La città metropolitana come sistema complesso

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di Achille Flora

Il dibattito sulla rigenerazione urbana dell’area metropolitana di Napoli presenta il limite di seguire fili di ragionamento settoriali sulle diverse tematiche, dall’urbanistica al territorio, dalle politiche industriali a quelle sociali, con i tecnici e gli esperti a dissertare nell’ambito delle diverse competenze settoriali e disciplinari.
Eppure tutti condividono l’idea che le città metropolitane sono sistemi complessi, senza però trarne la conclusione che, forse, dovremmo adottare un approccio diverso nell’analisi territoriale, ponendo maggiore attenzione alle connessioni e intersezioni tra i diversi comparti produttivi e ambiti territoriali. Se lo sviluppo economico-sociale si è storicamente identificato con il passaggio da una struttura economica arretrata ad una avanzata, come nel caso della prima rivoluzione industriale, dovremmo allora definire verso quale modello produttivo vogliamo indirizzare, attraverso attente politiche pubbliche, il sistema produttivo delle aree metropolitane.
La letteratura sui sistemi complessi ci insegna che trattasi di sistemi in cui non è possibile applicare analisi riduzionistiche basate sulla scomposizione in unità minime delle sue componenti, per poi ricomporle nella sua maggiore dimensione. In realtà, incidono più le interazioni tra le componenti che i comportamenti individuali isolati, anche perché gli individui seguono regole d’azione introiettate senza la presenza di un’autorità esterna che faccia da coordinamento. Il neo premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, si è approcciato ai sistemi complessi osservando gli stormi di uccelli che eseguono nel cielo voli perfettamente coordinati, disegnando figure geometriche, scambiandosi informazioni senza alcune regia a guidarli.
In particolare, l’area metropolitana di Napoli, è caratterizzata dalla presenza contemporanea di comparti innovativi (dall’aerospazio alla farmaceutica) e tradizionali (dal tessile-abbigliamento all’agro-alimentare). Due mondi apparentemente separati ma concentrati nello stesso territorio, con un’elevata densità abitativa a fare da collante tra loro. Le problematiche di quest’area toccano tutti gli aspetti vitali di una grande area urbana dalla congestione territoriale al problema delle abitazioni, dal lavoro mancante all’inquinamento ambientale, dal calo della popolazione alla carente offerta di servizi. Un cahier de doléances infinito.
Da dove iniziare, si chiedono in tanti, mentre ogni studioso, intellettuale, politico o tecnico, per rispetto delle competenze si rinchiude nelle sue, offrendoci proposte migliorative attraverso singoli interventi in ambiti specialistici, senza incidere però sull’intero sistema.
Dovremmo invece concentrarci su un tema che può cambiare l’intero sistema e questo è senza dubbio il modello produttivo di riferimento. Dalla fine del modello fordista, l’area metropolitana di Napoli sta vivendo un processo di perdita di attività produttive e popolazione. Una città in decrescita (infelice) di abitanti ed industria, caratterizzata da dimensioni imprenditoriali micro, con il 95% delle imprese micro e piccole, senza sostanziali rapporti con le poche medie e rare grandi imprese. Fermi ad un vecchio modello produttivo, assistiamo inerti alla sua perdita di competitività, né gli spezzoni del modello innovativo, pur esistenti, non raggiungono una soglia di significatività tale da stabilirne il dominio territoriale.
Questo mentre le punte avanzate della produzione mondiale si sono accentrate nei poli innovativi urbani delle città statunitensi ed inglesi, che hanno unito, al predominio nei servizi finanziari, quello della produzione di conoscenza, invenzioni e prodotti innovativi.
Gli elementi per questo passaggio di fase, non sono tutti nelle mani degli enti ed operatori locali. Alcune leve fondamentali (investimenti in R&S, i fondi per le Università, l’apertura di Centri di ricerca pubblici, etc.) rientrano nell’ambito delle competenze nazionali e finora hanno penalizzato le città meridionali. Quelle disponibili per le politiche locali, scontano invece la debolezza d’istituzioni fragili e di una classe politica debole.
Eppure il futuro dei nostri nipoti, per parafrasare Keynes, dipende dalle politiche che saremo capaci d’attuare adesso con i fondi del PNRR, a partire dalle connessioni tra i sistemi produttivi, veicolando e trasferendo nei processi produttivi tradizionali elementi d’innovazione, migliorando le connessioni dei trasporti come tra industrie complementari, immettendo nella complessità del sistema elementi che possano influenzarne l’evoluzione del suo insieme.