La conversazione dell’uomo con la natura richiede ideatori che evitino la pedanteria degli esperti. Questi diffondono ovunque i loro libri e le loro parole, creando un vortice di esegesi delle interpretazioni. Il brulicare dei commenti reciproci, degli alterchi e dell’eccessivo attaccamento alle forme travolge e soffoca l’ascoltatore. Diversamente, gli ideatori sono conversatori che entrano in territori cognitivi lontani dal loro – il naturalista Charles Darwin (1809-1882) ha cavalcato l’onda dell’economista Thomas Malthus (1766-1834) nell’elaborare la teoria dell’evoluzione – e collaborano per eliminare i rumori di fondo causati da idee che si scontrano tra loro. Agendo così, durante la conversazione vengono intercettati segnali che indicano la strada verso la soluzione dell’argomento in discussione. La trasmissione e l’espansione della conoscenza nel corso della conversazione si rafforzano a vicenda, portando a scoperte come la struttura della molecola del DNA che valse ai biologi Francis Crick (1916-2004) e James Watson il premio Nobel per la medicina nel 1962.
Il lavoratore risponde alle domande. Come diceva Keynes, l’ideatore fa domande per sfuggire alle vecchie idee “che si ramificano in ogni angolo della nostra mente”. Il primo accresce la competenza, approfittando dell’esperienza accumulata per innovare con il vincolo di mantenere le strutture esistenti. Legando un paio d’ali a quelle strutture, alcuni innovatori incrementali pensano di aver costruito un aeroplano, ha osservato ironicamente il professor Clayton Christensen, il noto autore de Il dilemma dell’innovatore. Temo di diventare uno stupido esperto quando due rivoluzioni gemelle, della conoscenza e della tecnologia, mettono a nudo il lavoratore che non sa come reagire alle sfide poste da quei gemelli. Sono gli ideatori che si reinventano ponendosi delle domande e scoprendo poi delle risposte originali che generano un lavoro che gli umani faranno meglio dell’algoritmo.