Anna Rosati: la fotografia come codice visivo

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di Azzurra Immediato

L’Occhio di Leone, ‘osservatorio sull’arte’, apre la sua indagine con una intervista ad una fotografa e graphic designer bolognese, Anna Rosati. Ho scelto di incontrarla nella sua città che, da quasi vent’anni, è anche la mia: Bologna. Il lavoro ci ha portate molto spesso ad esser parte dello stesso viaggio nell’universo della fotografia e dell’arte tanto da non rendercene quasi conto. Ho deciso, tuttavia, di fermarmi un attimo per ragionare con Anna Rosati, su cosa sia per lei la fotografia, intesa come un vero ‘codice visivo’, caleidoscopio attraverso cui osservare il reale e, eventualmente, rimodularlo. Mi ha parlato della sua affezione per il Sud Italia, il Sannio in particolare, luogo con cui ha stretto un legame professionale molto intenso e duraturo e che ha segnato diverse tappe del nostro viaggio.

La tarriera nella fotografia affonda le radici nel reportage; ce ne racconti.
Sono stata sempre interessata alle arti visive, i miei studi di graphic design e, in seguito, di cinema mi hanno portata a sviluppare e a perfezionare, in ogni lavoro che produco, senso estetico e composizione. Ho sempre associato, infatti, l’attività di design alla fotografia e all’editoria; dal ‘77 ho pubblicato su riviste specializzate, collaborando per alcuni anni con Fulvio Roiter, nell’ambito del reportage. In seguito ho rivolto il mio interesse verso tematiche sociali, curando alcuni dei progetti di una Onlus emiliana in Kenya, Tanzania, Marocco, Guatemala. La parte artistica e concettuale, del resto, è stata costantemente presente anche nei miei lavori a sfondo sociale, nei quali ho sempre coordinato tutti i passaggi successivi allo scatto: dalla realizzazione grafica, alla scelta del supporto, fino all’allestimento e all’impaginazione del catalogo. Ritengo infatti che un progetto fotografico possa perdere parte del suo valore comunicativo se non viene curato adeguatamente in ogni fase.

Il tuo rapporto con la fotografia ha subìto un radicale mutamento, virando dal linguaggio reportagista ad un idioma profondamente concettuale; quale è stato il percorso che ha portato tale cambiamento?
In realtà, come accennavo prima, il mio sguardo è sempre stato concettuale, proprio perché il graphic designer ha sempre utilizzato il medium fotografico come linguaggio. Ogni fotografia è un ready – made. Credo che questo sia il punto di partenza che definisce ogni mia scelta e, conseguentemente, ogni azione successiva.

Negli ultimi anni il tuo nuovo lavoro è stato conosciuto ed apprezzato nel Sud Italia, grazie a quattro mostre e diversi progetti. Come è nato questo rapporto e come si è, poi, sviluppato?
Tutto ha avuto inizio nel 2016, quando ti ho sottoposto un mio progetto, ‘Km 0 Bologna/Londra’ – a cui stavo lavorando da tempo -, a te, curatrice, di formazione bolognese e di origini beneventane; l’idea, nella quale avevo coinvolto anche un’altra collega fotografa residente a Londra, Vittoria Amati, era stata realizzata nell’intenzione di proporre una doppia visione in parallelo dei due rispettivi quartieri di residenza, Porto a Bologna e Battersea, a Londra: tutto ciò utilizzando esclusivamente la fotocamera dei nostri smartphones, strumenti mobile per eccellenza. Ricordo che quando sei stata colpita dall’idea, ne abbiamo ampliato la portata antropologica proponendo una mostra in cui il Km 0 Bologna/Londra potesse incontrare i luoghi della tua città natale, Benevento. Arricchito da questo nuovo contributo ‘Km 0’ offriva quindi un terzo punto di vista, basato sull’inesauribile ossimoro ottico / visivo; visione volutamente trasversale, infatti, la tua, che da curatrice ti facevi anche osservatrice acuta della tua città.
È a questo punto che ho avuto il piacere di incontrare Ferdinando Creta, direttore di uno spazio espositivo bellissimo, Arcos – Museo d’Arte Contemporanea Sannio, il quale, compresa l’importanza di ospitare la prima mostra istituzionale di fotografia scattata solo tramite smartphone, ci ha permesso di esporre in una cornice prestigiosa e davvero unica. La lungimiranza delle sue vedute e la assoluta dedizione al progetto, che ha abbracciato sin dal primo momento con grande entusiasmo, hanno reso possibile una mostra per me particolarmente importante e suggestiva, tra l’altro prorogata nel tempo per il grande afflusso di pubblico che in quei giorni la visitava

