Chirurgia, 15 anni di Scuola
D’Alessandro: Siamo con Vico

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Per Pitagora il mondo era stato tratto dal caos primi genio mediante il suono, ed era stato poi strutturato secondo i principi dei rapporti musicali, basati Per Pitagora il mondo era stato tratto dal caos primi genio mediante il suono, ed era stato poi strutturato secondo i principi dei rapporti musicali, basati sull’armonia. Infatti, se il numero è, come insegnano i pitagorici, l’archè di tutte le cose, il principio unificatore della realtà, attraverso la musica si rivela la natura più profonda dell’armonia nascosta tra i numeri. La quadruplice armonia pitagorica era stata teorizzata fin dall’inizio come caratterizzante ogni aspetto del reale, dalla musica (armonia fra arco e corda) all’essenza dell’uomo (armonia fra corpo e anima), dalla sfera politico-sociale (armonia fra cittadino e stato) alla struttura dell’universo (armonia fra le sfere e il cielo stellato). Questa convinzione che vi sia e vi debba essere armonia e unità tra tutte le cose si estende anche al sapere. Riflettendo sul metodo che possa rendere un’educazione veramente efficace, Giambattista Vico, nell’orazione inaugurale letta nell’Università di Napoli nel 1708 intitolata De nostri temporis studiorum ratione, ricordava che per i greci “un filosofo solo era una libera università: coltivando essi [i greci] la sola filosofia, di tutte le scienze e arti madre, nutrice, alunna, e di essa discutendo non tanto con l’altrui autorità quanto con gli stessi argomenti delle cose, comodamente ciascun filosofo dominava con la mente tutto il mondo umano e il divino, sicché da lui solo gli uditori apprendevano ciò che importava sapere nello Stato”. Pur riconoscendo che è un “vantaggio” avere “istituite e ordinate le università di ogni genere di discipline, ove ciascuno insegna quella materia in cui è competente”, Vico rinviene anche un pericolo, un “inconveniente” nella diversità e separatezza delle arti e delle scienze che prima erano comprese tutte “con unico spirito: oggi gli scolari si addottrinano condotti a casaccio da un aristotelico nella logica, da un epicureo nella fisica, da un cartesiano nella metafisica, imparano le teorie mediche da un galenico e la pratica da un chimico […]. E la loro istruzione è senza base e spesso superficiale tanto, che, pur dottissimi in singoli punti, non valgono tuttavia nella sintesi, fiore della sapienza”. Vico, convinto della necessità e dell’utilità di insegnare gli strumenti e le tecniche dei moderni (ad esempio, in medicina, la “spargirica”, ossia la chimica farmaceutica, anche nei suoi aspetti applicativi), perorava tuttavia il ritorno al metodo degli antichi: “Vorrei che i rettori delle università formassero di tutte le discipline un unico sistema che, adatto alla religione e allo stato, avesse così dottrina in tutto coerente”. È noto che la medicina napoletana, soprattutto attraverso l’operato di Domenico Cotugno, si contraddistingua per l’adozione del metodo proposto da Vico nella Scienza nuova, contro le derive cartesiane. Per la scuola medica napoletana la vera conoscenza non può derivare dal cogito, dalla speculazione interiore di un soggetto, ma, sulla scorta dell’insegnamento vichiano, dal fare: può condurre alla conoscenza, infatti, solo la continua verifica del reale, attraverso il percorso del fare, dunque attraverso l’osservazione, la catalogazione.