Made in Campania, il ritorno dei distretti

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Ricerca di Srm sulle prospettive del settore: produrre nei Paesi emergenti non conviene più

Carlo Palmieri2Quanto conta il Mezzogiorno in un settore strategico per il made in Italy come quello della moda? E come ha reagito al terremoto causato dall’affacciarsi sui nostri mercati della concorrenza cinese, mentre sull’Europa si abbatteva una crisi economica e sociale senza precedenti? A queste domande cerca di dar risposta una ricerca di Srm dal titolo “Un Sud che innova e produce – La filiera abbigliameno moda” (realizzata nell’ambito degli studi sui settori manifatturieri di punta del Mezzogiorno) presentata, giovedì 21 nella sede del Banco di Napoli in via Toledo, dal direttore generale Massimo Deandreis, dal responsabile Reparto Imprese e Terzo Settore, Olimpia Ferrara, e da Alessandra Benedini di Prometeia) Ne vien fuori innanzitutto che nel Mezzogiorno le imprese attive nella filiera dell’abbigliamento sono tuttora quasi un quarto di tutte le imprese della filiera nazionale; e che la Campania – con circa 10 mila imprese (l’8% della quota nazionale) – occupa, in questa parte d’Italia, un indubbio primato legato a una tradizione di distretti diffusi in una vasta area vesuviana e a nord di Napoli ( come San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Nola, Grumo Nevano, Palma Campania). Le imprese del settore che hanno costituito una rete d’imprese nel Sud sono oggi sono 67 pari al 17 per cento del dato nazionale. I Distretti invece sono 9 su 42. Quello di San Giuseppe Vesuviano si configura come il più grande del Mezzogiorno. E se il totale delle aziende del Sud (circa 20 mila) realizza un fatturato annuo pari a 6,6 miliardi di euro, e un export di 2,2 miliardi che incide per il 5,9 per cento sul totale nazionale delle esportazioni del manifatturiero, le imprese della sola Campania realizzano un valore aggiunto sul totale manifatturiero regionale del 10,1 per cento: un dato superiore a quello nazionale (9,7 per cento) e a quello medio del Mezzogiorno (8,3 per cento). Più in particolare, nel 2014 (dati Banca d’Italia) l’export delle imprese campane della moda corrisponde all’8,8 per cento di quello nazionale nell’abbigliamento, all’8,1 nelle calzature, al 5,5 negli articoli in pelle . Anche su altri indicatori, come fatturato (10,5 per cento), export (12,4 per cento) e occupati (16,2 per cento) i valori della Campania in rapporto al settore manifatturiero nel suo insieme sono superiori a quelli medi nazionali e del Mezzogiorno. I numeri fotografati da Srm, però, ci dicono poco sull’evoluzione del comparto nell’ultimo decennio: un decennio caratterizzato da una crisi che aveva colpito proprio nel cuore della moda napoletana tra San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Nola, Grumo Nevano: un cuore che negli anni Ottanta e Novanta aveva pompato sangue nelle arterie del sistema moda nazionale, contribuendo in maniera rilevante (sia pure poco apparente) alla sua affermazione nel mondo. Basti dire che, secondo il Sole 24 Ore, in Campania, “tra il 2007 e il 2012 ha chiuso i battenti piu!della meta!delle aziende, soppiantate dalla crisi e dallaconcorrenza dei cinesi localizzati abusivamente inItalia e di quelli rimasti in patria a produrre per pochi centesimi. Le imprese di maggiori dimensioni sono sopravvissute se hanno creato un marchio, fatto investimenti e spinto sull’internazionalizzazione: Harmont& Blaine, Kocca, PiazzaItalia, Mila Scho”n, Manila Grace e altri, per citare solo pochi brand”. Ma, a giudicare dai segnali intercettati dalla ricerca Srm, dopo gli anni bui comincia a vedersi un po’ di luce. “Sono proprio le imprese che hanno fatto un salto dimensionale importante – fa notare ancora il Sole – che oggi riportano in Italia la produzione e la affidano ai terzisti locali”. ma a che cosa si deve questa inversione di tendenza? E a far sì che le imprese riportino in Italia le produzione che erano state trasferite nei Paesi emergenti dell’Est asiatico? Il calo dell’euro sul dollaro, naturalmente. “Ma anche – a sentire il Sole 24 Ore – una migliore qualita ! delle lavorazioni oggi richiesta anche per produzioni di fascia bassa o media. Soprattutto torna a essere importante la rapidità nel produrre e consegnare, cambiando spesso modelli, senza fare magazzino”. Alla tavola rotonda moderata dal direttore generale del Banco di Napoli, Bruno Bossina, hanno partecipato (oltre ai presidenti del Banco e di Srm, Maurizio Barracco e Paolo Scudieri) Carlo Palmieri, presidente della sezione “Sistema Moda dell’Unione Industriali di Napoli, Gianfranco Di Natale, direttore generale SMI-Sistema Moda Italia, Pascale Iannetta, direttore finanziario Kiton, Mario Resca, presidente Confimprese, Antonio Bernardo, presidente Piazza Italia, Monica Gemelli, amministratore delegato della start-up innovativa Bluesquare.