Oltreladieta, il progetto online che combatte la diet culture

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di Rosina Musella

Oltreladieta, profilo Instagram gestito dai dottori Mario Russo e Viviana Valtucci, dal 2015 si propone di combattere la diet culture attraverso stories e post divulgativi per diffondere le potenzialità dell’approccio non prescrittivo.
Russo e Valtucci iniziano il loro percorso di studi con una Laurea in Dietistica seguita, per Valtucci, da una Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana e, per entrambi, da un Master sui Disturbi Alimentari, “un argomento che da sempre è stato oggetto – affermano -del nostro interesse”.
Nel 2012 fondano l’Associazione di Dietetica E Psicologia per l’Obesità e i disordini alimentari Adepo per portare avanti un percorso di sensibilizzazione e prevenzione nei luoghi frequentati maggiormente dagli adolescenti, rappresentanti della fascia d’età più soggetta all’insorgenza di Disordini del Comportamento Alimentare, e organizzare corsi di formazione per professionisti che intendano specializzarsi nella cura dei Dca.
“Lavoriamo con équipe multidisciplinari e questo ci ha stimolato fino al punto di decidere di intraprendere un ulteriore percorso di studi – ci racconta Valtucci – Infatti, dopo la Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche conseguita all’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli nel 2019, siamo entrambi laureandi, presso la stessa facoltà, in Psicologia Clinica”.
Per parlare del loro lavoro, dell’approccio non prescrittivo, e chiedere come interfacciarsi con una persona affetta da Dca, i nostri microfoni hanno raggiunto Viviana Valtucci.

Com’è nato Oltreladieta?
Dopo le prime attività portate avanti con l’associazione, abbiamo sentito l’esigenza di utilizzare anche i social network per diffondere il nostro messaggio, così siamo approdati su Instagram, che raccoglie per la maggior parte giovani, coloro con cui c’è ancora più necessità di divulgare certe tematiche.
Il termine “dieta” viene dal greco dìaita, “stile di vita”, ma nella nostra società alimentazione e dieta non vengono più intesi come strumenti utili al raggiungimento del benessere a 360°, bensì come un insieme di regole rigide adottate allo scopo di modificare il proprio peso e le proprie forme, regole che possono comportare effetti negativi per la salute dell’individuo dal punto di vista sociale, psicologico e fisico. Quindi “oltre la dieta” significa andare oltre il concetto attuale di “dieta” e con questo progetto puntiamo a smantellare la rigidità della diet culture, provando a sensibilizzare su temi fondamentali come l’accettazione corporea e un approccio al peso non giudicante ma accogliente, con un focus sui Dca e la cura degli stessi.

In cosa consiste il vostro approccio?
Anzitutto lavoriamo sulla motivazione al cambiamento e la consapevolezza, cercando di capire perché la persona si sia rivolta a noi e quale sia il suo rapporto con cibo e corpo. Puntiamo a conoscere il paziente nella sua complessità, perché scoprire certi dettagli della persona che si ha di fronte può aiutare a comprendere le motivazioni dietro i suoi comportamenti alimentari. A seguito della prima visita proponiamo un percorso non prescrittivo, non prescrivendo una dieta: è stata sempre più verificata l’altissima percentuale di interruzione di terapie di questo tipo che, seppure ad opera di professionisti specializzati, si limitano a prescrivere cosa e quanto mangiare e l’imposizione di certe regole non produce un cambiamento sostenibile nel tempo.
Dopo è il momento dell’induzione al cambiamento, fase in cui accompagniamo il paziente attraverso un percorso di rifamiliarizzazione con il cibo, una sorta di “secondo svezzamento” in cui esso torna ad essere un elemento neutro e non qualcosa da temere. Questo avviene anche attraverso i pasti assistiti, in cui aiutiamo la persona a reintrodurre nella propria alimentazione anche i cibi più fobici, come quelli protagonisti delle abbuffate per coloro che soffrono di bulimia o binge eating.
Nel nostro approccio educhiamo il paziente e, ricollegandoci al termine latino “ex ducere”, non lo riempiamo di nuove nozioni, ma le “conduciamo fuori” da lui, permettendogli di sviluppare consapevolezze e sperimentare un nuovo stile di vita sostenibile nel tempo e a misura delle sue esigenze biologiche, sociali e psicologiche.

Cosa si può fare per combattere l’insorgenza di Dca negli altri?

Ci vuole del tempo per rieducarsi in questo senso, perché tutti risentiamo della cultura della dieta e del giudizio. Per non essere più schiavi di queste interiorizzazioni possiamo iniziare non commentando forme corporee, peso e cibo consumato né da noi stessi né dagli altri, anche quando con questi altri c’è un rapporto di fiducia. Questi sono argomenti delicatissimi e, talvolta, un nostro commento fatto a fin di bene ottiene l’effetto opposto. È buono allenarsi in tal senso e questo sarebbe già un atto rivoluzionario, poiché commenti e giudizi sul proprio peso o ciò che si mangia sono fattori predisponenti per lo sviluppo dei DCA.

E chi è a stretto contatto con una persona affetta da Dca?
In quel caso è utile creare un dialogo con quella persona, ricordandole che siamo sempre lì in suo supporto e mostrando un approccio non giudicante. Possiamo iniziare noi ad introdurre il discorso, sempre in maniera delicata, dicendo che abbiamo notato un suo difficile rapporto con peso, corpo e cibo. Se quella persona non dovesse sentirsi a proprio agio nel parlarne, potremmo renderci disponibili come una presenza che ci sarà nel futuro, in caso di bisogno.
Anche prendere contatti con associazioni, specialisti o attivisti preparati sui DCA è importante, perché possiamo imparare come comunicare con il nostro caro nel modo migliore, evitando frasi che, a nostra insaputa, possano peggiorare le cose.

Cosa dovrebbero fare i professionisti del campo?
È dovere del professionista porsi sempre domande. Anche noi inizialmente avevamo un approccio di tipo prescrittivo, ma ciò che ci ha salvato, e che secondo me salva qualunque professionista sanitario voglia fornire un buon servizio, è stato mettere sempre in discussione le nostre certezze. Non farsi domande è una trappola pericolosissima, perché sbarra la strada a riflessioni utili e importanti, derivate sia dalla propria esperienza di professionisti, sia da quella dei pazienti.
Noi diciamo che i nostri pazienti sono stati, sono e saranno sempre i nostri più grandi insegnati, perché le cose più importanti le abbiamo imparate da loro.

Link al profilo Instagram del progetto: https://www.instagram.com/oltreladieta/