Negli anni successivi ho avuto modo di conoscere ed apprezzare il Sannio, terra che non conoscevo a fondo e della quale, tuttavia, ho scoperto inesauribili risorse sia nel campo della degustazione di prodotti tipici, sia nel campo di una creatività straordinaria che si esprime a livelli artistici di particolare rilievo.

L’incontro con Giuseppe Leone, in questo senso, artista poliedrico e accademico di fama internazionale, si è rivelato per me vera fonte di ispirazione per alcuni dei miei lavori più recenti, che Leone ha voluto portare ed esporre a ‘VinArte’, rassegna artistica da lui ideata e curata nella cornice di un antico borgo, Guardia Sanframondi (Bn); nella kermesse la sezione di Fotografia era affidata alla elegante curatela della Immediato.
Sorta di incontro tra arte e territorio, tra linguaggi differenti, scultura, pittura, fotografia, ogni anno un tema particolare ne contraddistingue l’evento che nel tempo è diventato conosciutissimo ed apprezzato, e questo permette di creare un sottile fil rouge tra le varie espressioni artistiche.
Nel 2018 la tematica scelta fu ‘Resilienza attiva’ e partecipai con un progetto fotografico che si insinuava nelle corde della resilienza attraverso la riflessione sulla nostra pelle, vista come una sorta di barriera, ‘margine estremo al nostro vivere nel mondo’.

Quest’anno il tema di VinArte è stato declinato come ‘Il canto della durata’ e, ancora una volta, vi ho partecipato portando un lavoro fotografico a cui tengo particolarmente ‘Tempus spiritus’. Pensando alla parola ‘canto’ accostata alla ‘durata’ ho creato una narrazione in cui venisse rappresentato il Tempo dello Spirito, sullo sfondo della Certosa Monumentale di Bologna; lì dove il corpo è trasmutato in altro eppure ancora si esprime tramite un melos (canto, appunto) inteso come litania, ponte tangibile verso l’inesplorato, il non detto, l’altrove.

Ancora nel 2019, in agosto, ho infine avuto il piacere di esporre il mio ultimo lavoro fotografico, ‘Odissea dell’Abbandono’, nell’Auditorium di San Bernardino a Morcone (Bn), nell’ambito di Imago Murgantia, rassegna curata da Massimo Mattioli e da te Azzurra Immediato, progetto curatoriale, che, immaginando un suggestivo incontro tra arte contemporanea e territorio, ha presentato le opere di cinque artisti con percorsi di ricerca differenti – scultura, video e fotografia – e che tuttavia ponessero l’attenzione sul concetto di ‘Emergenze Artistiche’, in particolare come immaginato da uno dei due curatori, Massimo Mattioli, un visionario al servizio dell’arte che ha saputo cogliere il messaggio veicolato attraverso il mio personale linguaggio e con cui abbiamo approfondito il concetto simbolico alla base della ‘Odissea’ come emergenza umana.
Il mio lavoro, infatti, che è narrazione di un universo metaforico, simbolicamente inusitato, sospeso, si sofferma sulla solitudine e lo straniamento dell’Ulisse contemporaneo, perduto nei propri percorsi, in cui emergono plastica e oggetti abbandonati – emblema d’illusorietà – che disvelano un esistenzialismo effimero a cui la nostra società pare non riesca ancora a rinunciare.

Quali sono i tuoi progetti futuri e, tra questi, ve ne sono di legati al Sud del Bel Paese?
La fotografia è piena di significati e sempre alla ricerca di tecniche altamente sofisticate, ma io credo che, oggi più che mai, bisogna avere prima di tutto qualcosa da trasmettere agli altri. Le immagini ormai sono sempre più perfette e, a mio parere, rischiano di diventare anche sempre più vuote di contenuto. A me interessa, attraverso l’immagine, andare a fondo, mostrare di più, cercare significati, mostrare anche la bellezza dell’imperfezione, osservare attentamente le cose che sono sempre sotto ai nostri occhi. La fotografia può essere un collegamento con il nostro pensiero e con la nostra anima. Sono interessata a progetti che possano dare, attraverso l’arte, ancora spiragli di riflessione. Mi auguro che questo incontro con Sannio prosegua e che magari, ancora una volta, possa ospitare i progetti a cui sto lavorando; è una terra luminosa e ricca di persone speciali, non si dimentica facilmente, resta impressa nel cuore.

