Considerazioni sulla Turchia

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Il Presidente Erdogan, a seguito degli avvenimenti interni e dell’emergere di nuove sfide regionali, guarda con diffidenza ai curdi siriani: collegati al PKK, i combattenti del PYD hanno un’organizzazione militare efficiente e in grado di opporsi con successo alle schiere dell’ISIS. Non solo, han finito col gettare nello sconforto i divisi gruppi ribelli arabi schierati contro Assad, che Ankara appoggia. Si trovano ai confini con la Turchia e potrebbero instaurarvi un’entità territoriale autonoma, confinante per di più col quasi indipendente Governo Regionale del Kurdistan nell’Iraq del Nord: un simile stato curdo potrebbe infiammare le ambizione autonomiste della minoranza curda in Turchia. L’attentato di Suruç, avvenuto in territorio nazionale, e la sanguinosa risposta del PKK, han fornito al Governo di Ankara l’occasione per lanciare una campagna sia contro l’ISIS che contro lo stesso partito combattente curdo. Erdogan spera così indebolire la resistenza curda in Siria. L’attuale condizione della società turca non dovrebbe però lasciargli granché di speranza. È in questo contesto che va vista l’autorizzazione data agli Americani di usare la base aerea di Incirlik per facilitargli logistica e operazioni più efficaci contro l’ISIS. Per gli esperti di Washington, se si vuole sconfiggere il Califfato in Siria, è necessaria la collaborazione di Ankara anche per il controllo delle frontiere. L’AKP non ha più il sostegno popolare di cui godeva. Il suo grande consenso derivava dal fatto di esser riuscito a portare stabilità e buone prospettive economiche. Si parlava di prendere Ankara a modello per la regione sul come conciliare tradizione islamica, modernità e via verso la democrazia. Anche le scelte in politica estera sembravano foriere di grande prestigio e prospettive. Con l’inizio della rivolta in Siria, tutto è cambiato. Per motivi di politica interna, non sembra più in grado di far marcia indietro sulla questione curda e questi non godono più della fiducia dello stato turco. Se i curdi dovessero decidere di schierarsi, sceglierebbero di sostenere in massa il PKK. Dalle manifestazioni di Gezi Park, Erdogan ha iniziato a dar segni di sempre maggiore arroganza, autoritarismo e paranoia. La recente inaugurazione di un palazzo presidenziale di 1150 stanze, grande quattro volte Versailles e per di più su di un terreno vincolato, non gli è certo stata d’aiuto. Ne ha solo sottolineato il carattere capriccioso, autoritario e tendente alla megalomania, evidenziando per molti un’inclinazione al potere illimitato. Per la sua ostilità verso Assad, dal quale ha subito amarezze, delusioni, fin quasi un senso di tradimento personale, Erdogan ha deciso di lasciare libero campo all’ISIS. Contro i suoi pareri, il Presidente siriano si è gettato in una guerra contro la maggioranza sunnita del suo popolo. Questo ha finito col destabilizzare il Paese e aprire la strada alle avventure dell’ISIS. Al Califfato, la Turchia oltre che comprare petrolio in sordina, ha lasciato aperto il territorio nazionale ad ogni sorta di transiti e operazioni segrete, diventando così tratta per armi, finanziamenti e aspiranti jihadisti diretti in Siria. Questo stato di ambiguità si è ora rotto: col pretesto di attaccare l’ISIS, il Presidente ha di fatto dichiarato guerra ai curdi. L’aviazione di Ankara ha colpito molti più obiettivi curdi che non del Califfato e questa campagna andrà tutta a vantaggio di gruppi islamisti radicali. Ora che lo Stato Islamico è stato attaccato, con i suoi mezzi di propaganda sta già facendo appelli ai turchi per sollevarsi contro il “governo satanico” di Erdogan. Il pericolo è che questa situazione possa finire con l’aprire nel Paese uno spazio per i suoi simpatizzanti. Anche il PKK non navigava in buone acque sebbene fossero in corso con il governo di Ankara trattative che lasciavan ben sperare. Nelle recenti elezioni di Giugno l’HDP, partito a base curda più aperto e democratico, si è rafforzato superando la soglia di sbarramento del 10% e il risultato ha infastidito non poco i falchi del PKK. L’inaspettato successo ha stravolto i piani di Erdogan, impedendogli di ottenere la maggioranza necessaria per modificare a suo vantaggio il potere presidenziale. Con le elezioni del primo novembre Erdogan punta a demonizzare il nazionalismo curdo, macchiandolo con accuse di terrorismo, creando un’atmosfera di assedio e di crisi, farà leva sui valori dell’unità nazionale di fronte a minacce esterne, ma i sondaggi per Erdogan oggi non sono positivi. Nuova grana per Ankara è l’Iran. Tehran è riuscita ad estendere la sua influenza dalle rive del Golfo Persico al Mediterraneo, area nella quale svolge ora un ruolo non marginale. Si tratti di curdi o di iraniani, per di più sciiti, agli occhi di Erdogan l’ISIS appare oggi come importante strumento da utilizzare contro entrambi. Tra crisi regionale, rischi per la sicurezza, guerra su due fronti, la lira turca è nel frattempo scivolata ai minimi. Come se ciò non bastasse, vi è da aggiungere il rallentamento delle economie dei paesi emergenti e le non buone notizie sul futuro del modello cinese.

di Edoardo Almagià