modo da essere molto precisi nella procedura e nel rilascio dello stent”.

“Per molti anni abbiamo ritenuto – conclude il Professor Filippo Crea, direttore UOC di Cardiologia del Policlinico Gemelli e Ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica – che l’angina potesse essere causata solo dalla presenza di placche aterosclerotiche che ostruiscono le arterie che portano sangue al cuore. Abbiamo recentemente scoperto che circa metà dei pazienti con angina non hanno ostruzioni coronariche ma alterazioni funzionali del circolo coronarico. Lo studio Rialto dimostra anche i ponti coronarici possono causare ischemia in assenza di aterosclerosi coronarica. Un loro studio approfondito consente di ottimizzare la terapia antianginosa migliorando la qualità della vita di questi pazienti”.