Libia, Pmi italiane in fuga
Già un miliardo di danni

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A cura di Bruno Russo L’ambasciata d’Italia a Tripoli, (per decisione dlla Farnesina dopo l’offensiva in Libia dell’Isis) chiude definitivamente i battenti, rimpatriando via mare l’ambasciatore Giuseppe A cura di Bruno Russo L’ambasciata d’Italia a Tripoli, (per decisione dlla Farnesina dopo l’offensiva in Libia dell’Isis) chiude definitivamente i battenti, rimpatriando via mare l’ambasciatore Giuseppe Buccino e tutto il personale. E ora c’è forte preoccupazione per la sorte delle imprese italiane, e campane in particolare, storicamente presenti nel Paese. La crescita dell’export manifatturiero della Campania verso i Paesi extra Ue del bacino del Mediterraneo, la cosiddetta Area Med che riguarda il Mediterraneo Orientale e Meridionale, è stata costante negli ultimi anni, nonostante le crisi regionali. “Il precipitare della situazione in Libia – commenta Alfredo Cestari, presidente della Camera di commercio ItalAfrica Centrale – ci costerà caro: si calcola, nell’immediato, 1miliardo di danni per le imprese. Non sono tanto a rischio le grandi aziende tutte assicurate con Sace, quanto le migliaia di pmi che dopo aver perso i crediti vantati con il vecchio regime di Gheddafi, speravano in una stabilizzazione economica e politica dell’area”. Ma la mancanza di una guida politica condivisa, i conflitti tribali e l’avanzata dell’Isis, con il rischio incombente di una guerra dagli esiti incalcolabili, hanno fatto crollare ogni illusione. Le cause derivanti dal petrolio trapelano dall’esamina degli ambienti intorno alle Ambasciate e Consolati in Italia: “ Dietro i jihadisti c’è il petrolio libico; i media libici riferiscono a vari attacchi ai pozzi petroliferi, come ad ElBahi nei pressi del terminal costiero di Ras Lanuf , e ad ElDahra nella zona sud-ovest dando a fuoco una delle più importanti raffinerie della Sirte, nonchè a vari pozzi libico francesi“. A sentire l’Ambasciatore libico in Italia Ahmed Safarl’equilibrio mantenuto dall’Italia in Libia ha creato legami di fiducia tra i due Paesi. Abbiamo apprezzato che l’ambasciata italiana sia stata l’ultima ad andarsene dalla Libia. Temiamo che qualcuno possa permotivi politici creare dei rischi per l’Italia e per le sue attività imprenditoriali, ma altri attori potrebbero sfruttare la lotta al terrorismo come pretesto per intervenire sul suolo libico, e questo è da condannare come fatto ostile. Ora possiamo solo sperare che sia scongiurato l’intervento armato, demandando all’Onu nuovi accordi”. Dal petrolio alle comunicazioni, e non escludendo costruzioni, turismo e trasporti, in Libia (dati della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale) operano più di 130 aziende italiane, soprattutto nel settore petrolifero e gas, come Eni, Edison, Snam Progetti, Tecnimont, Saipem; nel settore costruzioni, con Impregilio, Maltauro, Garboli-Conicos, nei trasporti con Iveco, Calabrese, gruppo Messina, Grimaldi, Alitalia; nelle telecomunicazioni, con Sirti e Telecom Italia; nel settore dei mangimi, con Martini Silos e Mangimi; nella meccanica industriale, con Technofrigo; nell’impiantistica, con Tecnimont, Snam Progetti, Chimec, Cosmi, Gemmo e tante altre.