Achille Pignatelli, prima raccolta di poesie: Il vento? E’ il respiro del mondo

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In foto Achille Pignatelli (ph: Guglielmo Verrienti)

di Rosina Musella

Presentata il 24 maggio a Napoli, allo Scugnizzo Liberato, la raccolta poetica “I ritorni. Orientarsi tra il suono dello spazio e la forma del tempo”, esordio letterario di Achille Pignatelli, direttore artistico della rivista letteraria Mosse di Seppia e tra i membri fondatori del collettivo NaDir, che si occupa di organizzare eventi e produzioni culturali indipendenti. Il prossimo 23 giugno Achille parteciperà alla sezione letteraria del Napoli Teatro Festival, al Chiostro Santa Caterina al Formiello.
A guidarci nella lettura dell’opera è la rosa dei venti, poiché ciascuno dei venti da essa indicati definisce una diversa sezione della raccolta; gli scritti si adattano, nella forma e nei temi, all’essenza del vento da cui prende il nome la sezione d’appartenenza, come “Levante” composta interamente da haiku, componimento tipico della poesia orientale, “Scirocco” dedicata alle poesie d’amore, “Ostro” che accoglie testi su Napoli e, in generale, il Sud del mondo.

Qual è stata la genesi de “I ritorni”?
Tema centrale dell’opera è il tempo, visto attraverso due concetti: il rapporto con la nostra fase storica perché, come dimostra Hegel, siamo individui spazio temporalmente vincolati, quindi, che noi prendiamo parola o meno sulla nostra fase storica, essa incide su di noi; il ricordo, che è la nostra ricchezza, il luogo dove vivono i sentimenti, i legami, le relazioni.
L’idea dell’opera è nata 7/8 anni fa, dal primo incontro con lo scrittore Silvio Perrella che, in quell’occasione, mi parlò di alcuni studi che si stavano effettuando sull’endecasillabo come misura del respiro. Questa cosa mi impressionò enormemente, perché nel Novecento l’endecasillabo veniva contestato come artificioso, invece nasce da qualcosa di estremamente naturale. Dopo questo incontro, associai l’endecasillabo come misura del respiro, al vento come respiro del mondo. Ne vennero fuori diverse poesie filosofiche, in cui il vento definiva una serie di concetti. I miei studi universitari in filosofia hanno, infatti, influito molto i miei scritti. Durante il corso di Estetica mi trovai a leggere quella che reputo una delle più belle opere di estetica mai scritte, “La nascita della tragedia” di Nietzsche, uno dei miei padri filosofici. Associai il discorso sul vento alla vita come ciclo vitale, al tempo come ciclo, e nacque l’idea della rosa dei venti. Noi in realtà siamo una rosa dei venti, perché abbiamo il nostro Maestrale, quando siamo di un umore più burrascoso, abbiamo la Tramontana, che può essere la nostra tenacia, abbiamo l’emotività, la passione.
“I ritorni”, perché quest’opera vuole essere una sorta di manuale del viaggiatore, poiché il nostro cammino è un viaggio di ritorno, non di andata. Noi siamo come il vento che viaggia, visita posti nuovi ma in realtà è sempre lo stesso. Siamo gli stessi di quando siamo nati: biologicamente il nostro corpo è mutato, abbiamo vissuto delle esperienze che ci hanno cambiato, ma la persona che siamo è proprio questa progressione.

Cosa ti ha portato a comporre haiku?
Qualche anno fa, tra i tanti eventi della rassegna “L’impero dei segni” che organizzammo allo Scugnizzo Liberato, l’Associazione Fantasmatica Aps organizzò un esperimento di scrittura collettiva attraverso gli haiku. Lì scrissi il mio primo haiku e da quel momento iniziai a sperimentare. In “Levante” ci sono componimenti come l’haiku I (il primissimo composto da Achille – ndr), estremamente orientale, perché l’haiku orientale è come i quadri zen: un’immagine condensata in pochi tratti estremamente essenziali, una miniatura. Invece, l’haiku IV è haiku nella struttura, ma il concetto è occidentale. È un moto interiore che non parte da un’immagine, ma è emotività. Accanto a “Levante” c’è una sezione prettamente occidentale, “Grecale”, composta da ditirambi, tipici della tragedia greca. Queste due sezioni si trovano accanto senza cozzare, senza creare un contrasto tra cultura occidentale e orientale, cosa che negli ultimi anni avviene, nella realtà. Con questa situazione politica, italiana ed europea, c’è una chiusura verso l’altro, a livello storico sta succedendo qualcosa. L’idea di cultura si fonda sullo scambio, sul confronto e il contatto col diverso, perché deve portarti un punto di vista nuovo. È così che le forme di espressione si evolvono, attraverso sperimentazione e confronto.

Cosa rappresenta l’illustrazione in copertina?
La copertina è opera dell’illustratrice Fiorella Formisano. C’è questo incastro tra la rosa dei venti e gli ingranaggi, perché la nostra è una società degli ingranaggi: il sistema deve camminare, noi siamo tanti ingranaggi che forzatamente devono incastrarsi, affinché la macchina funzioni. L’ingranaggio lo associo all’idea di quotidianità, alla lista di cose da fare che dobbiamo portare a termine ogni giorno. La rosa dei venti rappresenta, invece, lo spazio vitale, il cammino inteso come qualcosa di unitario e omogeneo e non un ingranaggio che ogni giorno gira e porta avanti la macchina.»

Sei pronto per l’evento del 23 al Ntf?
Sono molto emozionato perché mi trovo a partecipare al mio esordio ad una rassegna prestigiosa, sento anche un po’ il peso della responsabilità. Vorrei leggere qualche poesia legata al mare, alla grecità, per enfatizzare quanto il mare e la sua libertà di transito siano fondanti nell’idea di cultura e di quanto questa fase storica rischi di ingabbiarci ed isolarci, aumentando il peso della solitudine. Noi dovremmo andare contro queste restrizioni, dovremmo cercare il contatto col diverso. Non mi stancherò mai di dirlo: è nel cum-frontare, etimologicamente “mettere di fronte insieme”, che nasce un termine che è “convincere”. Convincere, etimologicamente cum-vincere, non è un’opera di assoggettamento, non trasporti l’altro dalla tua parte, ma è un vincere insieme tra pari.