Grimaldi e il pericolo default: Armatori pronti a collaborare

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Quanto rischiano realmente le aziende campane che investono in Grecia con l’eventuale uscita di Atene dalla moneta unica? Esiste davvero un pericolo contagio per l’Italia? E’ giusto chiedere uno sforzo a i più ricchi aumentando, come vorrebbe il premier Alexis Tsipras, le tasse sui loro profitti? Manuel Grimaldi, presidente di Confitarma e imprenditore campano a capo dell’omonimo colosso armatoriale – quartier generale a Napoli e ramificazioni in 110 porti e 47 Paesi nel mondo, la più grande azienda del Centro Sud e fra i primi venti gruppi del pianeta – parla degli sviluppi della crisi alla vigilia del referendum con cui i greci dovranno decidere se accettare o meno le proposte di riforma avanzate da Bce, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale.

Manuel GrimaldiÈ preoccupato per gli investimenti del suo gruppo in Grecia?

No. Sono molto tranquillo perché ritengo che nonostante i problemi degli ultimi tempi le nostre attività siano immuni da qualsiasi conseguenza negativa.

La Minoan, compagnia greca di vostra proprietà, rischia qualcosa?

Lo escludo. Dico di più: Minoan è una compagnia in grande salute, con i conti in ordine e una condizione di costante crescita, come dimostrano i recenti dati di bilancio. Devono preoccuparsi quelle aziende che, al di là della crisi, hanno una gestione in perdita.

Dal suo osservatorio privilegiato che cosa pensa della crisi greca?

Credo che la Grecia debba continuare a far parte della moneta unica. Non solo per ragioni economiche ma per motivi di carattere culturale e storico.

Vale a dire?

Non dimentichiamo che la Grecia è sia la culla del libero pensiero che della democrazia. Il modello di governo a partecipazione popolare che si vuole promuovere nel mondo e che caratterizza la zona euro nasce proprio in terra ellenica. E questo aspetto non possiamo sottovalutarlo. E’ inimmaginabile, considerati tali presupposti, pensare che questo Paese non faccia più parte della zona euro. Purtroppo il ragionamento delle istituzioni europee è di natura più squisitamente contabile.

Un’interpretazione sbagliata?

Per come la vedo io nella malagestione di questa vicenda ci sono gravi responsabilità da parte della politica. E non mi riferisco solo al Governo greco. Gli errori li stanno commettendo tutti i rappresentanti delle istituzioni coinvolte.

Secondo lei perché?

Credo sia in atto una grande speculazione. Il problema viene ingigantito ad arte, tanto più che l’incidenza del debito greco sul sistema economico europeo è molto ridotta. Di conseguenza chi parla di rischio contagio o di altri risvolti catastrofici esagera e lo fa evidentemente per un motivo.

Come se ne esce?

Andando al nocciolo della questione. Il debito della Grecia, nella sua consistenza, è pienamente gestibile. Il problema è rappresentato dagli interessi, che gravano come un macigno sull’economia e impediscono al Paese di crescere. Ma, dico io, se il denaro oggi costa zero, come è del tutto evidente in seguito alle misure adottate dalla Bce, è possibile realizzare un piano di gestione degli interessi sul debito e di riduzione del passivo senza eccessivi sforzi.

Perché non si fa allora?

Qui stanno le colpe della politica. L’accordo, se c’è volontà, si trova senza problemi. Invece qui siamo al cospetto di una speculazione di basso profilo a cui la politica europea presta il fianco. Devo aggiungere che, tra l’altro, un accordo a questi livelli non si può certo chiudere per una scadenza temporale di due o tre mesi ma deve avere un orizzonte molto più ampio.

E il ruolo del Governo greco?

Non c’è dubbio sul fatto che la Grecia debba fare i cosiddetti “compiti a casa”. Un piano di riduzione del debito non può prescindere da precise garanzie che le istituzioni elleniche devono offrire all’Unione Europea per restare nella moneta unica. Però insisto nel dire che in questa particolare fase storica, con la possibilità di ottenere risorse finanziarie in modalità agevolata, è determinante venirsi incontro e risolvere il problema del debito pubblico greco una volta per tutte.

Il premier Tsipras chiede uno sforzo a voi ricchi. Che ne pensa di un possibile aumento delle tasse sui vostri profitti?

Se serve a risolvere la situazione noi siamo pronti a dare il nostro contributo. Le dico di più: in Grecia di sacrifici ne sono già stati fatti tanti, sia con tagli alle pensioni e agli stipendi pubblici che con un aumento consistente delle imposte.

Ed è pensabile chiedere altri sacrifici alla popolazione?

Io cercherei di vendere gli asset improduttivi. Il mercato, in questo caso, può fornire un aiuto acquistando proprietà pubbliche che allo Stato conviene dismettere.

Dalla Grecia all’Italia. Cosa cambia?

Poco. Anche in Italia i sacrifici sono stati consistenti. Penso al raddoppio delle tasse sulle rendite degli immobili. Piuttosto dovremmo chiederci come mai con il denaro che costa poco e il prezzo del petrolio ai minimi storici, quindi con condizioni ideali per avviare una fase di ripresa economica, si continui a crescere poco o nulla. La risposta a questo dilemma dovrebbe arrivare dalla politica.