Una minoranza bulgara alla guida del Paese

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“Carpe Diem“, “cogli l’attimo”, anzi, meglio “cogli il giorno”, sentenziava Orazio e, qualche secolo dopo, Lorenzo de Medici, detto “il Magnifico”, aggiungeva, “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”. Due modi assolutamente diversi per affermare la stessa cosa: ieri è passato, ciò che succederà domani nessuno è in grado di dirlo, allora tanto vale gustarsi il momento di gloria, poi “che sarà, sarà”. Sicché, in un Paese, come l’Italia, che sembra, ormai, avere come unico obiettivo il “Cupio dissolvi”, ovvero la propria autodistruzione, entrambe possono essere prese a modello di comportamento e di analisi di una realtà, incapace di guardare oltre il proprio naso. Nessuna meraviglia, quindi, se il premier, Matteo Renzi, ed il Pd di osservanza “giglio fiorita”, celebra come l’evento del secolo il 5 a 2, delle ultime regionali, dimenticando che: il rapporto complessivo fra le regioni dove si è votato domenica scorsa era lo stesso anche prima del voto, con l’unica differenza che la Campania era governata dal centrodestra e la Liguria dal centrosinistra, hanno pertanto soltanto cambiato bandiera; che il Pd ha perso oltre 2 mln di voti, rispetto alle europee del 2014 e che la candidatura di due dei neo governatori: Emiliano e De Luca, ha dovuto subirla, e di malavoglia, poiché nessuno dei due è di fede renziana, anzi, sono soci della “vecchia ditta” ed il secondo lo costringerà a compiere un sopruso e ad una modifica “ad personam” della legge Severino, per consentirgli di governare. Neanche può destare stupore il fatto che Fi, avendo temuto il peggio, festeggi lo scampato pericolo e sottolinei che la Liguria può rappresentare il primo passo verso il ricompattamento del centrodestra, sorvolando sulla ulteriore perdita dei quasi 700mila consensi, sempre rispetto al 2014. Nemmeno si può dare torto a Beppe Grillo che festeggia, ringraziando in tutte le lingue, l’ingresso in massa di rappresentanti del M5s, nei consigli regionali interessati, tacendo sulla fuga di quasi 900mila elettori che nel 2014 avevano scelto di rifugiarsi alla sua ombra. E se cantano vittoria loro, a giusta ragione, può ben farlo, annunciando “urbi et orbi” di essere “la sola alternativa al premier” Matteo Salvini, visto che la Lega è l’unico partito ad aver incrementato di oltre 161mila unità il gruzzoletto di voti a sua disposizione nel 2014. In verità, l’unico partito che avrebbe ragione di festeggiare è quello che non c’è, l’invisibile partito degli astensionisti che è cresciuto di un altro 9%, attestandosi al 48%. Il che non può che suscitare l’ennesima riflessione su questa crescita ed una considerazione sulla qualità della nostra democrazia. La prima: l’astensionismo cresce, si, per la disattenzione e la disaffezione della gente, verso politica e partiti, che sembrano sempre più distanti, lontani, disinteressati ai problemi reali del Paese ed incapaci di risolverli, ma anche per manifestare il proprio dissenso verso una proposta politica senza prospettive. La seconda: per avere la percentuale di consenso reale dei partiti, è necessario definire l’incidenza del voto in rapporto a quel 52% di elettori che hanno effettivamente votato. Sicché, il 28,3 del Pd si riduce al 14,7 e questo, naturalmente vale per tutti le forze politiche. Se ne ricava, quindi, che Renzi governa il Paese e lo sta mandando a rotoli grazie al voto favorevole di 1,4 italiani – compresa quella sinistra che vota il Pd per convenienza e non per convinzione, ma non è d’accordo con le sue scelte – su 10. Percentuale che scende ulteriormente se si considerano anche le schede nulle e quelle bianche. Un Paese, quindi, vittima di una “minoranza bulgara” che, con scelte impopolari ed arroganti, lo sta impoverendo e riducendo in brache di tela. Per carità, so bene che la colpa è di chi non va a votare. Loro, però, fingono di non accorgersene, per non dover cambiare verso. Gli va bene, così. E la chiamano democrazia.