Ariotti (Assofond): “Difficoltà a trovare professionalità richieste”

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Roma, 8 lug. (Labitalia) – “Oggi occupiamo quasi 30.000 lavoratori, quasi tutti assunti a tempo indeterminato (il 96%), ma abbiamo sempre necessità di assumere. Al di là dei luoghi comuni, il lavoro in una moderna fonderia è oggi un impiego che garantisce buone possibilità di crescita e che è fatto di ingegno, tecnologia e alta specializzazione. Ciò nonostante, incontriamo molte difficoltà a trovare figure professionali adeguate alle nostre esigenze”. Così, in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia, Roberto Ariotti, presidente di Assofond. “I percorsi formativi – spiega – offerti dagli istituti tecnici sono poco frequentati dai nostri ragazzi, e ancor meno lo sono gli Its, le scuole di specializzazione tecnica post diploma, che in Italia contano circa 11.000 studenti contro gli oltre 800.000 della Germania. Anche questo è un aspetto su cui la politica potrebbe intervenire supportando la presenza di questi istituti nelle aree a maggior vocazione industriale e favorendone la crescita”.

“Anche se il 2019 – sottolinea Ariotti – probabilmente si chiuderà in difesa, la fonderia italiana si conferma un’eccellenza nel panorama della meccanica mondiale. Negli ultimi anni, grazie alla spinta dei provvedimenti legati a Industria 4.0, ci siamo rinnovati sia sul fronte della qualità che dell’efficienza e sostenibilità, dimostrando una grande capacità di adattamento ai cambiamenti e alle nuove esigenze dei clienti. Sono quindi convinto che le nostre aziende abbiano la forza per resistere a questo momento negativo e confermarsi ai vertici del settore in Europa, dove siamo il secondo Paese per produzione dopo la Germania”. “Ci serve però poter operare alla pari con i nostri competitor: per poterlo fare abbiamo bisogno che non vengano imposte nuove tasse sui fattori produttivi, che venga potenziata la formazione tecnica, che si favorisca l’incontro fra scuola e imprese e, soprattutto, che si riaffermi con forza la presenza italiana in Europa, che rappresenta ormai il mercato domestico delle nostre imprese”, avverte.

“Dopo una buona crescita – ricorda – fra il 2017 e la prima metà dello scorso anno, da luglio 2018 in poi qualcosa si è inceppato: la congiuntura globale sfavorevole ha portato a un generale rallentamento di quasi tutti i settori committenti, e pesano anche fattori geopolitici come i dazi di Trump, la guerra commerciale fra Usa e Cina, la Brexit. Ciò nonostante, lo scorso anno siamo riusciti a centrare una crescita dell’1,2% che, considerando il contesto generale, ci fa dire di avere ‘tenuto botta’. Il 2019 ha però proseguito il trend di debolezza di fine 2018, sia pure in maniera meno marcata. Nei primi quattro mesi dell’anno la produzione industriale del settore è risultata in calo del 5% sullo stesso periodo dell’anno precedente”. “Anche se la congiuntura – osserva – è negativa a livello globale, di certo in Italia ci stiamo mettendo del nostro: il governo gialloverde fa solo propaganda, parla di minibot, guarda con scetticismo all’Europa. Invece noi abbiamo bisogno di più Europa, abbiamo bisogno che non vengano imposte nuove tasse sui fattori produttivi (lavoro ed energia), abbiamo bisogno di protezione dal dumping sociale ed ecologico, abbiamo bisogno che si potenzino gli istituti tecnici e le forme di collaborazione fra scuole e impresa, abbiamo bisogno che si completi la transizione all’economia circolare e che si facciano passi avanti sui decreti end of waste”.

“Le fonderie – precisa – rappresentano già un sistema avanzato di economia circolare, ma potrebbe funzionare ancora meglio ma servono norme chiare e certe. Le fonderie riciclano buona parte dei rottami metallici giunti a fine vita, fondendoli per realizzare nuovi prodotti. Negli ultimi anni, peraltro, la percentuale di materiali di recupero utilizzata in sostituzione della materia prima vergine è cresciuta costantemente, arrivando ormai a toccare i due terzi del totale”.

Anche gli scarti della produzione, prosegue, “sono reimpiegati nel processo: il 95% delle terre esauste usate in fonderia, ad esempio, viene riutilizzato in sostituzione di sabbie e terre provenienti da attività estrattive, e quelle che non possiamo reimpiegare direttamente nelle nostre aziende possono essere utilizzate in sostituzione di sabbie ‘vergini’ da altri settori produttivi o per realizzare rilevati stradali o recuperi ambientali”. “La loro classificazione come rifiuto, però, impone lungaggini burocratiche e costi di gestione tali da far spesso preferire il ricorso a sabbie provenienti da estrazione, con notevoli danni per l’ambiente”, aggiunge.

“Abbiamo calcolato – ammette il presidente di Assofond – che se tutte le sabbie esauste prodotte dalle fonderie e oggi scartate venissero riutilizzate al posto di sabbie vergini, dalla mancata estrazione si potrebbe generare ogni anno un risparmio di quasi 25.000 tonnellate di CO2. Se consideriamo che un ettaro di bosco imprigiona in media 3,5 tonnellate di CO2, per ottenere un simile risultato bisognerebbe piantare 7.200 ettari di bosco ogni anno”.