Un libro ricorda Luca Attanasio

244

Solamente ora, ad un anno dall’eccidio, viene pubblicato il libro dedicato al diplomatico italiano ucciso in Congo il 22 febbraio 2021 (Luca Attanasio. Storia di un ambasciatore di pace, Piemme, 176 pagine, 17 euro e 90, da oggi in libreria). Luca Attanasio raccontato da sua moglie e dagli amici: un ritratto dal vivo, nella forma delle testimonianze in prima persona. Fabio Marchese Ragona, vaticanista di TgCom24, ha scelto questa efficace modalità narrativa per restituire la figura affascinante dell’ambasciatore: emerge il profilo di un uomo di pace e anche di fede, dall’oratorio di Limbiate agli incontri di Taizé. Una testimonianza che spinge a imitarlo. In particolare resta interessante l’Africa di Luca Attanasio: Era l’ottobre del 2020, Luca era stato insignito del Premio internazionale Nasiriyah per la pace. Un riconoscimento per il suo impegno «volto alla salvaguardia della pace tra i popoli e per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà ». Aveva tenuto un breve discorso a braccio, uno degli ultimi pronunciati pubblicamente, per raccontare il suo lavoro in quella terra, l’Africa, la Repubblica Democratica del Congo, così bisognosa di pace. Quelle parole rimangono oggi come una sorta di “testamento morale”, che racchiude tutta l’essenza del suo essere uno spirito libero, che racconta meglio di qualsiasi altra cosa chi era davvero Luca l’ambasciatore.

Il Congo è una realtà così lontana da quella che conosciamo che è davvero difficile farvi capire cos’è se non la si vive. Mi hanno chiesto: cosa lascerà il Covid nelle nostre vite una volta finita l’emergenza? A mio parere è un trauma che fa riflettere e che fa nascere cose straordinarie. Non so esattamente cosa lascerà il Covid-19, ma penso che lascerà una riflessione intorno a cosa sia essenziale nella vita, a cosa resta, a cosa diamo per scontato. E su questo dovremo costruire il futuro. In Congo tante di quelle cose che diamo per scontate, anzitutto la pace, la salute o l’istruzione, lì non lo sono. Anzi, sono un privilegio per pochissimi. Pace, famiglia e solidarietà sono le tre parole chiave.

Il Congo ha così sete di pace che sta combattendo per mantenerla e che si è conquistata con tre guerre. Ma è un gigante dai piedi fragili, con vicini importanti e che vive in una situazione difficile, faticosa per la popolazione, soprattutto nell’est del Paese. Tanti sono gli appelli internazionali affinché possa veramente esserci la pace in quelle regioni. E il ruolo dell’ambasciata qual è in tutto questo? Anzitutto stare vicino agli italiani che sono in Congo. Siamo circa un migliaio. La maggior parte sono missionari, che sono membri della Chiesa e quindi missionari per vocazione, ma ci sono anche dei laici che dedicano la vita agli altri. Ci sono medici che hanno lasciato tutto e vivono con 80 dollari al mese in spirito di servizio per insegnare a operare nel settore ginecologico, formando ragazze nella foresta. La mia attività istituzionale è ben poca cosa rispetto a ciò che tanti connazionali fanno lì. La seconda parte è la famiglia: io e mia moglie abbiamo tre bambine. E quando dico che viviamo in Congo tutti sono stupiti. Anche tanti nostri connazionali ci dicono: «Ma come? È pericoloso! ». Bisogna partire dal presupposto che fare l’ambasciatore è un po’ come una missione: secondo me quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio. Quante famiglie in Congo crescono i loro figli? E quindi mia moglie ha deciso che bisogna essere ambasciatori e rappresentanti dello Stato, insieme. Quindi viviamo lì e insieme rappresentiamo lo Stato in tutte le sue varie forme.

E in questo entra la solidarietà. Mia moglie Zakia vedendo questo problema immenso dei bambini di strada – sono 30-40mila che vivono con vari escamotage, senza una sistemazione – ha deciso di fondare una ong, “Mama Sofia”, per aiutarli facendo leva sui nostri contatti e cercando di accompagnare ragazze madri e bambini abbandonati verso la speranza di una vita migliore. Il Congo vissuto dall’ambasciatore italiano è questo e tanto altro: è complesso, difficile da spiegare e da raccontare, però nel contempo è affascinante, perché è profondamente diverso dalla vita che viviamo ogni giorno a casa nostra, in Italia. Ringrazio dunque per questo premio che mi spingerà a portare avanti, ancora di più, questa nostra missione diplomatica sul campo con ancora maggiore attenzione, soprattutto verso chi ha bisogno.