Quando ci si avvicina al mondo del trading internazionale, una delle prime regole che si imparano sul campo è l’enorme varietà di situazioni e contesti socioculturali con i quali si è portati (a volte costretti) a interagire. In altre parole, ciò che in un ambiente finanziario, per così dire, “domestico” è governato da determinate norme comportamentali, o anche semplicemente da prassi consolidate nei decenni, in altri contesti antropologici e sociali può essere soggetto a protocolli, rituali, persino liturgie, di ben altra natura.
Il mondo islamico, da questo punto di vista, rappresenta un caso di specie tanto peculiare quanto delicato, fosse anche solo per la centralità che i paesi arabi hanno assunto nell’economia globale da almeno sessant’anni. Di sicuro, trader e investitori non possono trascurare a cuor leggero questo ambito della galassia finanziaria, ma anzi, sono spesso chiamati a confrontarsi con essa, e non solo in virtù della capacità di paesi come l’Arabia Saudita di trasformare la possibile crisi di un settore in un momento di crescita industriale su larga scala. La verità è che valute come il Riyal saudita e il Dirham degli Emirati Arabi Uniti possiedono una naturale “fluidità” e una consolidata credibilità, che le rendono perfette per le transazioni internazionali.
Il mondo del Forex è ovviamente quello più sollecitato in tal senso, ma come accennato in precedenza anche esso deve fare i conti con le regole che governano il modo di fare affari dei paesi islamici, influenzato perlopiù dai precetti della loro religione. Tra i tanti, quello che probabilmente influisce in maniera più significativa è l’assenza di tassi di interesse, aspetto quest’ultimo che spesso disorienta l’investitore europeo o americano, soprattutto perché depotenzia le possibilità speculative legate agli scambi con paesi appartenenti a quell’area e soprattutto a quella confessione. Più nello specifico, il trader e l’investitore di fede musulmana non possono corrispondere né ricevere interessi, il che li pone in una posizione differente (di vantaggio o svantaggio, a seconda dei casi) rispetto a coloro che lavorano con istituti di credito che applicano dei tassi di interesse; cosa che avviene con tutte le realtà finanziarie del cosiddetto mondo occidentale (leggi: Nordamerica e Unione Europea), ma anche con altre superpotenze della finanza come la Cina, la Russia o il Giappone. Insomma, interagire con il titolare di un conto islamico Forex, o di qualsiasi altra tipologia, vuol dire tenere in considerazione variabili che abitualmente non è tenuto ad analizzare, e che inevitabilmente affliggono le dinamiche delle transazioni.
Per spiegare i motivi di questa inusuale peculiarità che informa il mondo degli affari di confessione musulmana, dovremmo addentrarci nei meandri dei precetti coranici, e non basterebbe un volume monografico per definirne tutte le implicazioni, le ragioni storiche, il substrato antropologico e culturale. In questa sede, è sufficiente sapere che nell’Islam il denaro è sempre rimasto relegato al ruolo di strumento d’uso: un mezzo e mai un fine, men che meno un oggetto di culto e di venerazione. Cosa che, in molti casi, avviene nella società capitalistica di stampo euro-americano, e in tutti gli ambienti finanziari che hanno utilizzato tale pattern per modellare il proprio.
L’abiura dei tassi di interessi da parte dei soggetti giuridici che rispondono ai precetti dell’Islam non è negoziabile: in nessun caso, un trader osservante verrà meno a tale principio. Pertanto, al fine di equiparare gli operatori musulmani agli altri, molte società che si occupano di trading hanno predisposto dei conti specifici (o, in alternativa, una opzione in seno al proprio conto attivabile in caso di necessità) in cui non viene applicato alcun tasso d’interesse. In questo modo, il principio del common ground, che ogni manuale di finanza indica come inviolabile nel mondo degli affari, viene automaticamente ripristinato e nessuno dei contraenti parte da una posizione di subordine.
Si tratta solamente di uno dei tanti risvolti tipici degli ambienti del trading, che ogni buon operatore è tenuto a conoscere, soprattutto se opera online e su scala mondiale. Certo, imparare a maneggiare determinati strumenti non è facile né immediato; ma questa difficoltà rappresenta anche la prova, forse definitiva, che il mondo del trading non è un luogo per avventurieri, né un posto dove si può improvvisare pensando di fare fortuna dal nulla e con poco sforzo.