La Divina commedia e San Francesco, conferenza ad Anacapri nella chiesa di Santa Sofia

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di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Nella Chiesa di Santa Sofia di Anacapri, presente anche il nuovo Parroco, Marino De Rose, la professoressa Marianna Esposito Vinzi, insegnante italiana alla Sorbona, ha tenuto qualche settimana fa una conferenza sulla presenza della figura di San Francesco nel poema dantesco “La Divina Commedia”. La conferenza ha suscitato curiosità ed interesse nei convenuti che hanno preso a ricordare gli antichi studi e l’argomento nei suoi dettagli. Il lavoro consegue alle ricerche condotte dalla studiosa presso l’Istituto di Studi Avanzati di Parigi, presso la Biblioteca di Studi Inter-Universitari della Sorbona e presso l’Istituto Cattolico di Parigi nonché attraverso le lezioni di lingua e cultura italiana e le conversazioni con i colleghi e con gli studenti della Dantesca di Parigi. Dante era certamente un uomo religioso ed i suoi scritti dimostrano la ricerca sul nesso misterioso tra l’esistenza umana e la volontà divina. E’ la ricerca della verità, la tensione verso il vero che stimola il poeta alla sua missione, a vantaggio dell’intera umanità. Dante conosceva bene la vita di San Francesco che era morto appena quarant’anni prima della sua nascita e se ne parlava a Firenze dove l’ordine francescano era già diffuso, grazie anche a San Bonaventura, che insegnava anche alla Sorbona, dove anche Dante era stato nel 1309, e veniva considerato, insieme a San Tommaso d’ Aquino (1225-1274) che pure amava San Francesco e lo elogiava. Erano gli anni, a metà del 200, in cui si esprimevano i predicatori più importanti: i Francescani, i Domenicani e gli Agostiniani, naturalmente con le loro differenze. Dalle ricerche compiute i ricercatori hanno dedotto che Dante abbia compiuto i suoi studi fin da bambino, prima nel convento francescano di Santa Croce a Firenze, e poi, giovanetto, presso la scuola domenicana di Santa Maria Novella, anche quando, venticinquenne, cercava conforto in un momento triste della sua vita: era morta Beatrice (1290) come apprendiamo anche dal “Convivio” e dalla “Vita Nova”. Importante è anche ricordare “Il Dolce Stil Novo” un movimento che ricorda ancora Beatrice che dopo la sua morte ritorna nel Paradiso quale “somma sapienza” e “primo amore” guidando Dante stesso verso Dio. Dopo le fastidiose lotte politiche a Firenze, a causa Dante dovette andare in esilio a Ravenna dove rimase fino alla sua morte, nel 1321. Egli visse con dolore “l’abbandono di ogni cosa diletta più caramente” come leggiamo nel Paradiso (canto XVII), ma rifiutò il ritorno a Firenze quando nel 1315 gli fu proposto, non volendo sottoscrivere ad una richiesta di perdono per colpe che non aveva commesso. Nella Divina Commedia San Francesco fa una breve apparizione anche nell’Inferno (Canto XXVII) quando compie un tentativo di salvare dalla dannazione Guido da Montefeltro, comandante spregiudicato che, scomunicato, si riconciliò poi con la Chiesa sotto Papa Celestino V e poi, divenuto Francescano, sembra si recluse nel convento di Assisi. E ci parla ancora di San Domenico che nel Paradiso, nel Canto XII,quando richiama i Francescani a perseguire la purezza del loro Santo fondatore, a ritornare a vedere Dio nella sua vera essenza e a lodarlo. San Domenico, nato in Spagna nel 1170, compì studi di letteratura, teologia, filosofia viaggiando molto, in Danimarca, in Francia, in Italia fondando il primo convento dei Monaci Predicatori Domenicani a Bologna dove morì pochi anni dopo, nel 1221. Egli era noto per “amare l’umiltà e la povertà al di sopra di tutte le cose”, come ci ricorda Dante nel XII Canto del Paradiso. Dante ci parla anche di San Benedetto nel Paradiso, nel Canto X X IV, come fondatore di uno degli ordini più antichi della Chiesa e a proposito della povertà anche da lui propugnata: ci viene ricordata la sua esclamazione “Oh! Ricchezza sconosciuta, oh! Bene feroce!” Ritornando a San Francesco Dante aggiunge che il Santo aveva rinunciato a tutto nel suo “farsi pusillo”, umile servo, per ricondurre gli uomini all’originaria forza del Vangelo, delle regole e dei voti. Dunque secondo Dante Francesco ha conquistato una posizione privilegiata, dopo San Giovanni Battista e la Vergine, come scrive nel canto XXXII del Paradiso. Ma Dante ricorda anche Sant’Agostino da lui molto studiato come ci ricorda nel canto X del Paradiso che nella sua opera “La città di Dio” spiega come la pace celeste, che è perfetta, viene da Dio, in opposizione alla pace della Terra, molto difficile, per cui il Santo richiama al loro compito i governanti affinché facciano il loro dovere e si adoperino per il bene comune. Ho fin qui riassunto brevemente ciò che la studiosa ci ha narrato e spiegato nella sua approfondita conferenza che ci è parsa un’accurata rivelazione dei contenuti danteschi e mi sembra necessario concludere con la studiosa ripetendo le sue parole quando scrive: “ La dimensione allegorica del poema dantesco investe tutti gli elementi della dimensione umana: la diritta via smarrita e la selva, il sonno, il ritrovarsi: Se la diritta via è quella della virtù morali e religiose che riporta l’uomo a Dio, lo smarrimento della via a causa del sonno sarà la scarsa vigilanza della ragione che porta a cedere alle tentazioni terrene fino a lasciarsi assorbire dalla vita viziosa.” Concludendo che “leggere “La Divina Commedia” significa confrontarsi con i grandi temi biblici: dalla imperscrutabilità dei piani di Dio, alla pervicacia del male che travolge l’umanità, al peccato d’orgoglio, la superbia, il più grande peccato, che trafigge il cuore dell’uomo”.