Un problema? No un mistero. Il Papa, gli scienziati e la crisi del pianeta Terra

95

Quando si stava per mettere piede sulla superficie lunare, il che avvenne il 21 luglio 1969 con Neil Amstrong e Edwin Aldrin, che vi si trattennero per circa ventidue ore, molti ritenevano che si stesse ormai per abbandonare la terra per altri pianeti, così come, nel Cinquecento, si era incominciato ad abbandonar l’Europa per le Americhe. E che, di conseguenza, in previsione di nuovi beni, si potessero consumare con disinvoltura quelli che si avevano. Ma l’eventuale emigrazione verso altri pianeti è stata rinviata a chi sa quando, mentre la terra è stata impoverita di beni e richiede una cura, come non mai nella storia dell’umanità. Alla drammatica situazione della terra, casa di tutti gli uomini, alle cause che l’hanno determinata, agli orientamenti che potrebbero migliorarla è dedicata l’enciclica “Laudato si”’ di Papa Francesco. Sintetizza limpidamente quel che pensatori e scienziati di ogni parte del mondo hanno scritto in questi ultimi decenni, anche quando non consideravano la terra, gli uomini e l’universo come opera di Dio, come invece li considera l’enciclica. Tra l’altro dice che ritenendo d’esserne proprietari e dominatori, attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura ai fini di un immediato uso e consumo, gli uomini rischiano di distruggerla e di essere a loro volta vittime di questa degradazione. È ben visibile un degrado della natura, che però è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana. Quella attuale vuole un intensificarsi sempre più dei cambiamenti di vita e di lavoro, in pieno contrasto con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. È vero che si avverte una crescente sensibilità per l’ambiente e la cura della natura, ma, purtroppo, “la tecnologia che, legata alla finanza, pretende d’essere l’unica soluzione del problema, di fatto, non essendo in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, finisce con il risolvere un problema creandone altri”. Il depredare le risorse della terra, badando unicamente a risultati immediati, la sta rendendo meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre ci si illude di sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi. Il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorte. Una smisurata e disordinata crescita di molte città sta portando a “vivere sempre più sommersi dal cemento, asfalto, vetro e metalli, privati dal contatto fisico con la natura”. Quando le dinamiche dei media e del mondo digitale diventano onnipresenti, “impediscono lo sviluppo d’una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità”. L’osservazione sincera della realtà “ci rivela che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune”. Ma “la speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una vita d’uscita, che possiamo sempre cambiare rotta”. Per questo cambiamento è necessario passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che “significa imparare a dare e non semplicemente a rinunciare”. Ed è necessario che nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza sia trascurata, “nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio”. Ed anche che si ritenga che “ il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere”; è un mistero grandioso da contemplare nella letizia e nella gioia.