Addio a Luciano De Crescenzo, l’ingegnere filosofo che raccontò la Napoli verace

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In foto Luciano De Crescenzo

E’ morto oggi, all’età di 90 anni, Luciano De Crescenzo. Ingegnere, ex Ibm, filosofo, scrittore, regista, attore. Ha raccontato, con i suoi film, la Napoli verace e buona. In segno di rispetto il sindaco Luigi de Magistris ha proclamato il lutto cittadino. De Crescenzo lascia la figlia Paola. Memorabili le sue lezioni di filosofia per tutti. Memorabili anche alcuni dei suoi film, come “Così parlò Bellavista” e “Il mistero di Bellavista”. “Signore e signori buonasera, incominciamo con un chiarimento: al tempo di Socrate non c’era la televisione. E allora voi vi chiederete: cosa facevano i Greci in quel tempo senza la tv? Semplice, ascoltavano i miti”. Negli anni ’90 De Crescenzo, con quella barba bianca ben curata e quell’accentuata cadenza napoletana, entrava nelle case degli italiani in punta di piedi, disquisendo di filosofi greci e soprattutto di miti: i miti degli dei, degli eroi, dell’amore. A distinguerlo quel tono non accademico, contrassegnato dalla naturalezza dei gesti, dalla semplicita’ degli esempi, dalla leggerezza del racconto che consentiva tutti, e in maniera diretta, di conoscere, di apprendere, di sapere. Sull’onda del successo di “Zeus-Le gesta degli dei e degli eroi”, trasmissione che andava in onda sulle reti Rai, fu persino lanciato in edicola un cofanetto con le videocassette della trasmissione. E fu un successo. L’intuizione di portare il mito sul piccolo schermo fu un colpo di genio, d’altronde quando si parla di De Crescenzo non si può che riferirsi ad una mente eccelsa e creativa: un uomo di profonda cultura ma dal piglio appunto lieve. Prima di diventare filosofo, scrittore, regista, divulgatore storico, De Crescenzo (figlio di un fabbricatore di guanti di pelle) praticò per tanto tempo la professione di ingegnere, lavorando per l’Ibm. Un posto che abbandonò alla metà degli anni ’70, incoraggiato dall’amico Maurizio Costanzo, da molti considerato una sorta di padrino, testimonial di una delle sue più grandi opere letterarie: “Così parlò Bellavista”. Un libro che negli anni ha superato le 600 mila copie vendute, tradotto in numerose lingue, divenuto un caso letterario persino in Giappone. Le successive opere ne hanno bissato il successo, confermando il suo talento. Più di 18 milioni di copie per una trentina di titoli. Un popolarità non solo italiana, ma addirittura internazionale. L’incontro con Arbore rappresentò la sua svolta cinematografica: l’amico Renzo lo volle tra i protagonisti del suo “Il pap’occhio”. Il passo che lo portò da davanti a dietro la macchina da presa fu molto breve, e per il suo debutto da regista non poté che scegliere la trasposizione filmica di “Così parlò Bellavista”. Ma è in “32 dicembre” che tocca l’apice della sua arte: nell’episodio di Enzo Cannavale alla spasmodica ricerca delle 100 mila lire per comprarsi i botti di Capodanno, in un pellegrinaggio a volte umiliante (come nella scena a casa del fratello), si manifesta la sua lucida analisi di Napoli e delle sue allegorie. L’ultima opera arrivata in libreria è la sua biografia, nel cui titolo, “Sono stato fortunato”, è racchiuso il bilancio della sua vita.