Sud, la crisi del settimo anno è di crescita

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Fuori dal mercato un quarto delle Pmi attive nel 2007. Ma nel 2015 fatturato in salita: +1,2%

Più di sette anni di crisi hanno messo a dura prova il tessuto produttivo meridionale, avviando peròun processo di ristrutturazione che oggi rende il sistema delle Pmi pronto a ripartire. La fotografia scattata sulle 27 mila societàdi capitale meridionali che rientrano nei requisiti europei di Pmi (10-250 addetti e fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro) mostra con chiarezza i segni della crisi. Oltre un quarto delle 29mila attive nel 2007 è uscito dal mercato: un quarto delle 20mila imprese rimaste ha dovuto ridurre la propria taglia dimensionale, scendendo a microimpresa. La crisi, oltre a innalzare i tassi di mortalità delle Pmi meridionali, si èfatta sentire sulla natalità: fino al 2012 èinfatti diminuito il numero di nuove imprese, si è fortemente ridotta la quota di newco in grado di stare sul mercato – solo il 45 per cento delle nuove nate al Sud è ancora sul mercato a tre anni dalla nascita – e di quelle che nel giro di tre anni crescono fino a diventare una Pmi. L’uscita in massa dal mercato delle Pmi è stata accompagnata da conseguenze pesanti sui bilanci delle società sopravvissute alla crisi. Nel complesso, tra il 2007 e il 2013, i margini lordi delle imprese meridionali si sono ridotti del 38,6 per cento, ben 7 punti in piùdella media nazionale: le imprese hanno reagito investendo capitale proprio in azienda, ma la redditività di questo capitale ha continuato lentamente a ridursi, toccando nel 2013 il livello più basso proprio al Sud: il ROE ante- imposte èstato pari solo al 2,1 per cento, oltre 5 punti in meno del 2007. Gli oneri finanziari, a loro volta, sono calati, ma non abbastanza da compensare il calo dei margini. Nonostante questi dati sono oggi numerosi i segnali di una possibile inversione di tendenza. Grazie all’introduzione delle Srl semplificate, la natalitàdelle imprese meridionali, negli ultimi due anni, èsuperiore a quella pre-crisi: nel 2014 sono nate, infatti, al Sud 29mila delle 83mila nuove imprese in Italia; fallimenti e liquidazioni volontarie frenano, mentre le abitudini di pagamento tornano verso una condizione di maggiore normalità, riducendo lo stock di fatture non pagate (-10 per cento tra il 2013 e 2014) e i tempi medi di pagamento. Soprattutto, crescono le imprese meridionali solvibili, e diminuiscono quelle piùa rischio: la crisi sembrerebbe dunque avere svolto un’azione di selezione, provocando l’uscita dal mercato di chi aveva un profilo economico e finanziario poco equilibrato giàprima della crisi stessa. Uno dei motivi di vulnerabilitàresta l’elevata dipendenza dalle banche per ottenere liquidità. L’ampliamento del ventaglio delle modalitàdi finanziamento diviene, perciò, sempre piùurgente. Con l’uscita dalla crisi, infatti, cresce la polarizzazione dei comportamenti: al Sud piùche nel resto del Paese crescono sia le aziende che vedono migliorare il proprio merito di credito, sia quelle che lo vedono peggiorare. Èuna conferma del fatto che ci sono imprese cresciute, anche durante la crisi, a ritmi sostenuti. Queste imprese, che il rapporto definisce gazzelle possono ora trainare la ripresa del Sud, a patto di essere affiancate dalle zebre che hanno avuti minori aumenti di fatturato e che diminuiscano i gamberi, ossia le imprese che finora lo hanno visto ridurre. A questa ampia polarizzazione contribuisce la significativa varianza dei risultati tra le singole regioni: da Basilicata, Campania e Abruzzo vengono i segnali di una maggiore vitalità, dalla Puglia i segnali più contrastanti – con elementi di vitalitàe di fragilitàche convivono – mentre in Calabria, Sardegna e Sicilia si registrano le piùgrandi difficoltà. Questi andamenti contribuiscono a disegnare scenari timidamente positivi che lasciano ben sperare su un consolidamento della ripresa anche al Sud. Secondo Confindustria e Cerved, sia pure con ritmi piùbassi della media nazionale, le Pmi meridionali dovrebbero veder crescere, nel 2015 sia il proprio fatturato (più 1,2 per cento) sia il proprio valore aggiunto (più 2,1 per cento). Analogo miglioramento dovrebbero vedere i margini (Mol più 4,3 per cento) e la redditività del capitale investito (Roe più 5 per cento). Una tendenza al miglioramento dei principali indicatori economici, che dovrebbe continuare anche nel 2016. Più contenuto è il miglioramento previsto dei debiti finanziari rispetto al capitale netto: segno che la vera partita della crescita per le Pmi meridionali si gioca proprio sul versante finanziario. L’irrobustimento del tessuto imprenditoriale, la ripresa degli investimenti da parte delle imprese, singole e in rete; il sostegno alle imprese piùinnovative; il calo degli oneri finanziari e il miglioramento del profilo di rischio; la maggiore presenza sui mercati internazionali: sono queste le leve da utilizzare per infoltire, anche al Sud, il gruppo delle imprese a forte crescita e portare tutto il Mezzogiorno sui binari di una crescita duratura. Un utilizzo mirato e concentrato degli strumenti finanziari e fiscali, comunitari e nazionali – a partire dai Fondi strutturali e da quelli nazionali per la Coesione – puòfornire buona parte del carburante necessario, a patto di usarlo tutto, presto e bene.