Crescita, la debole fortezza di Italia e Germania

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Fa strano osservare che i primi della classe in Europa per consistenza della manifattura, Germania e Italia, si piazzano agli ultimi due posti per capacità di crescere secondo le previsioni della Commissione per il 2019: noi in fondo a tutti con uno striminzito 0,1 per cento e i tedeschi un po’ meglio con lo 0,5 per cento.
Un dato che segnala immediatamente almeno due cose: le vecchie glorie del Continente sono in affanno (anche la Francia e l’Inghilterra non se la cavano per niente bene) e le loro economie sono molto più integrate di quanto non appaia. In particolare, se rallenta la locomotiva di Berlino la carrozza di Roma rischia di fermarsi.
Tutto questo porta a interrogarsi sull’efficacia delle politiche perseguite. Un punto della situazione si farà lunedì prossimo, 15 luglio, quando le associazioni imprenditoriali e i sindacati incontreranno il vicepremier Matteo Salvini che da una parte promette di ascoltare e dall’altra annuncia di voler esporre la sua ricetta per la flat tax.
Il fronte delle imprese e delle organizzazioni dei lavoratori appare abbastanza compatto. Il primo non dimentica il successo ottenuto a Torino il 3 dicembre dello scorso anno quando undici sigle rappresentative di 3 milioni d’imprese e 13 milioni di addetti dissero Sì alla Tav, Sì alla crescita e Sì alle infrastrutture.
Una piattaforma, come si diceva una volta, che si è consolidata nel corso nel tempo come numerose successive iniziative comuni hanno dimostrato. In quell’occasione si levò anche un sonoro No alla procedura d’infrazione che Bruxelles stava per affibbiarci e anche di recente quel monito è tornato a farsi sentire.
In buona misura Cgil Cisl e Uil, che hanno firmato con Confindustria il Patto della Fabbrica, condividono le posizioni delle loro controparti naturali e aderiscono alla richiesta di attenuare il peso in busta paga di tasse e contributi a tutto vantaggio dei lavoratori che si ritroverebbero così con più soldi in tasca.
Qualche differenza si coglie sulla proposta di salario minimo, nuovo cavallo di battaglia del Movimento 5Stelle, con la Cgil più cauta nel giudizio mentre lo schieramento contrario al provvedimento si presenta molto ampio e quasi unanime con molte e buone ragioni che trovano ascolto nello stesso governo.
Il fatto è che se si vuole reagire alla bassa o mancata crescita bisogna alleggerire le imprese e non appesantirle di nuovi oneri. La crescita non è un accidente che si ottiene per legge o decreto ma un delicato processo che si mette in moto quando la politica fa le cose giuste e incoraggia gli investimenti: pubblici e privati, interni e internazionali.
Comunque sia, appare evidente che l’attenzione si stia concentrando intorno al tema fiscale. E il premier Giuseppe Conte sembra condividere la necessità – rappresentata dal mondo delle imprese – di avviare una riforma organica e generale che mal si concilia con la tassa piatta che la Lega sembra voler introdurre a tutti i costi.
Eppure, proprio i costi sono il nodo da sciogliere. I conti con Bruxelles sono solo rinviati all’autunno quando si dovrà concepire e varare una manovra che a voler accogliere tutte le pretese della maggioranza dovrà ammontare a non meno di 50 miliardi. Una materia troppo seria per essere affidata alla finanza creativa.