Anatocismo bancario, la voce della Cassazione

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di Valentino Vecchi*

La Corte di Cassazione, mediante la sentenza n.26769 emessa dalla prima sezione civile in data 21.10.2019, ha risolto un’annosa questione che si ripropone da circa un ventennio – per vero senza effettive ragioni – nei giudizi che vedono contrapposti i correntisti agli istituti di credito.
Atteso che, come oramai noto a chi opera in tale ambito, si è già da tempo definitivamente dichiarata illegittima la pratica anatocistica posta in essere dagli istituti di credito in assenza di reciprocità sino al 30 giugno 2000 (ex multis, Corte di Cassazione SS.UU., 21095/2004), si è sempre dibattuto sulla validità della norma transitoria disciplinata al comma 2 dell’art.7 della delibera CICR del 2000.
Ma andiamo per gradi a beneficio di chi è meno addentro alla materia.
In passato gli istituti di credito, nella tenuta dei rapporti di conto corrente, erano adusi liquidare gli interessi debitori e creditori con una differente periodicità: gli interessi debitori venivano addebitati in conto al termine di ciascun trimestre solare laddove, di contro, gli interessi creditori venivano riconosciuti al cliente unicamente alla fine dell’anno.
Atteso che la contabilizzazione in conto degli interessi genera un effetto anatocistico e rilevato che nel nostro ordinamento vige l’art.1283 c.c. che vieta l’anatocismo “in mancanza di usi contrari” – dove per “usi contrari” devono intendersi gli “usi normativi” – la Corte di Cassazione, con due epocali sentenze del 1999 (sentenze n.2374 del 16.03.1999 e n.3096 del 30.03.1999 – cosiddette “sentenze gemelle” – seguite dalla sentenza n.12507 dell’11.11.1999), dichiarò illegittima la pratica anatocistica sino ad allora adottata dalle banche.
Tenuto conto della portata, fortemente negativa per il ceto bancario, del nuovo arresto giurisprudenziale, il legislatore – mediante l’art.25, comma 2, del decreto legislativo n.342 del 4 agosto 1999 – modificò l’art.120 TUB (sino ad allora disciplinante unicamente la decorrenza delle valute) aggiungendovi il comma 2 che testualmente recitava: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attivita’ bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.
In pratica, il legislatore, prevedendo una sorta di deroga tacita all’art.1283 c.c., delegò il CICR a disciplinare la materia.
Inoltre, al fine di “regolarizzare” i rapporti bancari già esistenti, il legislatore, mediante il terzo comma del ridetto art.25 d.lgs. 342/1999, previde che “le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”.
Dopo circa sei mesi, il CICR, mediante la nota delibera del 9 febbraio 2000 (entrata in vigore il successivo 22 aprile), disciplinò la materia stabilendo – all’art.6 – che i nuovi contratti bancari potessero prevedere una clausola anatocistica con capitalizzazione infrannuale degli interessi nel rispetto di alcune specifiche condizioni (pariteticità nella periodicità di liquidazione degli interessi creditori e debitori, indicazione in contratto non solo del tasso di interesse nominale ma anche del saggio effettivo determinato tenendo conto degli effetti della capitalizzazione infrannuale, accettazione espressa della clausola anatocistica da parte del cliente).
Al fine di disciplinare anche i contratti preesistenti, il CICR, sulla scorta di quanto previsto dal comma terzo dell’art.25 del d.lgs. 342/1999, all’art.7 della ridetta delibera previde una norma transitoria secondo la quale i contratti stipulati anteriormente alla data in vigore della delibera dovessero essere adeguati alle disposizioni della stessa entro il 30.06.2000. Venne altresì previsto – al secondo comma dello stesso art.7 – che “qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000”.
Sia in dottrina che in giurisprudenza si è sempre dibattuto sulla portata di tale disposizione transitoria e, quindi, sulla stessa validità dell’adeguamento alla delibera CICR mediante la semplice pubblicazione in G.U. accompagnata dalla comunicazione personalizzata al correntista.
Le banche hanno sempre sostenuto la tesi secondo la quale la modifica andasse considerata sempre favorevole al correntista, atteso che si passava da un regime di capitalizzazione non paritetico favorevole alla banca (capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e annuale di quelli creditori) ad un regime paritetico (periodicità trimestrale sia per gli interessi creditori sia per quelli debitori).
La tesi sostenuta dai correntisti è stata sempre diametralmente opposta: in ragione della accertata illegittimità del regime adottato dalle banche sino al giugno 2000, una qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi deve considerarsi modifica sempre sfavorevole al correntista.
Su tale questione la giurisprudenza di merito ha talvolta accolto la tesi dei correntisti talaltra quella delle banche.
Il dibattito, invero, è apparso, ad avviso dello scrivente, finanche eccessivo. Va considerato, difatti, che la Corte Costituzionale, mediante la sentenza n.425/2000, dichiarò incostituzionale – per eccesso di delega – il terzo comma dell’art.25 del d.lgs. 342/1999. Sul punto la Corte di Cassazione – con pronuncia resa a SS.UU. (n.21095/2004) – ebbe modo di rilevare, già tempo addietro, che “l’eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla strega delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perchè stipulate in violazione dell’art.1283 cc.”.
Con la recentissima sentenza n.26769/2019, il Supremo Collegio ha oggi ribadito ciò che doveva già essere pacifico, confermando l’inefficacia del comma due dell’art.7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000.
Peraltro, con riferimento ai contratti antecedenti all’entrata in vigore della ridetta delibera, la Corte ha anche chiarito che ”se la clausola di capitalizzazione degli interessi a debito è affetta da nullità, sembra difficile negare che l’adeguamento alle disposizione della delibera CICR delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell’anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali. Ed allora la norma applicabile non sarà quella del comma 2 dell’art.7 della delibera CICR – già di per sé, qui caducata di ogni efficacia per quanto osservato in precedenza – ma quella del comma 3 del medesimo art. 7 ( << Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela>>), con la conseguenza che, non essendo stata approvata, l’operata variazione contrattuale, pur se in linea con le altre disposizioni della delibera, è inefficace nei suoi confronti e non impedisce alla nullità di dispiegare ogni suo più ampio effetto con riguardo all’intera durata del rapporto”.
In sintesi, pur prescindendo dalla caducazione del comma terzo dell’art.25 del d.lgs. n.342/1999 – e, quindi, dall’inefficacia del secondo comma dell’art.7 della delibera CICR del febbraio 2000 – il passaggio al nuovo regime finanziario a decorrere dal luglio 2000 rappresenterebbe sempre una modifica peggiorativa per il correntista, circostanza che in ogni caso imponeva agli istituti di credito di acquisire l’approvazione scritta del cliente. Tale è, dunque, l’orientamento della prima sezione civile della Corte di Cassazione, orientamento confermato anche mediante l’ordinanza n.26779 emessa nella medesima data del 21.10.2019.

* dottore commercialista
esperto in contenzioso bancario
consulente tecnico del Tribunale di Napoli
consulente dells Procura della Repubblica
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