Un fotografo, dunque, riesce a di-mostrare che l’obiettivo apre una nuova e diversa prospettiva, in uno scatto si racchiude una molteplicità di idee, visioni ed aspirazioni che non sempre, poi, emerge dall’immagine. Non tutti possono essere fotografi e non è il medium a fare l’arte, pur in un tempo di pressoché infinita ‘riproducibilità tecnica’, in un tempo che è bulimico di riconoscibilità attraverso l’immagine. Artisti come Anna Rosati hanno scelto di abbandonare un certo tipo di idioma fotografico per incedere, al contrario, in un itinerario estetico capace di dilatare il tempo e lo spazio secondo una percezione pareidolica tendente ad inaspettate destinazioni. In tale percorso, l’artista bolognese ha scelto di confrontarsi con realtà lontane dalla propria, generando un turbinio relazionale sempre più ampio, che ha mutato il concetto primario di immagine, di scatto e medium – dalla macchina fotografica reflex, dall’attrezzatura da studio, sino allo smartphone – per constatare quanto la conoscenza possa passare dalle infinite strade della fotografia.

Grazie ad Anna Rosati per questa piacevole chiacchierata, sperando di ritrovarla presto, protagonista di nuovi viaggi artistici nel Sud Italia. Ad maiora!

Anna Rosati
Nata a Bologna, dove vive e lavora, è visual artist, fotografa e graphic designer.
Laureata in cinema, DAMS – UNIBO, in seguito consegue sempre a Bologna due titoli Accademici di Alta Formazione, ‘Docente e carcere’ ed ‘Educazione estetica per la fruizione delle Arti e del Museo’.
Professionista dal 1979, collaboratrice per alcuni anni di Fulvio Roiter, si dedica a reportage in tutto il mondo, documentando successivamente progetti per Onlus presenti in vari Paesi, a cui faranno seguito pubblicazioni in riviste di eccellenza e mostre prestigiose in Italia e all’estero.
Negli anni seguenti sviluppa sempre più una ricerca attenta e appassionata, sia nei temi antropologici, sociali e concettuali, che nelle opportunità offerte dai nuovi dispositivi mobili.
Nel 2012 dà vita a ‘Ri-prendere, laboratori di arte e fotografia©’, condotto negli anni in sedi differenti, come il Carcere minorile “P. Siciliani” di Bologna e – nel 2016 – il Montecatone Rehabilitation Institute di Imola (Bo); quest’ultimo con edizione finale di un pregevole volume d’arte patrocinato dall’Università di Bologna e presentato ad ArteFiera 2018 (Bologna).
Nel 2017, la mostra ‘Km 0 Bologna/Londra’, inaugura le esposizioni di ARCOS – Museo di Arte Contemporanea Sannio a Benevento, una ricerca antropologica su due città, su due quartieri, realizzata interamente con smartphone, mentre ulteriori progetti sfociano in altrettante mostre personali, come ‘AUTOIMMOBILE Reloaded One’ e ‘Journey’ selezionata da ArteFiera 2018 per il circuito ART CITY Night
Nella sua attività di docente si sofferma sulla multidisciplinarietà; dall’iPhonography e mobile photo alla realizzazione di portfolios e progetti di grafica, dalla storia dell’arte al legame tra filosofia, psicologia e fotografia.
Fotoreporter AIRF [Associazione Italiana Reporters Fotografi], è tra le socie fondatrici di Donne Fotografe – Italian Women Photographers’ Association, fondata a Bologna nel 2018.
È presente nel volume ‘Le donne fotografe dalla nascita della fotografia ad oggi’, Ed. Pendragon, Bologna 2017.
Nel 2019 vince la Menzione d’Onore nel ‘14th Julia Margaret Cameron Award’s’ ed è finalista in altri importanti concorsi fotografici internazionali.

in foto Anna Rosati