La Regione inesistente di Vincenzo De Luca

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Quaranta anni di “mestieraccio”, mi hanno dato l’opportunità di seguire, insieme alle questioni economiche, anche le vicende politiche di questo Paese. Posso, quindi, affermare senza tema di smentita, che quella appena conclusasi, è stata una campagna elettorale più unica che rara. Si voterà per il rinnovo dei Consigli Regionali e dei governatori di sette regioni: Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Umbria e Veneto, nonché di ben 1.062 consigli comunali, tra cui 18 capoluoghi di provincia. Ben 19 milioni, ovvero il 37,4 per cento, degli italiani dovrebbe (il condizionale è d’obbligo, visto che il rischio astensionismo, mai come questa volta, è stato così elevato) recarsi alle urne per esprimere le proprie preferenze. Un appuntamento, quindi, estremamente importante. Eppure, se n’è parlato poco ed ancora meno si è parlato di quello che riguarda direttamente gli elettori interessati. Una campagna elettorale che è sembrata accendersi soltanto dopo la sentenza della Cassazione – per la quale, se eletto, l’ex sindaco di Salerno non potrà governare e neanche ricorrere al Tar, per la sospensione della sentenza che, sulla base della Severino, lo ha dichiarato ineleggibile – della quale De Luca, sembra non preoccuparsi per niente, “perché – a suo dire – “sarà Renzi a risolvere il problema” e lui, dopo l’elezione nominerà un vice, in attesa che il premier lo reintegri nell’incarico. Personalmente, ho qualche dubbio sulla fattibilità della cosa, ma di certo se ciò accadesse, significherebbe la legittimazione del “diritto della forza” ai danni della “forza del diritto”. Alla faccia della democrazia e del rispetto della legge. Ma si è infiammata anche, per la questione dei cosiddetti “impresentabili”, prima candidati e poi “scomunicati”, con la richiesta agli elettori di sciogliere il nodo della loro presenza in lista non votandoli. Ancora meno si è parlato di quello che riguarda direttamente gli elettori interessati e di come risolverne i problemi della sopravvivenza quotidiana. A dimostrazione di quanta ragione avesse l’economista americano, Anthony Downs, nel sostenere che “i partiti formulano delle politiche allo scopo di vincere le elezioni, piuttosto che vincere le elezioni allo scopo di formulare dei programmi”. Fingendo di non rendersi conto di trasformarsi, così, essi stessi, nei primi denigratori di quella “casta”, da cui l’opinione pubblica rifugge e di cui loro stessi sono espressione. Il che, unito alle questioni dei vitalizi d’oro agli ex parlamentari, al malcontento ed all’irritazione dei professori, per il ddl scuola; dei lavoratori, per la riforma del lavoro; dei pensionati, per i continui attentati alle loro pensioni già da fame; impiegati pubblici, partite Iva, professionisti ed imprenditori, generati da normative che hanno appesantito la pressione fiscale e “taglieggiato” reddito e potere d’acquisto di stipendi e pensioni degli italiani, senza, per altro, sciogliere alcuno dei nodi che impediscono al Paese di uscire dalla crisi, rischia di rappresentare un assist a favore del partito degli astensionisti, la cui crescita sarebbe una cura ancora peggiore del male che affligge il Belpaese. E soprattutto, renderebbe inutili i sacrifici fin qui sostenuti negli ultimi cinque anni da Regioni, come la Campania ed i suoi cittadini, per: rimettere in sesto i conti, devastati da un decennio di amministrazioni, a dir poco, allegre; quadruplicare la spesa dei fondi europei; azzerare la montagna di debiti, ricevuta in eredità, nella sanità – riportandone in attivo il bilancio, creando mille nuovi posti di lavoro ed altrettanti posti letto in più – e nei trasporti locali; rilanciare gli investimenti, scavalcare Sicilia e Puglia nella graduatoria nazionale del Pil pro capite; recuperare immagine e credibilità, ricominciare a guardare avanti e mettere mano alla costruzione del futuro. Ma il candidato De Luca. di tutto questo ha preferito non accorgersi ed ha continuato a proporre l’immagine di una Campania che, ormai, non c’è più.