Diario dello smarrimento, Andrea Di Consoli racconta gli orizzonti della solitudine

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In foto Andrea Di Consoli

di Fiorella Franchini

“E, vi preghiamo, quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: è naturale in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile“. Vengono in mente le parole di Bertolt Brecht, leggendo “Diario dello smarrimento” di Andrea Di Consoli, edito da Inschibboleth, che raccoglie pensieri, ricordi, esperienze, emozioni, considerazioni civili e riflessioni culturali pubblicate come una sorta di diario su Facebook. Una cronaca personale ma non privata, anzi social, che accende luci sugli angoli bui del dolore intimo e collettivo. Significa parlare degli invisibili, di tanta gente smarrita e perduta dietro l’apparenza, senza sapere neppure di esserlo. E già, perché accade proprio a tutti di essere colti, in vario modo, da una specie di torpore e “nel mezzo del cammin di nostra vita” ritrovarsi confusi dall’immenso potere della solitudine. Il disegno morale e letterario dello scrittore è preciso: è più importante comunicare che comprendere, è necessario trasmettere la consapevolezza di un’emarginazione condivisa, universale, di una sua dimensione storica, senza pretese didascaliche. “La verità è che quando la tua anima si smarrisce nessuno può dirti cosa fare. Semplicemente devi andare fino in fondo nello smarrimento, provare a superarlo con la vita stessa”, ha dichiarato l’autore in una recente intervista. La narrativa ha per il giornalista e critico letterario, anche con l’utilizzo dei mezzi espressivi più comuni, il compito di rompere il ghiaccio dell’isolamento esistenziale. Ne deriva un lavoro solo apparentemente frammentario nello stile e nel contenuto. Alla base c’è l’esercizio dell’intellettuale, la sua frequentazione delle opere di Peter Handke ed Elias Canetti, di libri come Quasi una vita di Corrado Alvaro, Il mestiere di vivere di Cesare Pavese o Proprietà perduta di Franco Cordelli, che si fondono con le abilità del narratore e con l’esperienza umana. Un racconto che nasce da una vicenda soggettiva, un amore svanito, un dolore gratuito e insensato. Vi si legge il disorientamento, la vergogna della sua anima in deliquescenza, ma anche una fiamma di dignità, lo scintillio immortale di uno sguardo partecipe. “Quanta forza può avere, in realtà, un cuore che si è smarrito?“, si chiede Haruki Murakami. Immenso, sembra rispondergli Di Consoli, in questo suo coraggio di mettere a nudo i propri sentimenti, i dubbi, le contraddizioni, la paura di vivere, il senso di angoscia. Un libro di piccole storie che pongono interrogativi e fanno domande alla coscienza in un continuo, sottinteso lavoro di scavo nel “sottosuolo psichico, culturale e corporale” di luoghi e persone. Momenti di liricità e sollecitazioni argute in cui l’autore rivendica la necessaria ricostituzione del rapporto tra produzione letteraria e società, senza la quale, secondo Di Consoli, c’è bella scrittura, apprezzabilissima, ma non c’è Letteratura. Non una posizione elitaria bensì la convinzione, come ha affermato Giorgio Manganelli, che “la letteratura, ben lungi dall’esprimere la totalità dell’uomo…è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio”. Diario dello smarrimento, cronistoria di un costante allontanamento dal nostro orizzonte etico.