Economia, Etica, Estetica per un Sud a prova di “bamba”

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Quindici difetti da cui guardarci: pressappochismo, infantilismo, incompetenza, arroganza, familismo, clientelismo, rozzezza estetica, trasformismo, provincialismo, disfattismo, sospetto, dietrologia, irriconoscenza, individualismo, rassegnazione. Bisogna partire da questa consapevolezza se si vuole davvero smuovere l’imbambolata società meridionale.
Ne discutevamo al Denaro sei anni fa – nel 2015, Matteo Renzi presidente del Consiglio – con un gruppo di amici del calibro di Dominick Salvatore, Paolo Savona, Luigi Nicolais, Domenico De Masi in un confronto distribuito in cinque tappe con la collaborazione della fondazione Matching Energies di Marco Zigon e il coinvolgimento di oltre 300 interlocutori qualificati.
Venne fuori un documento – conosciuto come Manifesto di Ischia perché qui si tenne la prima partecipata riunione – al quale imponemmo il titolo di Economia, Etica, Estetica avendo individuato in questi tre filoni i pilastri su cui fondare una nuova politica per il Mezzogiorno. Non prima, naturalmente, di aver messo all’indice gli ostacoli che si erano sempre frapposti ai sogni di gloria.
La dimensione Economica, dicevamo, deve ricevere la spinta da due motori potenti: quello delle costruzioni e quello delle esportazioni. La dimensione Etica mette in risalto qualità indispensabili allo sviluppo che si possono sintetizzare in un concetto: essere galantuomini è sempre più un vantaggio competitivo. La dimensione Estetica riguarda il decoro anche inteso come coscienza del proprio valore.
Con questa armatura ideale si sarebbe potuta affrontare la sfida del momento: la messa a terra di investimenti produttivi, la spesa buona, resi possibili dal nascente Piano Junker e dai fondi europei normalmente destinati alle regioni meridionali. Il problema, ammoniva il vicepresidente della Bei Dario Scannapieco, non sono i soldi ma i progetti per usarli.
Negli anni successivi molti e proficui sono stati i confronti con chi si poneva le nostre stesse domande – in particolare la Svimez, il Centro Studi Srm, l’associazione Merita – e sempre al di là delle specifiche prescrizioni (meglio fare questo, meglio fare quello) la cornice triangolare delle 3E inquadrava la situazione: senza una rivoluzione culturale non si va da nessuna parte.
E questo a prescindere dall’effervescenza di alcuni politici, alcuni amministratori pubblici, alcuni imprenditori che meglio di altri avrebbero interpretato i temi del riscatto. Anche nel territorio più depresso ci sono le eccezioni. Ma restano tali, come animali esotici da osservare con ammirazione, mentre il resto della fauna continua ad avere comportamenti da cortile.
Quelle preoccupazioni, quelle prescrizioni, sono valide ancora oggi alla vigilia del più grande intervento pubblico mai programmato dagli anni del Piano Marshall (e a questo accostato) che ci sollevò dalle pene della guerra e ci mise sulla strada per diventare, come Paese, la settima potenza industriale al mondo anche grazie allo slancio produttivo reso possibile al Sud dalla Cassa del Mezzogiorno.
Altri tempi, altri uomini. Ma per avere la stessa fortuna del suo onorevole predecessore, il Next Generation Eu deve poter godere delle medesime condizioni di partenza: persone competenti nei posti chiave, una generazione desiderosa di costruire un futuro migliore, la messa al bando delle peggiori espressioni del nostro carattere. Economia, Etica ed Estetica devono imparare a tenersi per mano.